Interazione tra le Corti e riconoscimento di un nuovo diritto nell’ordinamento europeo

L’interazione tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia europea ha avuto il doppio effetto di garantire pienamente il diritto costituzionale di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione italiana e, insieme, di accrescere nell’ordinamento dell’Unione la sfera dei diritti fondamentali, registrando la presenza di (o in realtà facendo nascere) un diritto prima inesistente, e cioè il diritto al silenzio delle persone fisiche minacciate da sanzioni amministrative di tipo punitivo.
Questo esito è stato favorito, in un caso di doppia pregiudizialità di questioni riferite ad un tempo alla Carta dei diritti UE e alla Costituzione italiana, da più eventi: innanzi tutto dal ricorso prioritario al giudizio di costituzionalità da parte del giudice ordinario – in applicazione della nuova regola sulla doppia pregiudizialità – con la conseguente apertura offerta alla Corte italiana di pronunciare la “prima parola” sul tema controverso; l’uso accorto del rinvio pregiudiziale da parte della nostra Corte alla Corte di Lussemburgo; l’atteggiamento di apertura di quest’ultima.
La vicenda è dunque una ulteriore conferma degli effetti positivi sia dell’applicazione della impostazione della sentenza n. 269 del 2017 sulla doppia pregiudizialità, sia dall’impostazione collaborativa che da qualche tempo ha preso a caratterizzare i reciproci rapporti tra Corte italiana e Corte europea.
Il giudice costituzionale nazionale, infatti, anche questa volta (come nell’ordinanza n. 24 del 2017), ha formulato il rinvio in modo estremamente accurato e ampiamente motivato in modo da trasmettere al giudice europeo la configurazione attuale del diritto al silenzio delle persone fisiche nei casi menzionati quale risulta nel diritto italiano vigente corroborato dalla giurisprudenza costituzionale sorretta dalle pronunzie della Corte EDU. In tal modo, la Corte costituzionale ha esposto alla Corte di giustizia, al momento non ancora intervenuta sul tema specifico, una serie di elementi e conoscenze utili per risolvere in modo equilibrato e compatibile con le esigenze della difesa nel sistema nazionale, i dubbi sull’interpretazione e la validità delle norme europee condizionanti la validità di quelle italiane impugnate dalla Corte di Cassazione.
La Corte di Giustizia – sorvolando completamente sul problema del nuovo ordine della doppia pregiudizialità – si pronuncia innanzi tutto sull’interpretazione degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti UE. Non discostandosi dalle indicazioni del giudice del rinvio, utilizza la giurisprudenza della Corte EDU sull’art.6 della Convenzione e conclude che – a differenza che in materia di concorrenza, in cui lo stesso giudice di Lussemburgo in passato ha negato il diritto al silenzio alle imprese – nelle garanzie di cui ai suddetti artt. 47 e 48 è compreso il diritto al silenzio delle persone fisiche coinvolte, e ciò non solo nel processo penale, ma anche nelle procedure di accertamento di illeciti amministrativi destinate a sfociare in sanzioni amministrative dotate di carattere penale (§§42 ss.) Pertanto, quegli articoli della Carta – secondo la Corte europea – ostano, in particolare, a che tale persona venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente (ai sensi del diritto europeo secondario) risposte che potrebbero fare emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
Una volta così letti gli articoli della Carta, la Corte di giustizia valuta alla loro stregua le disposizioni di diritto secondario in tema di abusi di informazioni di abuso di informazioni privilegiate e di abusi di mercato (considerate dal giudice del rinvio un ostacolo alla effettiva tutela di tale diritto). Anche se non lo escludono in maniera espressa, per la Corte, queste disposizioni possono essere interpretate nel senso che non obbligano gli Stati a prevedere obbligatoriamente sanzioni in un caso siffatto. Quindi, così interpretate, le stesse disposizioni non contrastano con gli artt. 47 e 48 della Carta; più precisamente, devono essere interpretate nel senso che “consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di tale direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale”. Per individuare il carattere penale delle misure la stessa Corte indica anche i tre criteri necessari a tal fine, la cui presenza dovrà essere valutata dal giudice del processo principale.
In definitiva, facendo proprie, in sostanza, le argomentazioni esposte dalla Corte costituzionale nell’ordinanza di rinvio, la Corte di giustizia è pervenuta – ciò che poteva anche non essere del tutto scontato – al riconoscimento espresso del diritto al silenzio nel caso particolare, e quindi ha in sostanza aperto l’ordinamento dell’Unione ad un diritto “nuovo” da applicare nel campo degli abusi di informazioni privilegiate e degli abusi di mercato.
A fronte di simile risultato positivo, non vedo come si possa ancora sostenere, da parte di chi giudica una vera iattura il famoso obiter dictum della sentenza n. 269 del 2017, che la strada aperta da questo, attivata con il necessario spirito di reciproca collaborazione, si debba risolvere necessariamente in una affermazione di “sovranismo costituzionale”, di attacco al primato del diritto europeo e di intenzionale banalizzazione della Carta dei diritti UE.