La cessazione delle concessioni balneari in essere al 31 dicembre 2023 nelle sentenze dell’Adunanza plenaria n. 17 e 18 del 2021

Il 9 novembre 2021 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 17 e 18, si è pronunciata sulla discussa disciplina dell’affidamento delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
La controversia trae origine da alcune incertezze interpretative emerse nella giurisprudenza amministrativa in seguito all’introduzione del regime previsto dalla L. n. 145/2018, la quale aveva prorogato tutte le concessioni al 2033. E questo, nonostante sulla questione erano da tempo intervenute la Commissione europea (che sin dal 2008 aveva censurato gli interventi con cui il legislatore italiano aveva prorogato le concessioni balneari) e la Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 14 luglio 2016, Promoimpresa (C-458/14 e C-67/15), che aveva sancito l’applicabilità della direttiva n. 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) alle concessioni demaniali balneari, rimettendo al giudice nazionale di stabilire se le risorse naturali risultassero scarse, con conseguente applicazione dell’art. 12 della direttiva, che vietava il rinnovo automatico delle autorizzazioni.
A fronte dell’emersione di orientamenti contrastanti della giurisprudenza amministrativa, in merito all’eventuale sussistenza di un obbligo per le amministrazioni di disapplicare la disciplina interna contraria al diritto europeo, come aveva sostenuto in diversi pareri l’Antitrust, (in particolare, il TAR Catania aveva sostenuto la tesi della disapplicazione del diritto interno (TAR Sicilia, Catania, Sezione Terza, sentenza del 15 febbraio 2021, n. 504), mentre il TAR Lecce la tesi contraria (TAR Puglia, Lecce, Sezione Prima, sentenza del 15 gennaio 2021, n. 73), il Consiglio di Stato, investito della questione in grado di appello, decideva di intervenire in sede di Adunanza plenaria, al fine di “assicurare certezza e uniformità di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate nonché uniformità di orientamenti giurisprudenziali”, data la “particolare rilevanza economico-sociale” della questione (Consiglio di Stato, decreto del 24 maggio 2021, n. 160).
L’Adunanza plenaria, nel sancire la primazia del diritto dell’Unione europea sulle normative nazionali di proroga delle concessioni, è giunta ad affermare l’obbligo di disapplicazione del diritto interno per violazione degli artt. 49 TFUE e 12 della dir. n. 2006/123/CE da parte delle stesse amministrazioni.
La sentenza si focalizza, dapprima, sulla violazione del Trattato. Per ritenere applicabile l’art. 49 TFUE è, infatti, necessario risolvere il problema dell’eventuale rilevanza transfrontaliera delle concessioni. A tal fine, il giudice nega che venga in rilievo la singola concessione oggetto della controversia, ma ritiene che si debba avere a riguardo l’intero patrimonio costiero nazionale che, complessivamente considerato, sarebbe certamente oggetto di interesse transfrontaliero.
Indipendente da questo profilo, poi, trova comunque applicazione, a parere dell’Adunanza plenaria, la direttiva Bolkestein.
Il requisito della scarsità delle risorse naturali, la cui verifica era stata demandata dalla Corte di giustizia al giudice nazionale, infatti, secondo il Consiglio di Stato, deve essere valutato, oltre che su quelle già date in concessione, anche rispetto alle aree “potenzialmente ancora concedibili”.
A tale riguardo, l’insieme dei dati raccolti dal sistema informativo del demanio marittimo del Ministero delle infrastrutture evidenzia che “le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti”.
Secondo il giudice, quindi, trovando applicazione anche l’art. 12 della direttiva Bolkestein, si deve, a maggior ragione ritenere che il settore delle concessioni balneari debba essere pienamente contendibile da parte degli operatori economici, nel rispetto del diritto comunitario.
Una maggiore trasparenza in sede di affidamento dei rapporti anche concessori, assicura, infatti, una più forte promozione del dinamismo di mercato e un più consistente livello di investimenti nel settore.

Su questa base, la sentenza giunge quindi a stabilire l’obbligo di disapplicazione della normativa nazionale di proroga delle concessioni demaniali marittime da parte non solo dei giudici, ma anche della stessa amministrazione.
Il singolo atto amministrativo di concessione viene, infatti, ad avere una natura meramente ricognitiva dell’effetto legale di proroga, in quanto è direttamente la legge a disciplinare la durata della concessione, senza l’intermediazione di alcun potere amministrativo. A parere dell’Adunanza plenaria, si sarebbe verificata, in mancanza di una riserva di amministrazione garantita costituzionalmente, una “novazione sostanziale della fonte di regolazione del rapporto”, costituendo la normativa del 2018 una legge-provvedimento, immediatamente applicabile alle singole concessioni.
Dalla natura meramente ricognitiva degli atti amministrativi di proroga discende che, in virtù della disapplicazione della legge contrastante con il diritto europeo, anche l’effetto stabilito dagli specifici atti amministrativi debba considerarsi tamquam non esset, cosicché la disapplicazione non opera solamente pro futuro, ma anche retroattivamente, rispetto ai provvedimenti già emanati. Ciò, non solo con riguardo ai rapporti oggetto della specifica controversia all’esame del Consiglio di Stato, ma anche rispetto a tutti gli altri rapporti in essere.
Nonostante, infatti, le pronunce dell’Adunanza plenaria siano rivolte tipicamente al giudice e non all’amministrazione, per scongiurare un disallineamento fra l’applicazione in sede giudiziale e in sede amministrativa (il giudice, infatti, in forza della sentenza del Consiglio di Stato disapplicherebbe il diritto interno in contrasto con quello europeo, mentre l’amministrazione continuerebbe ad applicare la disciplina nazionale), l’Adunanza plenaria ritiene imprescindibile estendere l’obbligo di disapplicazione anche in capo all’amministrazione, in modo da garantire la certezza dei rapporti giuridici.
Da questa impostazione ermeneutica deriva, poi, che la cessazione degli effetti di proroga operi non solo rispetto ai rapporti non contestati, ma anche qualora sia intervenuto un giudicato favorevole a seguito della contestazione in giudizio del titolo. D’altra parte, poiché il giudicato incide su un rapporto concessorio di durata, il Consiglio di Stato ritiene che, per la parte del rapporto da questo non coperto, trova applicazione lo ius superveniens: in particolare, poiché la sentenza interpretativa della Corte di giustizia del 2016 sarebbe equiparabile ad una sopravvenienza normativa di derivazione comunitaria, essa, determinando una “successione cronologica di regole che disciplinano la medesima situazione giuridica”, verrebbe ad incidere “sulle situazioni giuridiche durevoli per quella parte che si svolge successivamente al giudicato”, conducendo alla disapplicazione della normativa interna di proroga contrastante con il diritto europeo.
Dalla disapplicazione della disciplina nazionale deriva, dunque, la cessazione generalizzata di tutte le concessioni in essere affidate dalle amministrazioni competenti sulla base della normativa del 2018.
Date, tuttavia, le evidenti gravi ripercussioni economiche e sociali che conseguirebbero a una cessazione immediata delle concessioni – derivanti dalla carenza di una normativa che disciplini le nuove procedure, stante la mancata applicazione del codice degli appalti ai beni pubblici – il Consiglio di Stato decide di modulare gli effetti temporali della sentenza, rinviando al 31 dicembre 2023 il termine allo scadere del quale tutte le concessioni dovranno considerarsi prive di effetto.
È, infatti, noto che il Consiglio di Stato, negli ultimi anni, abbia iniziato a differire gli stessi effetti della sentenza di annullamento, in applicazione dei principi di giustizia sostanziale, di proporzionalità e di effettività. Ciò a partire dalla sentenza del 10 maggio 2011, n. 2755, in base alla quale il carattere tradizionale dell’efficacia ex tunc della sentenza di annullamento può essere derogato in ragione della coerenza della pronuncia con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
A parere del Consiglio di Stato, è lo stesso principio della certezza del diritto a imporre la modulazione nel tempo degli effetti delle sentenze, soprattutto con riguardo alle pronunce interpretative (ex multis Cons. Stato, sentenza 22 dicembre 2017, n. 13).
Tale linea argomentativa suscita, tuttavia, delle perplessità in relazione al caso di specie. L’individuazione di un simile termine, oltre a non essere giustificata da parametri ed elementi obiettivi, viene inevitabilmente ad incidere sulla stessa discrezionalità politica del legislatore in materia. La pronuncia, da questo punto di vista, non si limita a posticipare il termine di efficacia delle concessioni nel caso singolo, ma, per via dell’intervento nomofilattico, viene ad incidere sullo stesso bilanciamento dei molteplici interessi coinvolti (degli attuali concessionari, delle imprese che intendono entrare nel mercato, dei consumatori, dello Stato con riferimento alla gestione dei beni demaniali, dell’Unione con riguardo all’implementazione del mercato interno, degli interessi ambientali).
Al di là di tale profilo, incidente sui rapporti in essere, l’Adunanza plenaria interviene, quasi in un’ottica propulsiva, anche sui principi e sulle condizioni che, nel rispetto del diritto europeo, dovranno guidare l’attività del legislatore futuro: in particolare, la scelta di criteri di selezione “proporzionati, non discriminatori ed equi”, la valutazione della qualità dei servizi, la sostenibilità sociale e ambientale, la previsione di una durata limitata delle concessioni, nonché di adeguati canoni concessori.
In definitiva, siamo dinanzi ad un intervento di sicuro rilievo, che cerca senz’altro di ovviare alle molte carenze e incertezze che hanno caratterizzato la posizione del Parlamento e del Governo negli ultimi quindici anni nella materia delle concessioni balneari.
Il mancato intervento del legislatore, nonostante i diversi solleciti dell’Antitrust e delle istituzioni europee, ha, infatti, generato una situazione di forte incertezza nel settore, rispetto alla quale l’Adunanza plenaria ha ritenuto di provvedere, anche in un’ottica propulsiva di futuri interventi normativi.
Si tratta, al contempo, di un intervento che presenta non pochi profili di criticità dal punto di vista dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, nonché dello stesso ruolo della funzione giurisdizionale nelle democrazie contemporanee. La pronuncia, infatti, incide direttamente sull’efficacia degli atti amministrativi di proroga, anche non oggetto di specifica contestazione in sede giudiziale, come pure sui rapporti già coperti dal giudicato. Ma soprattutto, l’individuazione del 31 dicembre 2023 quale termine ultimo al cui scadere tutte le concessioni già rilasciate verranno meno, viene inevitabilmente ad incidere sulla stessa discrezionalità politica del legislatore, con possibile configurazione di un’ipotesi di sconfinamento della giurisdizione censurabile dinnanzi alla Cassazione.