La questione delle vie di accesso legali e sicure dei rifugiati nell’Unione europea: problemi e prospettive del programma “corridoi umanitari”

Il 15 dicembre del 2015 il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero dell’Interno italiani hanno sottoscritto due protocolli con alcune organizzazioni religiose per il progetto “Apertura di corridoi umanitari”, con il proposito di offrire una alternativa sicura di ingresso in Europa per i migranti siriani che si trovano nei campi profughi in Libano. Le organizzazioni promotrici del programma (Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese) sono state pioniere di un progetto che risulta di grande interesse, in quanto rappresenta un punto di rottura con alcune linee di sviluppo delle politiche migratorie italiane ed europee, caratterizzatesi negli ultimi anni per una prevalenza di una logica di “contenimento” dei flussi rispetto alla ricerca di canali di accesso legali all’Unione europea.

L’importanza dei corridoi umanitari risiede in buona parte sul fatto che il progetto rappresenta una via di accesso sicura e diretta al territorio europeo, contribuendo a risolvere, almeno in parte, le criticità degli strumenti di accesso esistenti, come il reinsediamento, gli Humanitarian Admission Programmes e i visti umanitari. Infatti, da un’analisi di questi strumenti si osserva che nonostante in linea teorica rappresentino dei vantaggi incontrovertibili e siano regolati a livello europeo, tuttavia non ne viene fatto un utilizzo significativo né uniforme. Per quanto riguarda il reinsediamento, l’UNHCR continua a sollecitare l’Unione Europea a fare più sforzi vista la sproporzione tra il numero di persone reinsediate e persone che si trovano in situazioni di urgenza. E’ altrettanto importante osservare come a livello globale storicamente siano gli Stati Uniti ed il Canada a fare maggior uso dei piani di reinsediamento.

Pur essendo complementari al reinsediamento e sebbene questo tipo di programmi permetta la possibilità di accedere al territorio europeo a diversi profili che non rientrano nei requisiti previsti da ACNUR per ottenere il reinsediamento, i programmi di ammissione umanitaria (HAP) offrono una protezione di breve periodo (umanitaria o sussidiaria) e al momento ne sono provvisti solo 17 paesi in Europa. E’ altresì rilevante sottolineare come quasi tutti questi paesi abbiano stabilito delle priorità geografiche. Infine, venendo alla questione dei visti umanitari, è noto che il Codice visti permette, grazie agli articoli 19 e 25, la possibilità di rilasciare un visto per “ragioni umanitarie o di interesse nazionale”, concedendo dunque l’opportunità ad un individuo di poter accedere al territorio europeo anche in mancanza dei requisiti richiesti per ottenere un visto. Purtroppo, anche in questa circostanza alcune questioni rimangono poco chiare, ad esempio non si stabilisce se esista un diritto a ricorrere avverso il diniego che di una richiesta di visto umanitario ed è bene ricordare a tal proposito la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europa nel caso “X contro X” (C-638/16 PPU), ha stabilito che a margine dell’art. 25 del regolamento 810/2009 gli Stati membri non hanno l’obbligo, bensì la facoltà, di rilasciare un visto per motivi umanitari. Entrando brevemente nello specifico della questione, la Corte ha escluso che la domanda di visto LTV, giustificata da motivi umanitari e presentata presso la Rappresentanza diplomatica di uno Stato membro in un paese terzo col fine di presentare una domanda di protezione internazionale e quindi di soggiornare nel suddetto Stato membro per più di 90 giorni, rientri nell’ambito di applicazione del Codice Comunitario dei Visti. Pertanto, secondo il parere della Corte, l’unico ambito di applicazione possibile resta il diritto nazionale, escludendo di fatto la possibilità che il che il Codice dei Visti possa essere utilizzato per creare dei canali di ingresso legale verso l’Europa. La sentenza della Corte ha inoltre sottolineato sia l’impossibilità di consentire a cittadini di paesi terzi la possibilità di presentare domande di protezione internazionale nello Stato membro di loro scelta, sia l’impossibilità di presentare una domanda di protezione internazionale presso rappresentanze degli Stati membri situate nel territorio di un paese terzo.

Tornando al programma “Apertura di corridoi umanitari”, occorre sottolineare che il progetto in questione rientra nella categoria degli “sponsorship programmes”, ossia un modello di ingresso ed accoglienza finanziato da un soggetto privato (sia esso un individuo o un’organizzazione) che partecipa alla selezione di un rifugiato o di una famiglia con lo scopo di reinsediarli e impegnanosi a provvedere alle esigenze di tipo economico, sociale ed affettivo per un periodo di tempo determinato. Questo tipo di programma si inscrive nell’ambito delle “Protected Entry Procedures”, programmi complementari al reinsediamento che garantiscono l’estensione della protezione internazionale al di là dell’ambito interno o delle richieste di asilo presentate alle frontiere. Nel caso che qui si analizza, le organizzazioni promotrici si sono incaricate di selezionare tra le persone fuggite dalla Siria gli individui che avevano maggiori necessità di ottenere protezione internazionale, offrendo loro un visto umanitario e un vettore per poter raggiungere l’Italia, nonché l’inserimento in un percorso di integrazione nel nostro paese. Il processo di selezione si realizza grazie alla presenza di volontari sul campo che si relazionano con attori che hanno familiarità con il contesto dei campi profughi e dei campi informali, come comunità ecclesiastiche e ONG. Il criterio base per la selezione è l’identificazione dei profili più vulnerabili, quali persone con disabilità, minori, madri sole. Una volta individuati i possibili beneficiari, un centro coordinatore procede alla valutazione di tutte le segnalazioni e decide dove inviare gli assegnatari.

Al momento, il lavoro di selezione sul campo ha assicurato un riconoscimento delle richieste di asilo del 100%, su un totale di 850 beneficiari che sono giunti tra febbraio 2016 e luglio 2017. La seconda fase del progetto è quella che si riferisce all’integrazione, e in questo caso la Comunità di Sant’Egidio, così come il resto delle organizzazioni, applicano quello che viene chiamato modello di “accoglienza diffusa”. Nello specifico, si tratta di inviare i beneficiari in contesti urbani di modeste dimensioni, dove sia presente una rete di volontari sul territorio e dove sia possibile offrire una serie di servizi come corsi di lingua, mobilità, mediatori culturali, connessione coi servizi pubblici, programmi di formazione e inserimento lavorativo. Questo modello è finalizzato ad assicurare una rapida e solida integrazione, evitando contesti urbani complessi e dispersivi come le grandi città.

Quali sono i risultati del progetto? Il primo risultato importante è sicuramente la decisione di estendere il programma da un gruppo iniziale di 1000 persone ad un totale di 5000. Inoltre, la Comunità di Sant’Egidio ha annunciato l’apertura di altri due corridoi: in Marocco e in Etiopia. Per la precisione, il protocollo per il corridoio in Etiopia è stato firmato il 12 gennaio 2017, al momento è previsto per 500 persone e sarà affiancato dalla collaborazione di CARITAS, UNHCR e OIM. Il progetto ha suscitato molto interesse anche fuori del territorio italiano, infatti diversi paesi hanno chiesto informazioni con l’intenzione di organizzare e offrire programmi uguali o simili. Tra questi il governo tedesco, la Conferenza Episcopale Polacca, la Repubblica di San Marino, il Vaticano e altri. Il feedback più positivo è stato senza dubbio la sottoscrizione per l’apertura di un corridoio umanitario in Libano tra il governo francese, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione protestante francese, la Conferenza Episcopale francese, Entraide Protestante e Secours Catholique. Questo protocollo, sottoscritto il 14 marzo 2017, prevede il trasferimento di 500 persone in un anno e mezzo, considerando però che il 5 lulgio 2017 è arrivato un primo gruppo di 52 beneficiari, di cui 34 minori.

Al fine di offrire una prima valutazione dei corridoi umanitari, bisogna evidenziare diversi aspetti positivi: 1) nonostante non esista un quadro normativo comune a livello europeo, i programmi di patrocinio privato sono contemplati nelle Protected Entry Procedures e consentono la possibilità di ottenere un visto al di fuori del territorio UE; 2) si permette l’ingresso a persone vulnerabili che non dispongono dei requisiti richiesti da altri programmi come il reinsediamento o i programmi di ammissione umanitaria; 3) il programma “Apertura di corridoi umanitari” ha dimostrato quanto l’iter di selezione dei beneficiari svolto sul campo sia un modello affidabile al fine di garantire l’approvazione delle richieste d’asilo, anche se al momento mancano fonti che documentino in maniera dettagliata come avviene questo processo; 4) esiste il vantaggio del contenimento dei costi, dal momento che sono gli enti promotori che si incaricano di finanziare il progetto nelle due fasi, vantaggio che permette dunque di non dover utilizzare le risorse destinate agli altri programmi; 5) il modello di accoglienza privato e organizzato dalla società civile è un modello piuttosto semplice da realizzare, facilita il contatto diretto con la popolazione locale e la sua applicazione in altri paesi – ad esempio il Canada – dimostra che questo modello permette un miglior inserimento nel contesto di arrivo, e questo si deve a due fattori: la volontà della popolazione locale di accogliere, che permette dunque l’inserimento in un contesto protetto e, come rilevato da diversi studi sul modello canadese, la possibilità per il beneficiario di ottenere maggiore capitale sociale grazie al contatto con i volontari del progetto.

Tuttavia, nonostante i risultati sembrano molto positivi, è necessario evidenziare alcuni aspetti problematici. Innanzitutto esistono poche fonti che permettano di rilevare in maniera precisa il funzionamento del programma nelle due fasi: in particolare manca una valutazione economica (al momento esiste solo una stima realizzata da un giornale di circa 2 milioni di euro, secondo quanto rileva M.Cosentino, “Migranti, 848 richiedenti asilo arrivati in Italia con i corridoi umanitari”, Il Fatto Quotidiano, 8 luglio 2017, http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/08/migranti-848-richiedenti-asilo-arrivati-in-italia-con-i-corridoi-umanitari/3712198/) e non sono del tutto chiare le modalità di svolgimento del processo di selezione; è unicamente noto, infatti, che la vulnerabilità è il solo cirterio di selezione e che si intende dare preferenza agli individui che non rientrano nei criteri che utilizza l’UNHCR per realizzare il reinsediamento. Al momento, tuttavia, non si dispone di informazioni più specifiche a riguardo (cfr. sul punto P.Morozzo della Rocca, “I due protocolli d’intesa sui “Corridori umanitari” tra alcuni enti di ispirazione religiosa ed il Governo ed il loro possibile impatto sulle politiche di asilo e immigrazione”, Diritto, Immigrazione e Cittadinanza no.1/2017, p.13).

In conclusione, il fatto che il programma sia organizzato dalla società civile è di per sè encomiabile ma è altrettanto vero che le risorse limitate destinate ad esso restringono in modo considerevole il numero dei potenziali beneficiari. Inoltre, è necessario attendere per stabilire se questo modello di “accoglienza diffusa” è realmente efficace e se può essere considerato un meccanismo per garantire una migliore integrazione, in termini di rapidità ed efficacia. In ogni caso, si tratta di un progetto pilota e pertanto migliorabile e che può rappresentare un punto di partenza per aprire il dibattito sui nuovi sistemi di accoglienza organizzati dalla società civile e, soprattutto, un’alternativa rapida e sicura alle traversate nel Mediterraneo.