Libertà d’espressione: la Lista Pannella ottiene ristoro da una doppia pronuncia della Corte EDU

Con due sentenze, rese pubbliche il 31 agosto 2021, la prima sezione  della Corte europea dei diritti dell’uomo ha giudicato l’Italia in materia di libertà d’espressione. In particolare, nel caso Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella e Radicali Italiani c. Italia (Ricorso n. 20002/13, a seguire “il primo caso”), la Corte emette una decisione di accoglimento parziale, rigettando la lamentata violazione dell’art. 10 CEDU ma, al contempo, riconoscendo l’assenza di un ricorso effettivo, come previsto dall’art. 13 CEDU. Quanto al caso Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella c. Italia (Ricorso n. 66984/14, d’ora in poi “secondo caso”), si rappresenta una decisione di accoglimento pieno, certificando il mancato rispetto del pluralismo informativo in ambito televisivo.
Il primo ricorso nasce da vicende che risalgono alla fine delle elezioni del 2008, anno in cui la RAI annuncia che verranno soppresse le Tribune politiche, trasmissioni aventi natura di comunicazione politica in cui, nei periodi non interessati da campagne elettorali o referendarie, i “soggetti politici” venivano invitati a esprimere le proprie idee e informare i cittadini mediante forme di contraddittorio (qui la Delibera del 2002 che le disciplinava). Tuttavia, il potere di regolamentazione spettante in via esclusiva alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (d’ora in poi, Commissione per la vigilanza) a partire da quell’anno non viene più esercitato. La mancanza di istruzioni impedirà, quindi, alla RAI la riprogrammazione delle Tribune.
Secondo le due associazioni ricorrenti, l’inerzia parlamentare avrebbe provocato una violazione della libertà di manifestare liberamente le loro opinioni, impedendo loro di partecipare a dibattiti su argomenti politici estremamente significativi.
Un primo nodo che la Corte EDU è chiamata a sciogliere riguarda, dunque, la qualificazione dei soggetti interessati come “politici”, poiché i frequenti mutamenti di denominazione dei movimenti della cd. galassia radicale avevano sovente, come sottolinea il Governo italiano, provocato problemi di imputabilità degli atti (e conseguentemente, dei diritti).
In effetti, secondo quanto risulta dal Testo coordinato della delibera sulla comunicazione politica e messaggi autogestiti in periodo non interessato da campagne elettorali o referendarie,  approvato dalla Commissione per la vigilanza nel 2002, la disciplina delle tribune politiche tematiche atta ad assicurare l’accesso paritario all’informazione e alla comunicazione politica può essere applicata ai soli c.d. soggetti politici.
L’art. 2 li definisce in maniera alquanto precisa, distinguendo l’ambito nazionale da quello regionale. Con riguardo al primo, sono certamente soggetti politici quelle forze politiche che trovano una proiezione in un corrispondente gruppo parlamentare costituito alla Camera o al Senato, nonché quelle, diverse dalle prime, che hanno “eletto con proprio simbolo almeno due rappresentanti al Parlamento europeo”. Fanno parte della categoria altresì le forze politiche che hanno membri delle Camere riferibili alle minoranze linguistiche o, ancora, i componenti del gruppo misto in uno dei due rami del Parlamento (da considerare, però, come una forza politica unica). Infine, anche i Comitati promotori di un referendum abrogativo sono definibili come “soggetti politici”, a condizione che la Corte di Cassazione abbia definitivamente accertato la legittimità della campagna referendaria e che la comunicazione politica riguardi temi ad essa correlati. Quanto all’ambito regionale, esulando dal presente discorso, si rimanda al testo integrale dell’articolo appena citato.
Il rilievo circa l’assenza della denominazione “partiti politici” da questa fonte secondaria di regolamentazione non è certo una questione di lana caprina: già con la sent. n. 225 del 1974 la Corte costituzionale aveva indirettamente segnato i limiti del ricorso a tale appellativo, evitando con ogni cautela di farvi riferimento. Cosicché, nell’esprimere un invito a legiferare in materia di comunicazione radiotelevisiva e pluralismo informativo, essa si rivolgeva al Parlamento affinché la regolamentazione dei programmi di informazione e culturali fosse realizzata attraverso la predisposizione di “direttive” atte a rispecchiare “la ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero”. Inoltre, nell’attuazione dell’art. 21 Cost., essa auspicava che l’accesso alla radiotelevisione potesse essere imparziale nei confronti di tutti i “gruppi politici, religiosi, culturali nei quali si esprimono le varie ideologie presenti nella società”, avvertendo che gli organi direttivi “dell’ente gestore” non dovessero essere “costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo”.
I partiti, insomma, non venivano menzionati una sola volta, tant’è che la chiarificazione di questa ambiguità che avvolge, forse intenzionalmente, la stessa nozione di soggetti politici viene differita all’ultimo momento utile, ossia il contenzioso presso i tribunali. Nella specie, infatti, è il Tar del Lazio che, investito dalla questione dalle due associazioni ricorrenti, con sent. n. 8064 del 2001, riconosce alla sola Lista Marco Pannella la qualità di “soggetto politico”, conformemente all’art. 7 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Quanto ai Radicali Italiani, la Corte europea non sembra accogliere l’argomentazione del Governo italiano, fondata sul fatto che i Radicali per statuto non possono presentare candidati alle elezioni. Differentemente, essa insiste sull’interrogativo se i medesimi possano essere qualificabili come vittima potenziale di una violazione della Convenzione. E in tal senso, esclude l’argomentazione volta a estromettere un comitato referendario, in quanto non portatore di un interesse attuale in periodi anteriori o posteriori alla celebrazione del referendum. Piuttosto, la Corte afferma che il ricorrente non può qualificarsi come “vittima” ai sensi dell’art. 34 CEDU, a meno che non sia stato direttamente leso dall’azione o dall’omissione in discussione o rischi di subirne gli effetti in futuro. Tale principio, già riconosciuto nel caso Monnat c. Svizzera viene applicato alla fattispecie concreta per escludere dal giudizio i Radicali Italiani.
Laddove, poi, con una serie di argomentazioni tecniche, la Corte respinge l’idea che la soppressione di una trasmissione televisiva abbia come effetto la limitazione del diritto di espressione di un movimento politico, giudicando che gli effetti di tale atto si rivolgono indistintamente a tutta la platea dei soggetti politici, e non a carico di uno solo (si vd. VgT c. Svizzera e TV Vest c. Norvegia) al contrario, riconosce la violazione del diritto ad un ricorso effettivo. La Lista Pannella, infatti, si è trovata davanti al rifiuto del giudice amministrativo a conoscere della questione, motivato dal fatto che la decisione della Commissione di vigilanza fosse un atto politico e, come tale, insindacabile in quanto rientrante nel discrezionale margine di apprezzamento parlamentare.
Alla luce di ciò, non può trascurarsi il fatto che la sentenza in commento, che pure contiene un “regolamento dei conti” di vicende alquanto risalenti, può avere echi molto attuali. La non appellabilità delle decisioni della Commissione di vigilanza costituisce, infatti, un vulnus strutturale da sanare subito, possibilmente entro novembre, data in cui la sentenza diventerà definitiva e certe forze politiche attualmente rappresentate in Parlamento avrebbero tutto l’interesse a guadagnare uno strumento ulteriore a corredo del right to dissent. A maggior ragione, è fortemente inappagante il vuoto di gravame a seguito di inerzia della Commissione stessa, poiché il mancato impulso può, come nella specie, impedire la riprogrammazione di una trasmissione televisiva, provocando delle variazioni ai formati tradizionali di sviluppo del dibattito politico.
Un tassello decisivo, ma giustamente assente, nel puzzle disegnato da questo arresto riguarda l’individuazione del soggetto chiamato a verificare in seconda battuta la legittimità delle decisioni della Commissione di vigilanza. Per soddisfare i requisiti della CEDU, il ricorso dovrebbe essere azionabile presso un’autorità terza, imparziale e indipendente, avvalendosi di una procedura che assicuri il rispetto dei principi del giusto processo e la possibilità di intervento di tutte le parti interessate. Una vocazione naturale a rivestire tale ruolo potrebbe essere rintracciata nell’AGCOM, ma c’è chi, come Bultrini, estensore del primo ricorso, ritiene che il compito meglio potrebbe essere svolto dalla figura, di creazione svedese ma ancora assente dal panorama istituzionale italiano, dell’Ombudsman.
Rievocando in maniera sommaria i fatti del secondo caso, invece, va detto che la Lista Pannella ha lamentato l’esclusione in un dato periodo dai mezzi di informazione (telegiornali nazionali e talk show televisivi), in spregio ai principi di imparzialità e di pluralismo dell’informazione. Investita dalla questione, l’AGCOM sceglie per due volte di non dar seguito al ricorso, giudicando che l’associazione aveva fruito di un tempo di antenna e di parola sufficiente, se paragonato ad altre forze politiche che difettavano di rappresentanti nelle istituzioni parlamentari. Il TAR del Lazio annulla la delibera impugnata n. 137/10/CSP con sent. 8064/2011, statuendo che l’AGCOM non aveva tenuto in dovuta considerazione il fatto che, per effetto di un accordo politico, la Lista Marco Pannella aveva ben nove rappresentanti eletti, iscritti però all’interno del gruppo Partito Democratico. Pertanto, la medesima non poteva essere assimilata ad una qualsiasi forza politica priva di eletti. Se questo assunto non può ampliare lo spettro definitorio della nozione di “soggetto politico” ut supra, certamente però è ritenuto idoneo a fondare una pronuncia che denuncia la carenza di motivazioni della delibera AGCOM.
Dopo una richiesta di ottemperanza, l’AGCOM emette un ulteriore provvedimento di archiviazione degli atti (n. 474/12/CONS), ritenendo che la figura dell’“accordo politico” non esiste nel tenore logico e letterale delle disposizioni che regolano la materia. Al massimo, “dimostra che [il partito democratico] ne incorpora e rappresenta le istanze a livello parlamentare e a livello mediatico”, cosicché il tempo attribuito al PD non può essere disgiunto da quello calcolato per i radicali.
Un successivo giudizio di ottemperanza dà ancora una volta ragione alla Lista Marco Pannella ma i tempi di antenna forniti a titolo compensatorio dalla RAI non sono ritenuti sufficienti. Da qui, il ricorso alla Corte europea che, dopo aver analizzato la legislazione interna e la pratica pregressa dell’AGCOM, constata il mancato rispetto del “principio di autonoma considerazione” delle trasmissioni di c.d. infotainement, cardine della prassi dell’AGCOM sul pluralismo informativo. Diversamente dalle trasmissioni di comunicazione politica, infatti, queste ultime non devono sottostare a rigidi criteri di ripartizione matematica dei tempi ma, nondimeno, devono rispettare il principio generale che situazioni simili devono essere trattate in maniera eguale. Inoltre, il dovere di cronaca desumibile dall’art. 21 Cost. solo può essere costituzionalmente compatibile in quanto fornisca una completa, obiettiva e attendibile rappresentazione delle diverse istanze politico-istituzionali. Ciò non sarebbe avvenuto nel caso di specie, poiché il mancato rispetto delle decisioni del TAR avrebbe provocato un pregiudizio morale alla ricorrente, inficiando il libero dispiegarsi del dibattito politico. Il monito contenuto nella pronuncia della Corte europea è grave e solenne: richiamando i casi Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia e Manole et al. c. Moldova, essa dichiara che non vi è democrazia senza pluralismo. In conclusione, il ristoro pecuniario di questa condanna, tutto sommato, può essere ritenuto modesto (12 mila euro), ma non vi è dubbio che le ripercussioni future della pronuncia saranno tutt’altro che di minima portata. Per citare solo tre spunti, basti pensare al risalto che viene dato ai c.d. accordi politici per la qualifica di soggetto avente diritto ad un accesso paritario ai mezzi di comunicazione televisivi; alla esortazione che la Corte compie all’Italia sulla governance dei media statali, invocando il binomio pluralismo-democraticità; nonché alla considerazione che per la seconda volta, dopo il caso Centro Europa 7 S.r.l., la Corte EDU diventa giudice d’appello delle decisioni di un’Autorità indipendente nazionale, appurando, con un controllo “di legittimità”, alcune gravi carenze motivazionali.