“L’interpretazione del diritto parlamentare” di Renato Ibrido, Franco Angeli, Milano 2015.

Il volume di Renato Ibrido, premiato dall’editore come miglior proposta dell’anno per le discipline pubblicistiche, possiede diversi pregi degni di nota.

Prima di tutto si tratta di un lavoro ambizioso. Lo è innanzitutto perché abbraccia senza timore la tematica della morfologia e della funzione del diritto parlamentare nel suo complesso, evitando quindi una diffusa tendenza a studiare le questioni da un punto di vista eccessivamente settoriale e quasi settario, il che può rappresentare una tentazione a maggior ragione quando ci si occupi degli interna corporis e dei meccanismi giuridici sviluppati all’interno di comunità “chiuse”.

Il volume si occupa di definire il ruolo e la forma del diritto parlamentare, in rapporto sia alle garanzie costituzionali che alle esigenze di funzionamento delle assemblee elettive, distinguendo in modo molto chiaro tra “grandi” e “piccole” regole di diritto parlamentare (p. 117), fornendo cioè una chiave per evitare le frequenti, ma inopportune, sovrapposizioni tra le meta-norme, consustanziali al processo legislativo, e le questioni – anche controverse – connesse all’efficienza della prassi o all’organizzazione dei lavori.

La monografia riprende opportunamente in esame le principali problematiche inerenti l’autonomia e la collocazione sistematica del materia del diritto parlamentare; questo notevole sforzo ricognitivo si colloca sicuramente a valle dell’ampia manualistica che ha esaminato in dettaglio le sfumature dei confini della disciplina (soprattutto quanto al suo peculiare rapporto con il diritto costituzionale generale) ma risulta oltremodo utile in un contesto, quale quello attuale, di aumentata complessità di piani e di rapide trasformazioni sul versante della politica. Analogamente d’interesse è il tentativo di isolare e qualificare i caratteri di specialità del diritto parlamentare, che l’A. riconduce a cinque fattori che definisce di «irregolarità» (p. 123): delle irregolarità che, però, dalla lettura, risultano conferire alla materia un carattere di autonomia più che di estemporaneità.

L’ulteriore fattore di ambizione che connota lo studio monografico di Ibrido è rappresentato dalla ricostruzione dei tratti fondamentali del diritto parlamentare attraverso l’ampio utilizzo della prospettiva storica e della comparazione, valorizzando così le aperture e le suggestioni della Scuola cui l’A. appartiene. Soprattutto questa seconda prospettiva, data dal metodo comparato, conferisce allo scritto caratteri di originalità, contribuendo ad inquadrare alcune delle principali problematiche del diritto delle assemblee in un contesto di assonanze europee, rendendo ragione di come nei diversi ordinamenti si siano adottate soluzioni più o meno divergenti in risposta a esigenze procedurali in buona parte comuni. La scelta dei Paesi studiati, oltre all’Italia, rispecchia una scelta di metodo ben meditata (p. 31): l’Inghilterra, per la sua tradizione e per lo sviluppo di un sistema casistico e consuetudinario di rilievo straordinario, e la Spagna, che – al contrario – ha creato un sistema di regole parlamentari in tempi molto recenti, optando per una sistematica procedimentalizzazione dei conflitti, che l’A. definisce «giudizializzazione». Non mancano, comunque, nel corso della trattazione, i necessari riferimenti ad altri attori imprescindibili del costituzionalismo europeo, in particolar modo Francia e Germania.

Quanto all’indirizzo contenutistico, la monografia utilizza come criteri guida nella disamina alcuni elementi fondamentali nell’architettura del diritto parlamentare: il ruolo interpretativo-normativo dei Presidenti di Assemblea, il potere delle Presidenze di mettere in atto le misure necessarie al “buon andamento” dei lavori parlamentari, le caratteristiche di flessibilità e di sperimentalità delle norme.

Ne emerge un quadro sicuramente frastagliato e ricco di spunti problematici, ma l’A. riesce a ricondurre molte delle questioni aperte a criteri e canoni solidamente ancorati alla tradizione della giuspubblicistica, dando nel complesso un’immagine di minor destrutturazione del quadro delle regole parlamentari di quella che trapela da altre analisi a carattere più episodico.

Ciò non toglie, peraltro, che si colga in modo molto netto uno dei principali problemi che minacciano la vitalità stessa del diritto parlamentare, ossia la progressiva erosione del sistema delle fonti scritte a beneficio di una primazia della funzione interpretativa, così che in luogo di uno schema normativo piramidale si promuove la «capacità del diritto parlamentare di rispondere ad un quadro di valori che il “mosaico parlamentare” è chiamato a proteggere ed attualizzare» (p. 112). Forse il ragionamento dell’A. potrebbe essere integrato dalla constatazione che il sistema giuridico parlamentare ha comunque dimostrato una capacità nomopoietica non trascurabile, individuando soluzioni, anche articolate, per affrontare problemi concreti di grande momento, quali l’utilizzo estensivo della questione di fiducia, l’impiego ostruzionistico della funzione emendativa, il monopolio informativo delle strutture di Governo, solo per citare qualche esempio. Certo, l’A. indica un problema reale quando stigmatizza la minor attenzione per la “manutenzione” dei Regolamenti nelle ultime legislature (p. 113), con il conseguente appesantimento della funzione ermeneutica volta alla soluzione del singolo caso e della selezione del precedente.

Va, peraltro, riconosciuto che lo studio di Renato Ibrido individua in modo molto puntuale alcuni nodi che permangono problematici, e la cui importanza è dimostrata dalle vivaci discussioni che suscitano nella vita parlamentare: ciò sia per quanto attiene alle questioni di sistema, come ad esempio la capacità delle norme parlamentari di produrre effetti vincolanti su soggetti terzi (p. 75), sia per quel che riguarda le norme sulla produzione, come il collegamento tra Commissioni e Conferenza dei Capigruppo per la selezione dei provvedimenti da inserire nel Calendario dei lavori (p. 184) o le differenze di valutazione nel vaglio di ammissibilità degli emendamenti (p. 250).

L’A. invita ad una valorizzazione della funzione interpretativa, intesa però nel senso di una minimizzazione dell’arbitrio decisionale verso un più sistematico utilizzo di chiavi di lettura piuttosto innovative per l’ambito regolamentare: l’impiego della clausola del “buon andamento” dei lavori come regola di riconoscimento dei processi decisionali, la comparazione tra regolamenti e tra ordinamenti, l’utilizzo di forme di interpretazione costituzionalmente orientate.

Queste conclusioni di metodo arricchiscono un saggio sicuramente in grado di marcare una tappa significativa nel percorso di sistematizzazione dei processi ermeneutici parlamentari, per andare oltre le diffuse constatazioni circa l’insufficienza e l’obsolescenza della dogmatica delle fonti.