La natura e i suoi diritti: prime notazioni in ambito civilistico

Chi studia le materie giuridiche sa bene che l’essere umano vivente è il necessario punto di riferimento degli effetti delle istituzioni; sa che l’uomo assume la funzione di soggetto ovvio di qualunque costruzione normativa. Lo studioso ricorda volentieri un passaggio di Ihering: senza il diritto l’uomo decade al livello animale, questione che d’altronde, risulta ovvia se si pensa, come spesso si ribadisce, che il diritto è una questione di esseri umani e che appare laddove costoro si riuniscono in società.
Ecco lo sfondo in cui si colloca la riflessione tradizionale sul soggetto di diritto. Nel giuridico, l’essere umano è conosciuto con i termini di persona fisica e soggetto di diritto. Tale condizione si collega alla capacità giuridica che si acquista, nella generalità degli ordinamenti, con l’evento della nascita. Formulato questo primo rilievo, è facile evidenziare come il nesso tra la vita biologica e la soggettività sia un elemento nodale nel pensiero giuridico occidentale, la semplice qualità umana, ha scritto Angelo Falzea è «sufficiente a rendere il soggetto portatore potenziale di tutti gli interessi giuridici tutelati dal sistema, nonché titolare di un insieme di diritti e di garanzie che si collegano immediatamente alla sua personalità» (A. Falzea, voce Capacità (teoria generale), in Enc. dir., VI, Milano 1960, p. 12). L’identificazione tra soggetto e persona appare così ovvia che non merita spiegazione e ben si capisce allora come il dibattito centrale attorno alla soggettività non umana si sia ristretto all’angusto ambito delle persone giuridiche e, perciò, al giustificare o negare, tramite articolate costruzioni teoriche, l’attribuzione di personalità alle stesse. Sotto questo profilo, giova tener presente che le c.d. tesi negatrici degli enti collettivi escludono che gli enti possano essere soggettivati e convengono sul fatto che i veri soggetti di diritto sono gli esseri umani che se ne avvalgono.
Ebbene, nell’ottica di quanto riportato, non si esagera se si ricorda che proprio l’aver incentrato l’intera realtà giuridica sulla realtà dell’essere umano vivente pone le radici dell’antropocentrismo contemporaneo, cioè dell’ipotesi che degrada alla qualità di «cosa» quanto è estraneo alla coscienza umana.
Se quanto detto è assiomatico, non può che lasciare perplesso il giurista la «dilatazione» del soggetto che da certo tempo avviene nel campo della natura e dei suoi singoli componenti. È in questo quadro che si iscrive la rilevanza di recenti eventi giuridici succedutesi in sistemi assai dissimili.
Il 20 marzo del 2017 l’Alta Corte dell’Uttarakhand (Nainital, India) ha sottoscritto una ordinanza in cui dichiara che i fiumi Gange e Yamuna «respirano, sostengono e vivono con le diverse comunità dalle montagne al mare» sicché «esiste il massimo vantaggio nel conferire lo status di persona vivente/entità legale». Di conseguenza, i due fiumi, i loro affluenti, flussi, e ogni acqua naturale che scorre con flusso continuo o intermittente da essi, sono dichiarati juristic/legal persons/living entities «con tutti i corrispondenti diritti, doveri e responsabilità di una persona vivente» (Mohd. Salim v. State of Uttarkhand and Others. Writ Petition (PIL) No. 126 of 2014, March 20, 2017). La sentenza è stata seguita da una seconda e assai più documentata pronuncia della stessa Corte che ha sancito per i ghiacciai dell’Himalaya (nello specifico il Gangotri e l’Yamunotri, affluenti dei fiumi Gange e Yamuna) la qualità di legal person (Lalit Miglani v. State Of Uttarakhand and Others. Writ Petition (PIL) No. 140 of 2015, March 30, 2017). Quanto accaduto in India si colloca in stretta corrispondenza con la soluzione prospettata da una legge varata dal parlamento neozelandese la quale, facendo seguito ad un precedente accordo fra lo Stato e il popolo maori, ha riconosciuto al fiume Te Awa Tupua (nome dato al fiume Whanganui dai maori) lo status di legal person in ragione della sua unione mistica con i gruppi indigeni lì stabiliti (The Whanganui River Claims Settlement Bill,16/03/2017, Act 2017 Public Act 2017 No 7 Date of assent March 20, 2017). Infine, per il contesto latinoamericano giova evidenziare la sentenza di novembre del 2016 del Tribunal Constitucional della Colombia che, sulla base di principi costituzionali, internazionali e di diritto bio-culturale, ha dichiarato «il fiume Atrato, il suo bacino e affluente un’entità soggetto di diritti a protezione, conservazione, mantenimento e ripristino a carico dello Stato e delle comunità etniche» (Expediente T-5.016.242, sentencia 10/11/16).                Va però notato che suddette pronunce non sono le prime nel dare applicazione operativa ai diritti della natura. Ciò avvenne in Ecuador nel 2011. In tale occasione la Sala penal de la Corte Provincial de Loja, pronunciandosi su un’acción de protección proposta da due proprietari fondiari contro il governo provinciale per bloccare un progetto stradale che aveva alterato il corso di un fiume, considerò che esso costituiva una violazione ai diritti costituzionali della natura ad esistere e a mantenere i suoi cicli vitali, riconoscendo inoltre la rilevanza della stessa per proteggere gli interessi delle generazioni presenti e future (Wheeler c. Director de la Procaduría General del Estado de Loja, Juicio No. 11121-2011-0010).
Ora, a dire il vero, nulla di quanto esposto deve sorprendere più di tanto il giurista il quale da sempre ha ravvisato soggetti in una gamma sorprendentemente ampia di ipotesi (M. Graziadei, Diritto soggettivo, potere, interesse, in G. Alpa, et al., Il diritto soggettivo, in Tratt. dir. civ. dir. da R. Sacco, Torino 2001, p. 8. Il dato è anche assodato nella letteratura anglosassone, dove già Salmond, a proposito del concetto di legal person, sosteneva che: «This extension, for good and sufficient reasons, of the conception of personality beyond the class of human being is one of the most noteworthy feats of the legal imagination». J.W. Salmond, Jurisprudence, 4th ed., London 1913, p. 279). Basterebbe infatti pensare ai bizzarri processi – penali ed ecclesiastici – contro insetti, animali, cose inanimate e cadaveri, pratiche ben diffuse in Europa fino al secolo XVIII inoltrato, per capire come, al di là delle motivazioni religiose, simboliche, di deterrenza, di personificazione o revansciste che le giustificarono, le corti pre-moderne abbiano racchiuso l’umano e il non umano in una medesima comunità di giustizia. E pertanto, se la soggettività giuridica deve apprezzarsi come un concetto che ha risposto alle diverse necessità culturali, risulta chiaro che nei differenti stadi di tale evoluzione, lo sdoppiamento fra uomo e soggetto non è stato estraneo all’esperienza giuridica occidentale.
Beninteso, la lezione storica aiuta a capire gli odierni fenomeni di dilatazione della soggettività.
Non può, infatti, nascondersi che l’epoca in cui viviamo, dominata dai progressi infiniti della tecnologia, della scienza e dell’industria nonché dallo sviluppo di nuove tecniche di rappresentanza e di tutela giuridica, prospetta delle sfide al tradizionale novero della soggettività imperniato sull’uomo vivente. Si noterà, per esempio, che la possibilità di dar vita a degli ibridi tra persone e animali o la fusione tra organismi biologici e sistemi cibernetici fissano oggi le agende di dibattito etico e legislativo in molti stati. D’altro canto, l’intelligenza artificiale, dotata di complessi algoritmi cognitivi, diviene sempre più sofisticata e autonoma, sollevando, come si legge in una recente proposta della Commissione Giuridica del Parlamento Europeo in materia di robotica, “la questione della loro natura alla luce delle categorie giuridiche esistenti […] o se deve essere creata una nuova categoria con caratteristiche specifiche proprie e implicazioni per quanto riguarda l’attribuzione di diritti e doveri” (è la lettera T del Progetto di relazione recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica). A sua volta, nelle esperienze comparate più recenti gli animali «esseri senzienti» acquistano uno statuto giuridico proprio e differenziato dal resto degli oggetti di proprietà. E analogamente, l’umanità, ben radicata nel diritto positivo del XX secolo, è destinataria di una insolita e lucida proposta di dichiarazione internazionale del governo francese – Projet de Déclaration des droits de l’humanité – sorta al margine delle negoziazioni della COP 21. Appare, dunque, chiaro che la questione dei nuovi soggetti rappresenta oggi un interessante terreno di dibattito nell’arena politica e del diritto e che l’appartenenza ad una comunità di attori giuridici, lungi dall’essere un attributo derivante dall’ordine biologico, si risolve in una questione tecnica, di diritto positivo, riflesso di scelte di carattere politico e morale di un determinato momento storico.
Evidentemente, per chi si pone dal punto di osservazione del diritto privato ciò riflette un dato ben assodato in dottrina, la quale da tempo ribadisce che, «[l]a coincidenza fra persona fisica e soggetto di diritto, è […] relativa e storica, non assoluta e naturale» (V. Roppo, Diritto privato, Torino 2016, p. 129), sicché  non c’è «nessuna necessità logico-giuridica che imponga di considerare il soggetto di diritto alla stregua di una individualità fisica» (P. Maddalena, Danno pubblico ambientale, Rimini 1990, p. 51, a proposito del bisogno di riconoscere la soggettività plurima nell’ambito del danno ambientale). Oggi, però, la potenzialità di queste affermazioni apre delle alternative sorprendenti per chi lavori con lo sguardo comparativo. In questo contesto potrà difatti misurarsi la portata di una recente e ragionata sentenza della Corte Suprema dello Stato di New York che affrontando il tema della soggettività di due scimpanzé ha reiterato la massima: «[l]egal personhood is not necessary synonymous with being human […] nor have autonomy and self-determination been considered bases for granting rights […]» (The Nonhuman Rights Project v. Stanley, Supreme Court of the State of New York, New York County, Decision and Order, Index. No. 152736/15, July, 29 2015).
Ma torniamo alla natura.
Sotto il profilo del diritto positivo, la rivoluzione che si avvera nell’ambito giurisprudenziale, ebbe inizio in Nord America nel 2006. Quell’anno, la piccola comunità rurale Tamaqua Borough, in Pennsylvania, approvò un’ordinanza che riconosceva i diritti degli ecosistemi inquinati da discariche di rifiuti tossici nonché il diritto della comunità di agire per nome e conto degli stessi. Tre anni dopo, la cittadina di Shapleigh, nel Maine, votò un’ordinanza simile per proteggere le falde acquifere dalla multinazionale Nestlé. Da allora in poi analoghi provvedimenti hanno affermano negli Stati Uniti i diritti inalienabili della natura in diversi comuni. Intanto, l’Ecuador sancì nel 2008 per la prima volta a livello costituzionale i diritti della natura. La natura o Pacha Mama, recita l’art. 71 della Costituzione, «ha il diritto di esistere, persistere, mantenersi, rigenerarsi attraverso i propri cicli vitali, la propria struttura, le proprie funzioni e i propri processi evolutivi». Più di recente, simili provvedimenti sono stati adottati in Bolivia (tramite due leggi: 071 de Derechos de la Madre Tierra 21/12/2010 e n. 300 Ley Marco de la Madre Tierra y Desarrollo Integral para Vivir Bien 15/10/2012) e in alcuni stati del Messico (mediante riconoscimenti avvenuti nelle costituzioni dello Stato di Guerrero, art. 2, ai sensi della riforma approvata il 01/04/2014, e di Città del Messico, art. 18, approvato dal plenum dell’Assemblea Costituente nella sessione dell’11/01/2017).
Esitanti o meno, la verità è che siamo di fronte a un fenomeno giuridico dalle connotazioni globali (si vedano le nove risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, affermando il valore intrinseco della natura e l’approccio terra-centrico, sottolineano dal 2009 la necessità di vivere in Harmony with Nature. Cfr. http://www.harmonywithnatureun.org/chronology.html): la natura acquisisce lo status di soggetto di diritto e il giurista, ben abituato a rimanere nei limiti dello schema antropocentrico delle proprie categorie, è chiamato a riflettere sul valore simbolico e pratico che comporta l’inclusione della biodiversità nel novero della comunità degli attori nel diritto.
Dal primo punto di vista risulta evidente che la proposta rinvii al motto di «deumanizzare il diritto» (su cui già A. Pisanò, Diritti deumanizzatti. Animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Milano 2012), si transita cioè verso l’inclusione dell’insieme di esseri viventi nella sfera degli individui meritevoli di considerazione etica e giuridica, questione che implica avvicinamento della riflessione giuridica al paradigma ecocentrico della deep ecology.
Assodato che il vivente, e non solo l’uomo vivente, risulta posizionato al centro dell’attenzione giuridica, va sottolineato che i diritti della natura rappresentano una prospettiva più radicale del tradizionale approccio del diritto ambientale in quanto riconoscono a essa un valore proprio, un fine a sé stesso, indipendentemente dalle valutazioni soggettive. Ne deriva che la natura si separi dai presupposti antropocentrici che collegano la nozione di danno alla violazione dei diritti umani e che essa si protegga a ragione di ciò che è piuttosto che a ragione di ciò che produce come conseguenze dei suoi rapporti con gli uomini (così M. Hautereau-Boutonnet, La biodiversité saisie par le droit de la responsabilité civile, des valeurs instrumentales et non instrumentales solidaristes, in M. Hautereau-Boutonnet, È. Truilhé-Marengo (dir.), Quelle(s) valeur(s) pour la biodiversité, Paris 2017, p. 294). Siamo pertanto di fronte a un’altra forma di fare giustizia: giustizia «ecologica», giustizia incentrata nell’affermare la sopravvivenza delle specie e degli ecosistemi, giustizia imperniata sulla restaurazione degli ecosistemi e dei loro cicli; giustizia rivolta a riconoscere il valore non strumentale della biodiversità. Potrà il civilista adottare questa prospettiva per osservare il préjudice écologique pur, come di recente introdotto nel Code civil francese (cfr. artt. 1246 al 1252 nel loro nuovo testo fissato dalla legge n. 2016-1087 pour la reconquête de la nature, de la biodiversité et des paysages 08/08/2016). Potrà servirsi di essa per pensare alla natura, alle sue risorse, come entità escluse dalla mera logica dell’appropriazione e del mercato, per pensare al proprietario quale guardiano responsabile di essa.
Siamo, infine, di fronte a un approccio interculturale, che intreccia nozioni giuridiche occidentali (diritto, danno, tutela, rappresentanza) e cosmo-visioni locali (Pacha Mama, olismo, rapporto spirituale con la terra ecc.). I diritti della natura, aprono una preziosa occasione di dialogo interculturale, mettendo in contatto l’antropocentrismo (ineludibile) del diritto con l’ecocentrismo di chi professa, dalle più svariate angolazioni, che il dualismo umano-non umano (cultura-natura) debba dare luogo a una simbiosi nella quale imperi il solidarismo fra umanità e natura.