La proposta di legge organica di amnistia in Spagna: un pasito pa’lante

Lo scorso 17 novembre il leader del Partido Socialista Obrero Español Perdro Sanchez ha prestato giuramento davanti al Re come Primo Ministro, dando vita al suo terzo governo.
La nomina arriva dopo mesi burrascosi di duro confronto politico e qualche azzardo strategico che a luglio ha portato alle urne gli spagnoli dopo lo scioglimento anticipato delle Cortes, voluto dallo stesso Sanchez all’indomani delle elezioni a livello comunitario. In quell’occasione si era registrata la flessione della sinistra e una crescita della destra, anche di quella estrema, assegnando al Partido Popular, per lo più in coalizione con Vox, il governo di diverse comunità autonome.
Come già accaduto in passato, l’atteggiamento del leader socialista, da molti considerato eccessivamente spavaldo, si è rivelato, alla fine, una mossa vincente, capace, al contempo, di limitare, almeno per il momento, l’ascesa dell’estrema destra e di confermare la propria investitura.
Infatti, nonostante a luglio il Partido Popular si fosse confermato il partito più votato, il declino di Vox, non ha permesso alle forze della destra spagnola di ottenere nelle Cortes l’appoggio necessario a formare il nuovo Esecutivo: mettendo in luce il progressivo isolamento del Partido Popular, nei fatti Alberto Feijóo poteva giocarsi solo la carta del possibile accordo con Siantiago Abascal di Vox, mentre va detto che dall’altra parte i socialisti avevano l’opportunità, divenuta poi opzione concreta, di ampliare la propria alleanza oltre la sinistra più radicale di Sumar, coinvolgendo le forze regionali e indipendentiste del Paese.
Non si tratta di una considerazione di poco conto: così facendo infatti, il partito socialista spagnolo ha dimostrato di essere, al momento, l’unico partito in grado di farsi promotore di un’azione politica al passo con i cambiamenti che negli ultimi anni hanno interessato il sistema dei partiti spagnolo, la cui progressiva frammentazione, seppur contenuta rispetto ad altre realtà, ha determinato significativi mutamenti per quel che concerne le dinamiche della forma di governo.
Oltre a Sumar, dunque, l’insediamento del nuovo Governo Sanchez ha potuto contare sull’appoggio dell’arco dei partiti nazionalisti, compresi i due partiti indipendentisti catalani, Esquerra Republicana (ERC) y Junts per Catalunya, la formazione guidata da Carles Puigdemont, riparatosi in Belgio dopo i fatti dell’ottobre del 2017.
Deve essere ricordato, d’altra parte, che si è trattato di un appoggio ottenuto a fronte di un patto di alleanza i cui termini hanno generato il forte dissenso di una parte dell’opinione pubblica, dal momento che puntano su un maggiore riconoscimento della specificità della nazionalità catalana, su una modifica del sistema di fiscalità della comunità e sul suo maggiore coinvolgimento a livello europeo e internazionale.
Ma a scatenare la dura opposizione della destra parlamentare e la reazione di tanti spagnoli nelle piazze è stata in particolare la decisone di vincolare l’appoggio dei partiti catalani alla concessione dell’amnistia per i delitti commessi nell’ambito del processo di indipendenza catalano, più comunemente denominato Procés.
Senza poter contare su altre armi politiche, sono stati i membri di Vox a infiammare il dibattito nelle strade dove qua e là sono comparse anche bandiere franchiste. Da parte loro i popolari hanno cercato di mantenere il più possibile un basso profilo, ma il fatto che tra loro non si sia levata nessuna voce significativa per condannare le violenze o prendere le distanze dagli atti di devastazione, la dice lunga sull’evoluzione del Partido Popular che stando dietro al suo unico potenziale alleato, Vox, si vede costretto in qualche modo a radicalizzarsi.
Lo scorso novembre è stata, dunque, presentata alle Cortes la proposta di Ley orgánica de amnistía para la normalización institucional, política y social en Cataluña, volta a estinguere la responsabilità penale, amministrativa, contabile per gli atti compiuti tra il 1° gennaio 2012 e il 13 novembre 2023 nell’ambito dell’organizzazione, promozione, svolgimento della consulta popolare del 9 novembre 2014 e del referendum indipendentista catalano del 2017.
Quando approvata, i benefici della legge potranno essere richiesti a istanza di parte e la giustizia dovrà pronunciarsi entro due mesi dalla domanda.
È probabile che l’iter legislativo giunga al termine dando vigenza a un provvedimento che secondo prime stime potrebbe beneficiare circa 400 persone tra politici, cittadini e agenti delle forze dell’ordine condannati o attualmente imputati per diversi reati tra cui quello di sedizione, più volte al centro di un ampio dibattito e infine oggetto di riforma con la legge organica n. 14/2022 entrata in vigore nel gennaio del 2023.
Nell’attesa dell’approvazione dell’amnistia, però, gli animi in Spagna non sembrano destinati a placarsi molto presto, mentre la questione ha varcato le frontiere, approdando davanti al Parlamento europeo, dove il plenum è stato chiamato a pronunciarsi sulla conformità dell’atto ai principi dello stato di diritto.
Difficile non confrontarsi con un certo grado di incertezza tentando di orientarsi nelle trame di questa vicenda che affonda le proprie radici nel passato, rimontando quantomeno al 2010 quando il Tribunal Contitucional spagnolo si pronunciò sulla legittimità dello statuto catalano approvato nel 2006 (STC 31/2010).
In particolare, non è possibile allo stato attuale stabilire se il Governo di Pedro Sanchez potrà davvero sostenersi sulle basi di questo accordo di investitura o se la richiesta di amnistia costituisca, come sostengono in molti, il primo gradino di una escalation di richieste di fatto insostenibili per l’Esecutivo. Le prime dichiarazioni di Puigdemont non fanno ben sperare, ma è davvero troppo presto per trarre delle valutazioni, ancorché provvisorie.
Non di meno, se è vero che, per ora non possiamo prevedere le sorti delle Cortes e dell’attuale Governo, restano possibili alcune considerazioni volte a valutare la bontà dell’atto di amnistia come azione politica a sé stante, tenuto conto che questo potrebbe conservare un suo valore e una sua utilità a prescindere dalle contingenze elettorali dell’attuale maggioranza di governo. Il nostro sguardo si sposta allora ad analizzare le potenzialità dell’atto di amnistia nell’ottica dell’interesse nazionale, già richiamato da Sanchez al momento di difendere la proposta di legge.
In questa prospettiva lo stato di incertezza tende quantomeno a dissiparsi. Infatti, dopo la consulta popolare del novembre del 2014 e dopo il culmine di tensione raggiunto con il referendum sull’indipendenza dell’ottobre del 2017 era difficile pensare che in Spagna si potesse tornare a tessere trame di unità senza ridare voce alla politica, che negli ultimi anni si era gradualmente riparata dietro l’azione dei giudici ordinari e costituzionali, abdicando al proprio compito di integrazione politica e gestione del conflitto.
Del resto, che la politica dovesse riprendere le redini della situazione era una consapevolezza con cui la Spagna aveva già dovuto confrontarsi quando nel giugno del 2021 il Consiglio dei ministri, presieduto dallo stesso Pedro Sanchez, aveva approvato i decreti per la concessione dell’indulto a nove dei condannati per i reati di malversazione e sedizione, commessi in Catalogna in occasione della organizzazione e realizzazione del referendum indipendentista del 1° ottobre 2017.
È chiaro che ora ci troviamo di fronte a un atto giuridico di respiro generalizzato e di ben più alta portata politica, ma è altrettanto vero che si tratta di un atto essenziale, capace di porre nuovamente al centro delle tensioni tra Madrid e Barcellona le relazioni di governo, a partire da prospettive assai diverse rispetto agli ultimi anni.
L’amnistia, infatti, è un atto inesorabilmente proiettato al futuro: un futuro che si intende costruire “nonostante” i fatti del passato, piuttosto che “su” fatti del passato. Con essa, del resto, non si rinuncia affatto a esprimere un giudizio di disvalore rispetto a un comportamento; si rinuncia solo alla sua punizione, per favorire l’emersione di nuove strade attraverso le quali provare a consolidare l’unità del corpo sociale a partire da nuove basi, dal momento che, nel caso specifico della Spagna, quelle precedenti sono venute meno o sono state profondamente contaminate dal dibattito e dagli eventi sino a divenire tossiche.
La fermezza nel punire avrebbe manifestato il desiderio di costruire il futuro del Paese a partire dai medesimi presupposti che hanno prodotto la crisi. La rinuncia alla punizione (una volta ribadito il disvalore dell’atto) è, invece, prova della volontà di dare vita a un nuovo progetto politico condiviso. Si vedrà solo in seguito se questo è davvero possibile.
Il caso spagnolo sembra ricordarci che il bisogno di pacificare la società non può soccombere di fronte al desiderio di castigare, di fronte a pulsioni giustizialiste, all’emotività. Non può cedere neppure di fronte a semplicistiche comparazioni con il passato. Se è vero che gli effetti negativi della legge di amnistia del 1976 condizionano ancora pesantemente la vita politica e sociale della Spagna generando tensioni memoriali di difficile composizione, d’altra parte sarebbe sommamente sbagliato fare di tutta l’erba un fascio e non saper individuare le diffidenze strutturali, testuali e di contesto che separano queste due esperienze.
Di fronte alla più grave crisi della Spagna dopo i terribili anni del franchismo, il Governo pare aver deciso di invertire la rotta. Pare aver deciso di rompere con la spirale di rivendicazioni e di rancore che stava ormai risucchiando non solo il sistema politico, bensì l’intera società. Pare aver deciso di rinunciare al ricorso alla giustizia come strumento di vendetta o rivalsa e in questo senso poco importa quanto abbiano pesato le ambizioni di Sanchez in questa scelta.
Non sappiamo a quali esiti porterà la strada intrapresa. È opinione di chi scrive che si trattasse di una scelta necessaria. Resta vero, come ha ricordato lo stesso Primo ministro, che ci sono momenti in cui “tocca fare di necessità virtù”. Ci sono momenti nella storia di uno Stato in cui la giustizia cui possiamo aspirare è tanta quanta la pace sociale consente.