La Corte suprema del Regno Unito sul secondo referendum indipendentista scozzese: una partita chiusa?

Con la pronuncia del 23 novembre 2022 sul caso Reference by the Lord Advocate of devolution issues under paragraph 34 of the Schedule 6 to the Scotland Act 1998 ([2022] UKSC 31) la Corte suprema del Regno Unito ha dichiarato che il Parlamento scozzese non può esercitare potere legislativo in materia di indizione di un referendum indipendentista senza l’autorizzazione di Westminster (par. 92).
Per la prima volta la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un progetto di legge redatto dal Governo scozzese guidato da Nicola Sturgeon, ma non ancora presentato in Parlamento. A norma della Schedule 6, par. 4, dello Scotland Act 1998, infatti, il Lord Advocate, chiamato a dichiarare se un disegno di legge governativo rientra nella competenza legislativa del Parlamento scozzese, qualora nutra dubbi sulla sua legittimità in base al riparto di competenze Westminster-Holyrood di cui allo Scotland Act, può chiedere un giudizio di reference alla Corte suprema che tuttavia non è obbligata a rilasciarlo. Annunciando un progetto di legge concernente l’indizione di un secondo referendum indipendentista scozzese per il 19 novembre 2023, il Primo Ministro scozzese aveva invitato il Lord Advocate a rivolgersi alla Corte suprema al fine di verificarne la legittimità prima della sua presentazione al Parlamento. Percorso obbligato, questo, data la determinazione del Primo Ministro britannico del tempo, Boris Johnson, a respingere l’eventualità di un order in council da emanarsi ai sensi della sezione 30 dello Scotland Act 1998 che, modificando la Schedule 5 della legge concernente le materie riservate a Westminster, avrebbe confermato la sussistenza del potere del Parlamento scozzese di approvare una legge sul secondo referendum indipendentista. Difatti, previsto nell’Accordo di Edimburgo del 15 ottobre 2012 stipulato dagli Esecutivi britannico e scozzese con un impegno reciproco a garantire lo svolgimento del primo referendum indipendentista e a lavorare insieme in modo costruttivo per dar seguito al risultato (qualunque esso fosse) nel migliore interesse del popolo scozzese e del resto del Regno Unito, l’indizione della consultazione referendaria del 18 settembre 2014 era stata possibile passando per l’adozione dello Scotland Act 1998 (modification of Schedule 5) Order 2013 il cui disposto (che secondo l’Accordo di Edimburgo avrebbe «put it beyond doubt that the Scottish Parliament can legislate for [the] referendum») aveva sigillato il legittimo esercizio del potere legislativo del Parlamento scozzese in materia (House of Commons Library, Scottish Devolution: Section 30 Orders, a cura di D. Torrance, 15-06-2022).
Il proposito scozzese di indire un secondo referendum indipendentista, meditato intorno ad una matura coscienza identitaria dei cittadini scozzesi e al persistente consenso elettorale che lo Scottish National Party (d’ora in poi, SNP) ha coltivato malgrado la sconfitta del referendum del 2014 (sulla dimensione costituzionale di quel referendum e sulle sue ricadute politico-costituzionali nel quadro delle quali si inseriscono il dibattitto giuridico-politico sul secondo referendum scozzese e la pronuncia in commento v. C. Martinelli, La Scozia tra autonomia e secessione: riflessioni sul referendum indipendentista nel processo devolutivo, in Federalismi.it, n. 23/2022, pp. 208 ss., nonché House of Commons Library, Scottish Independence Referendum: Legal Issues, a cura di D. Torrance, 1-12-2022), e non assistito da un accordo tra Esecutivi scozzese e britannico, quest’ultimo riluttante a immaginare un nuovo referendum indipendentista, ha posto le basi per una rinnovata riflessione sul fondamento  giuridico della sua indizione, atteso che il combinato disposto della sez. 29(2) e del Paragraph 1 della Schedule 5 dello Scotland Act 1998 che riserva in via esclusiva al Parlamento di Westminster le materie relative a «[t]he Union of the Kingdoms of Scotland and England; The Parliament of the United Kingdom» pare precludere al Parlamento scozzese la possibilità di legiferare sull’indizione di un referendum sull’indipendenza suscettibile di avere inevitabili effetti su entrambe le materie.
A fronte della tesi del Governo britannico in base alla quale i giudici supremi, senza entrare nel merito, avrebbero dovuto semplicemente respingere una questione da considerarsi prematura trattandosi di un progetto che nel corso dell’iter di approvazione avrebbe potuto subire rilevanti modifiche e il caso non integrando propriamente una devolution issue in quanto l’esigenza dell’autorizzazione del Lord Advocate alla presentazione del progetto era fissata dallo Scottish Ministerial Code anziché dalla legge, la Corte ha deciso di valutare insieme le due questioni relative alla propria competenza e al giudizio di merito. I giudici supremi hanno riconosciuto, dunque, la propria competenza considerando la questione sottoposta loro dal Lord Advocate come integrante una devolution issue secondo la definizione di cui alla Schedule 6, par. 1, della legge del 1998 (parr. 13-47) e, atteso che la Corte suprema non funge da «general advice centre» (par. 52), hanno deciso di pronunciarsi nel merito trattandosi di questione di public importance: «The reference has been made in order to obtain an authoritative ruling on a question of law which has already arisen as a matter of practical importance. It is a question on which the Lord Advocate has to advise ministers. The answer to the question will have practical consequences: it will determine whether the proposed Bill is introduced into the Scottish Parliament or not. The question is therefore not hypothetical, academic or premature» (par. 53).
La questione sottoposta alla Corte è stata così formulata: «Does the provision of the proposed Scottish Independence Referendum Bill that provides that the question to be asked in a referendum would be ‘Should Scotland be an independent country?’ relate to reserved matters? In particular, does it relate to: (i) the Union of the Kingdoms of Scotland and England (paragraph 1(b) of Schedule 5); and/or (ii) the parliament of the United Kingdom (paragraph 1(c) of Schedule 5)?».
Il quesito muoveva dal presupposto di un mero legame consequenziale e indiretto tra il progetto di legge in esame e le materie riservate predette: secondo il Lord Advocate, infatti, la competenza esclusiva di Westminster nelle materie riservate non poteva precludere al Parlamento scozzese l’approvazione di un progetto di indizione di un referendum di natura meramente consultiva che non avrebbe determinato l’indipendenza della Scozia, bensì una mera verifica della volontà del popolo scozzese. La Corte, tuttavia, richiamando la giurisprudenza pregressa relativa all’interpretazione del riparto di competenze Westminster-Holyrood (quale Christian Institute and others v. The Lord Advocate (Scotland) [2016] UKSC 51, par. 65), ha affermato che l’indizione del referendum indipendentista prevista dal progetto di legge è passibile di effetti diretti sull’unione del Regno e sul Parlamento e che, dunque, «[t]he effect of the Bill […] will not be confined to the holding of a referendum. Even if it is not self-executing, and can in that sense be described as advisory, a lawfully held referendum is not merely an exercise in public consultation or a survey of public opinion. It is a democratic process held in accordance with the law which results in an expression of the view of the electorate on a specific issue of public policy on a particular occasion. Its importance is reflected, in the first place, in its official and formal character» (par. 78); difatti, l’indizione di un referendum siffatto richiede una disciplina normativa degli aspetti formali della sua indizione, dal diritto di voto al quesito, alla data, alla modalità di svolgimento della campagna elettorale sino alla sua organizzazione sul piano amministrativo.
A dispetto delle deboli argomentazioni del Lord Advocate, incentrate sul carattere consultivo del referendum in netta contraddizione con le tradizionali dichiarazioni dello SNP e del Governo scozzese in ordine agli effetti diretti e immediati dell’esito della consultazione referendaria (sulla natura consultiva del referendum, v. House of Lords Select Committee on the Constitution, Referendum on Scottish Independence Report, 24th Report of Session 2010-12, 17-02-2012, HL Paper 263, 10; sull’ormai acquisito assunto in base al quale, malgrado la natura consultiva della consultazione referendaria, il Parlamento si considera vincolato al suo risultato v. S. Tierney, The Lord Advocate’s Reference: Referendum and Constitutional Convention, in U.K. Constitutional Law Blog, 4-10-2022), la Corte al par. 81 della pronuncia ha chiarito che «lawful referendum on the question envisaged by the Bill would undoubtedly be an important political event, even if its outcome had no immediate legal consequences, and even if the United Kingdom Government had not given any political commitment to act upon it. A clear outcome, whichever way the question was answered, would possess the authority, in a constitution and political culture founded upon democracy, of a democratic expression of the view of the Scottish electorate. The clear expression of its wish either to remain within the United Kingdom or to pursue secession would strengthen or weaken the democratic legitimacy of the Union, depending on which view prevailed, and support or undermine the democratic credentials of the independence movement. It would consequently have important political consequences relating to the Union and the United Kingdom Parliament».
La questione poteva considerarsi chiusa, ma la Corte ha dato riscontro ad alcune argomentazioni dello SNP, ammesso dai giudici supremi a presentare una memoria scritta (In The Supreme Court of The United Kingdom. In The Reference By The Lord Advocate Under Paragraph 34 Of Schedule 6 of The Scotland Act 1998. In Relation To Whether The Question For A Referendum On Scottish Independence Contained In The Proposed Bill Relates To Reserved Matters. Written Submissions On Behalf Of The Scottish National Party) con la quale il partito ha asserito il diritto di autodeterminazione del popolo scozzese, del cui esercizio il secondo referendum indipendentista sarebbe manifestazione, chiedendo alla Corte se sia legittima la possibilità per il Governo di negare il proprio consenso a emettere per la seconda volta un order volto a legittimare l’esercizio del potere legislativo del Parlamento di Holyrood in materia. Se quello scozzese è da considerarsi un popolo ai fini dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione e se, dunque, titolare della decisione sull’indipendenza scozzese non è l’intero elettorato britannico, allora il Governo centrale non dovrebbe avere la possibilità di negare al popolo scozzese la garanzia effettiva di tale diritto attraverso l’indizione di un referendum.
L’Esecutivo britannico ha sempre considerato il referendum indipendentista come un evento unico e irripetibile, malgrado alcun limite di questo genere si rinvenga nel diritto internazionale e la Brexit abbia avuto evidentemente un impatto politico immediato sulla Scozia che nella consultazione referendaria del 2016 si era espressa in favore della permanenza nell’Unione europea.
In tutti i casi, trattandosi di tema distinto rispetto alla questione tecnica relativa al riparto di competenze tra il legislativo centrale e quello scozzese, la questione posta SNP poteva sollevarsi eventualmente in un secondo momento: se il Governo scozzese avesse atteso la pronuncia della Corte suprema di illegittimità di un progetto di legge di indizione di un secondo referendum indipendentista, avrebbe poi potuto spendere in seconda battuta dinanzi ai giudici supremi la violazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli derivante dalla negazione del referendum. L’intuizione dello SNP, tuttavia, si è risolta nella decisione del partito di sottoporre l’argomento alla Corte incidentalmente ossia sostenendo che la Corte avrebbe dovuto pronunciarsi sulla questione come sottopostale dal Governo scozzese interpretando il riparto di competenze legislative in armonia con i principi fondamentali del diritto internazionale ossia riconoscendo al Parlamento scozzese il potere di legiferare in ordine a un secondo referendum indipendentista.
Secondo la Corte il diritto britannico va interpretato in armonia con il diritto internazionale quando il primo «is not clear on its face» (par. 87); ciò premesso, pur richiamando i riferimenti normativi di diritto internazionale concernenti il diritto all’autodeterminazione, quali la Carta delle Nazioni Unite e la Risoluzione 1541 del dicembre 1960 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Corte ha esaurito la trattazione del tema in un numero esiguo di paragrafi della pronuncia concludendo che «the principle of self-determination is simply not in play here» (par. 88) assumendo come riferimento la pronuncia della Corte suprema canadese sul caso del Québec in base alla quale l’autodeterminazione da intendersi come secessione unilaterale è applicabile solo alle colonie ovvero a popoli oppressi. La Corte ha richiamato altresì le memorie presentate dal Regno Unito nel caso del Kosovo alla International Court of Justice che dichiarava che il diritto internazionale promuove l’integrità territoriale degli Stati e che, fatta eccezione per i casi riguardanti le colonie o territori sotto occupazione straniera, non riconosce alcun diritto a secedere (par. 89) (per un approfondimento critico della pronuncia della Corte nella parte riguardante il diritto all’autodeterminazione alla luce delle norme di diritto internazionale v. M. Weller, The UK Supreme Court on a Referendum for Scotland and the Right to Constitutional Self-determination: Part II, in Blog of the European Journal of International Law, 13-2-2022).
Il precedente canadese e il suo seguito legislativo, tuttavia, suggeriscono quanto in verità sia anche nella disponibilità del Parlamento di Westminster la possibilità di disciplinare l’iter secessionista di un territorio del Regno come ha fatto il Parlamento canadese con l’approvazione del Clarity Act nel 2000; il legislativo, dunque, è potenzialmente in grado di chiudere la partita. Frattanto, la decisione della Corte suprema britannica, che scongiura nel breve termine il rischio di un nuovo referendum indipendentista, ha inevitabilmente una forte risonanza politica (sul punto v. G. Caravale, Il giudizio di reference della Corte suprema sul referendum scozzese: una political question, in Federalismi.it, n. 31/2022, pp. iv ss.) determinata dalla discrasia tra il dato giuridico-formale e il mandato democratico dello SNP che nel suo Manifesto elettorale contemplava la consultazione referendaria (M. Gordon, UK supreme court rules Scotland cannot call a second independence referendum – the decision explained, in Theconversation.com, 23-11-2022); con ciò non solo attestando il tradizionalmente fluido confine tra legal e political Constitution nel Regno Unito, ma tracciando altresì la strada di un conflitto tra i due volti della Constitution britannica passibile di ricomporsi sul piano politico ai fini di garanzia della tenuta dell’edificio costituzionale.