Le elezioni presidenziali in Brasile ed il ritorno di Lula al Planalto

Un Paese diviso a metà è quanto emerge dall’esito elettorale che lo scorso 30 ottobre ha visto affermare Luiz Inàcio Lula da Silva sul Presidente uscente Jair Messias Bolsonaro.
Si tratta di un ritorno, quello di Lula, al Palácio do Planalto di Brasilia (sede dell’Esecutivo, nella città capitale federale), avendo egli già ricoperto il medesimo ufficio per due mandati, nel 2002 nel 2006; in entrambe le precedenti occasioni, Lula era riuscito ad imporsi al ballottaggio, superando i candidati avversari con un discreto distacco (sia José Serra che Geraldo Alckmin (oggi suo Vice) erano stati battuti con il 61% ed il 60% dei suffragi).
L’esito delle presidenziali del 2022 assume un significato diverso: il panorama politico e sociale del Brasile appare fortemente polarizzato, come si deduce dalla vittoria “di misura” (il 50,9% di Lula contro il 49,1% di Bolsonaro); non comune è, inoltre, la mancata rielezione di un Presidente uscente per un secondo mandato.
Nel tentativo di cogliere – seppure con i limiti di una riflessione “a caldo” – il significato di questa terza Presidenza di Lula (che prenderà ufficialmente avvio il 1° gennaio 2023, ai sensi dell’art. 4 dell’Emenda Constitucional n. 111 del 28 settembre 2021, che modifica l’art. 82 della Constituição da República Federativa do Brasil del 1988) ed al fine di formulare qualche considerazione sugli indirizzi politici del prossimo futuro, sembra opportuno ricordare gli episodi che hanno recentemente condizionato il dibattito politico brasiliano e, probabilmente, anche quest’ultimo esito elettorale. Al riguardo, giova accennare alla vicenda giudiziaria a carico di Lula; vicenda che non sembra avere scalfito l’influenza politica del leader del Partido dos Trabalhadores; anzi, la conclusione dell’iter processuale – come si dirà dappresso – parrebbe avere rinsaldato la sua popolarità. Su altro versante, occorre non sottovalutare la gestione negazionista della pandemia da parte di Bolsonaro i cui strascichi hanno sicuramente contribuito a segnare la parabola politica discendente del Presidente militare.
In relazione all’accennata vicenda processuale, Lula viene coinvolto nell’inchiesta “Lava Jato” e giudicato colpevole dei reati di corruzione e riciclaggio, sia in primo grado che in appello. In forza di tali decisioni (per le quali viene condannato nonché privato della libertà) e dell’applicazione della Lei Complementar n. 135 del 2010 – nota come Lei da Ficha Limpa, ossia l’atto che disciplina le cause di ineleggibilità –, vede compromessa la possibilità di competere alle elezioni presidenziali del 2018 (elezioni vinte al secondo turno da Bolsonaro, affermatosi con il 55,2% sull’antagonista, esponente del Partido dos Trabalhadores, Fernando Haddad).
Occorre notare come intorno al “caso Lula” si sia fortemente divisa l’opinione pubblica (interna ed internazionale) tra i sostenitori dell’azione della procura (che hanno interpretato l’indagine come necessaria anche in un’ottica di moralizzazione degli ambienti politici ed imprenditoriali) ed i fautori della tesi secondo cui l’iter processuale – avviato dal procuratore federale di Curitiba, Sérgio Moro – sia stato strumentale a colpire la figura politica di Lula e ad allontanare dalla competizione elettorale un leader ancora molto influente e popolare. A dare man forte a tale secondo orientamento, vi è – da parte del Presidente Bolsonaro – la nomina del giudice Moro a Ministro da Justiça e da Segurança Pública (poi dimessosi da tale incarico).
Il ritorno di Lula alla politica attiva e la partecipazione alle elezioni presidenziali del 2022 sono stati resi possibili in ragione della riacquisizione dei diritti politici susseguenti al proscioglimento dell’ex Presidente dalle accuse, tornato in libertà – dopo aver trascorso 580 giorni presso il penitenziario di Curitiba (PA) – in seguito all’accoglimento da parte del STF dell’istanza di Habeas Corpus ed alla decisione di incostituzionalità della reclusione prima dell’espletamento di tutti i gradi di giudizio.
Quanto all’altra vicenda che ha segnato nel più recente periodo il dibattito pubblico in Brasile, non può farsi a meno di menzionare la gestione della pandemia da parte del Presidente Bolsonaro. V’è da rilevare come l’atteggiamento negazionista di quest’ultimo abbia contribuito a scalfirne la credibilità, sia sul piano interno che internazionale, isolandolo, di fatto, dal resto del mondo. Considerato responsabile dell’elevatissimo numero di vittime per Covid-10 in Brasile – che ha sfiorato le 700 mila –, le scelte a questi imputabili hanno innescato una forte tensione interistituzionale (si pensi, tra l’altro, alla netta contrapposizione tra deboli misure adottate dall’Esecutivo e quelle fatte proprie dal Congresso) nonché nella stessa compagine governativa (come dimostrano le fratture interne segnate al vertice del Ministério da Saúde da più di un avvicendamento).
Undici i candidati che al primo turno (2 ottobre) si sono sfidati alle urne per assumere l’incarico di 39° Presidente della República Federativa del Brasile, nessuno dei quali ha raggiunto la soglia necessaria per giungere al Planalto (vale a dire il 50,1% dei suffragi). Come anticipato, il ballottaggio ha visto contendersi per il più alto ufficio del Paese il candidato uscente ed esponente del Partido Liberal Bolsonaro ed il leader del Partido dos Trabalhadores Lula.
Nella medesima tornata elettorale, si sono svolte le elezioni del Congresso federale (o, meglio, il rinnovo di parte del Senado Federal – 27 degli 81 seggi – e l’intera Câmara dos Deputados, con 513 seggi). L’esito delle elezioni politiche ha visto il Partito Liberale imporsi rispetto alle altre forze partitiche; circostanza, quest’ultima, da non sottovalutare, nella misura in cui l’azione di governo del nuovo Presidente non potrà prescindere dagli orientamenti fatti propri da deputati e senatori “bolsonaristas”.
Volendo avanzare alcune ipotesi circa gli indirizzi o, meglio, gli ambiti di intervento che saranno segnati dalla maggiore discontinuità tra Presidente uscente ed entrante spiccano le tematiche relative alle politiche ambientali e di Welfare.
Sul primo versante, l’argomento si coniuga con la questione dell’Amazzonia e l’adozione di misure di “sfruttamento sostenibile” della foresta o derogatorie rispetto ai vincoli di divieto di deforestazione. In tale prospettiva, l’indirizzo politico di Bolsonaro è stato caratterizzato da un ampio ricorso alla deforestazione in favore di progetti di “sviluppo” di vaste aree: si pensi, in particolare, all’aumento di zone destinate alla coltivazione e alla produzione agricola per l’export. Si contemplano, inoltre, le misure adottate dal Governo federale volte ad indebolire il ruolo di istituti quali l’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis (IBAMA) e la Fundação Nacional do Índio (FUNAI). Analoga considerazione può farsi a proposito del Fundo Amazônia, istituito nel 2008 con l’obiettivo di finanziare progetti destinati alla supervisione e riduzione della deforestazione, ma reso di fatto inoperativo mediante la soppressione del Comitê Orientador do Fundo Amazônia (COFE) e del Comitê Técnico do Fundo Amazônia (CTFA). Su tale argomento è stato anche sollecitato il STF in diverse occasioni, tra cui, da ultimo, in sede di Ação Direta de Inconstitucionalidade por Omissão (ADO); decisione mediante la quale la linea del Governo è stata ritenuta omissiva (sentenza 3 novembre 2022).
È ipotizzabile – come accennato – una decisa inversione di tendenza in materia, considerazione deducibile anche solo scorrendo i contenuti del programma elettorale di Lula ovvero osservando le prime esternazioni pubbliche di quest’ultimo, immediatamente successive alla vittoria elettorale (un esempio è rappresentato dalla recente Conferenza ONU sul clima – COP27 –, svoltasi in Egitto, cui Lula ha partecipato quale osservatore non essendo ancora nel pieno delle funzioni). Nel programma elettorale ampi sono i riferimenti alla necessità di adottare misure e politiche rispettose dell’ambiente e della biodiversità, coerenti con un’idea di sviluppo sostenibile. È altresì esplicito il riferimento al potenziamento del Sistema Nacional de Meio Ambiente e del FUNAI, come anche alla riattivazione del Fundo Amazônia. Durante i lavori del COP27, nel ribadire la necessità di fermare la deforestazione dell’Amazzonia, Lula ha proposto la candidatura del Brasile – e dell’Amazzonia in particolare – al futuro COP30, nel 2025, anno in cui si celebrerà il decennale dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
Centrale nell’agenda politica del Presidente Lula è anche l’attenzione prestata ai temi del Welfare. Ci si attende una continuità rispetto alle misure sociali adottate nel corso dei suoi precedenti mandati. Tra gli interventi più noti, si ricorda la realizzazione dei programmi governativi Fome Zero e Bolsa Família finalizzati, mediante l’erogazione di sussidi, ad eradicare il problema della fame e dell’estrema povertà per larghi strati della popolazione nonché a consentire la scolarizzazione e la vaccinazione dei minori. Nelle linee di indirizzo politico proposte dal neo-Presidente figura, dunque, il rilancio della Bolsa Família in una prospettiva che, senza snaturarne le principali caratteristiche, vede il programma in parola adeguarsi alla fase contingente ed alle necessità attuali, con l’obiettivo di addivenire – per tappe ed attraverso una copertura progressivamente più ampia – alla realizzazione di un sistema universale e alla certezza di un reddito di base per ciascun cittadino. Coerente con tali misure, viene altresì proposto un ampliamento del Sistema Único de Assistência Social (SUAS) e del Sistema Único de Saúde (SUS) e, in senso speculare, un indirizzo politico volto a limitare, nel complesso, le privatizzazioni.
Le divergenze rispetto al mandato di Bolsonaro appaiono dunque nette. Meno nette, ovviamente, quelle rispetto ai precedenti mandati di Lula sebbene, al tal proposito, non si può fare a meno di sottolineare come profondamente cambiato sia il contesto in cui Lula si troverà a governare. Dall’epoca dei primi due mandati, infatti, c’è stata una pandemia e le dinamiche internazionali sono oggi segnate da un conflitto bellico destinato a protrarsi nel tempo e a proposito del quale si stanno ricomponendo le alleanze internazionali. Sul versante interno, non va poi sottaciuto il processo di erosione del costituzionalismo e, per quel che riguarda il profilo più strettamente politico, il seguente dato: se, infatti, prevedibile può apparire la linea di governo che sarà condotta dal Lula (almeno in relazione ai richiamati ambiti del Welfare e delle politiche ambientali), non irrilevante è la circostanza per cui ostacoli verranno posti all’attuazione di politiche economiche di tipo assistenzialista atteso che un’ampia parte del Congresso nonché molti governatori statali sono sostenitori di Bolsonaro e di un’impostazione aderente alle politiche neoliberiste.