Pedro Sanchez concede l’indulto: coraggio della politica o incauto atto?

Lo scorso 22 giugno, il Consiglio dei Ministri spagnolo ha approvato i decreti per la concessione dell’indulto a nove dei condannati per i reati di malversazione e sedizione, commessi in Catalogna in occasione della organizzazione e realizzazione del referendum indipendentista del 1° ottobre 2017.
L’atto di grazia, che non riguarda la posizione di Carles Puigdemont e dei suoi più stretti collaboratori, interviene a due anni dalla sentenza di condanna del Tribunal Supremo, quando ormai alcuni dei leader imprigionati hanno scontato la maggior parte della pena loro comminata (…non così il leader di ERC, Oriol Junqueras condannato a tredici anni di reclusione…). Non di meno, rappresenta un atto di grande impatto politico, destinato a segnare una nuova tappa nell’annosa saga delle rivendicazioni secessioniste catalane.
Comunque lo si guardi, ossia a prescindere dal fatto che lo si consideri viziato nella forma o meno, strategicamente indovinato o totalmente fuori luogo, avventato o pericoloso, quel che non può essere negato è che si tratta di un atto di estremo coraggio politico che obbliga l’osservatore a riconoscere che con esso il Governo spagnolo segna una svolta nelle relazioni Madrid-Barcellona, ormai ridotte ai ferri corti.
Con l’indulto Pedro Sanchez sembra prima di tutto voler riportare (o almeno tentare di riportare…) la questione catalana entro l’alveo della politica. Non che essa debba dirsi estranea ad altri ambiti; bisogna riconoscere, però, che proprio lo spazio occupato da questi “altri ambiti”, quello giudiziario, per esempio, con il tempo ha finito con il crescere ipertroficamente, appiattendo il dibattito pubblico sul dilemma “è lecito” o “non è lecito” e trasformando  la politica in una mera opzione da cui è possibile (a volte auspicabile, altre necessario) prescindere, affidandole tutt’al più un ruolo di guardiano dell’ordine costituito, legittimata  in extremis a ricorrere alla giurisdizione costituzionale laddove il ruolo della giustizia ordinaria, debitamente mobilitata, non fosse sufficiente.
Si potrebbe giungere a dire che il Governo spagnolo con l’atto di Sanchez abbia voluto assumere il ruolo di “parte diligente”. In una condizione a tal punto deteriorata e destinata, rebus sic stantibus, a peggiorare ulteriormente, compromettendo ogni ipotesi di comunicazione tra le parti, il Primo Ministro ha voluto compiere il primo passo. E il primo passo, si sa, è sempre quello più azzardato, quello che attira più critiche, quello che lascia disarmati e per questo può costare caro: non di meno a un certo punto diviene necessario compierlo se si vuole uscire da una situazione di stallo, ma soprattutto se si vuole invertire la direzione di marcia per evitare lo schianto.
È un atto di coraggio, si diceva, l’aver firmato i decreti di indulto. Lo è perché è un atto compiuto pressoché in solitudine e senza poter contare su alcuna certezza per quel che concerne l’esito dell’impresa.
La decisione arriva al termine di un iter formalmente avviato dall’avvocato Francesc de Jufresa in favore dei condannati, che hanno voluto mantenersi al margine sin dalle prime battute, quasi a sottolineare la distanza che li separa dalle istituzioni spagnole. La legge consente, infatti, che l’istanza al Governo possa essere presentata da un terzo.
La richiesta di indulto è un atto tutt’altro che raro nell’ordinamento spagnolo, nonostante l’istituto sia fortemente criticato dalla dottrina, in quanto la sua disciplina è piuttosto desueta. Solo nell’ultimo trimestre del 2020 sono state depositate presso il Governo ben 1.664 richieste di indulto. Di queste solo 18 si sono chiuse positivamente. Più insolito è che essa venga portata avanti a prescindere dalle resistenze manifestate dal sistema.
Che partiti all’opposizione quali il Partido Popular, Ciudadanos e Vox dichiarassero la loro intenzione di ricorrere contro i decreti poteva darsi per scontato. Lo faranno secondo quanto previsto dalla legge rivolgendosi alla Sala de lo Contencioso-Administrativo del Tribunal Supremo, anche se la loro legittimazione è ancora tutta da dimostrare, potendo mancare un loro diretto interesse ad agire.
La via intrapresa da Sanchez, però, non trova sostegno unanime neppure all’interno del suo partito. Sin dalle prime dichiarazione, infatti, è emersa una chiara spaccatura tra la posizione assunta dai vertici del PSOE a livello territoriale e quelli che operano in ambito centrale. È possibile che non si tratti di un vero dissenso ideologico. Molto probabilmente  la contrapposizione a Sanchez emersa nelle Comunità autonomiche è frutto di strategie elettorali più che di posizionamenti politici: non si dimentichi che mentre Madrid non vede all’orizzonte imminenti appuntamenti alle urne (e dunque conta di poter ammortizzare l’eventuale contraccolpo in termini di consenso sul lungo periodo), le istituzioni autonomiche si trovano, in molti, casi nelle condizioni di dover fronteggiare in tempi più o meno brevi il disappunto degli elettori che, essendo stati fino a ieri invitati a opporsi agli indipendentisti nemici della Spagna, probabilmente affideranno al voto il loro senso di disorientamento.
Infine, la procedura prevede che la decisione del Consiglio dei Ministri intervenga dopo aver acquisito il parere obbligatorio della Procura e dell’organo giudicante che ha emesso la condanna per cui si chiede la grazia. Nel caso di specie il parere necessario era quello del Tribunal Supremo.
Orbene, anche rispetto a questo aspetto procedurale, il governo Sanchez ha proceduto solitario, mostrando con ciò tutta l’eccezionalità della vicenda. Se è vero, infatti, che i pareri da richiedere non vincolano l’Esecutivo, è altrettanto vero che non era mai accaduto che questo procedesse in aperta opposizione rispetto all’organo giudicante e alla Procura. Capita per la prima volta oggi; capita con i condannati per i fatti del 1-O…e forse non è un caso, a riprova della peculiarità e straordinarietà di quello che sta accadendo in Spagna. E’ bene ricordarlo, perché sull’eccezionalità come presupposto a quanto deciso dal Governo si tornerà a breve.
Tanto il Ministerio Fiscal, quanto il Tribunal Supremo avevano manifestato la loro contrarietà fondata in primo luogo sull’assenza dei presupposti di legge necessari.
La norma in materia prevede che l’indulto possa essere concesso laddove si ravvisino ragioni di equidad, justicia o utilidad pública. Tali presupposti devono essere esplicitati da quando nel 2013 il Tribunale Supremo ha ritenuto essenziale che il decreto di indulto fosse motivato.
Gli organi consultati ritengono che il fatto che i detenuti non abbiano mai dato mostra di ravvedimento privi di ogni possibile utilità pubblica il provvedimento di indulto, dal momento che esso non rappresenterebbe, come sostiene il Governo, un atto necessario per aprire uno spazio di conciliazione tra Madrid e Barcellona, ma solo l’occasione per riaccendere la vis oppositiva degli indipendentisti. Il pentimento, in tal senso, pur non costituendo condicio sine qua non, finirebbe con il rappresentare un passaggio obbligato al momento di dover costruire la motivazione dell’atto la cui debolezza potrebbe essere motivo di ricorso presso la Sala de lo Contencioso-administrativo.
A ciò si aggiunga che nel parere emesso dalla Procura si arriva addirittura a ipotizzare un vizio originario di legittimazione da parte del Governo a emettere i decreti di indulto: dal momento che alcuni dei soggetti che godranno dell’atto di grazia sono dirigenti di uno dei partiti che attualmente sostiene l’Esecutivo nazionale si ritiene che si possa ravvisare un conflitto tale da inficiare l’imparzialità del Primo Ministro…insomma, pareri duri che paiono voler rimarcare i confini di una questione considerata di natura giurisdizionale, rispetto alla quale la politica deve a priori  restare fuori.
In realtà, è vero che l’indulto non era l’unica via possibile per provare a iniziare a sciogliere i nodi di una matassa di cui non si trova più il bandolo.
È già stato avviato un processo di riforma del Codice penale, con l’intento di modificare i titoli che riguardano la protezione dell’ordine costituzionale, in particolare la sedizione, ma anche il reato di ribellione, disobbedienza, disordine pubblico…; allo stesso tempo si è aperto un dibattito per l’approvazione di una legge organica sull’amnistia.
Non di meno, non per ubris, ma probabilmente per senso pratico, il Governo ha ritenuto di non potersi affidare a queste soluzioni alternative per trovare una via d’uscita alla grave crisi istituzionale in cui è precipitata la Spagna. Una riforma del Codice penale nei termini presentati non avrebbe riguardato i condannati per malversazione, che per questo non avrebbero goduto dei benefici di una possibile modifica; d’altra parte, l’approvazione di una normativa di rango organico per l’amnistia, oltre che di incerta sorte, avrebbe impiegato un tempo di gestazione e approvazione difficile da quantificare. A ciò si aggiunga che i precedenti storici in tema di amnistia in Spagna non facevano ben sperare sulla possibilità che questa via potesse davvero rappresentare un cammino verso la conciliazione.
Dunque, è vero che esistevano altre vie, per così dire meno d’impatto e meno emotive. Eppure, gettando il cuore oltre l’ostacolo, è alla più “politica” tra le opzioni che Sanchez si è affidato. Un atto straordinario per far fronte a una situazione straordinaria.
Ogni altra soluzione avrebbe saputo di uscita di emergenza…quella dell’indulto assunta nonostante tutto, sa di riscatto della politica; di desiderio di riassegnarle un primato, laddove il diritto non può far altro che segnare una distanza, dal momento che, lo si voglia ammettere o no, esiste una parte del territorio spagnolo che quel diritto non lo considera più come legittimo. C’è un problema di riconoscimento politico-sociale in Spagna. Se non si restipulano le basi per un riconoscimento reciproco sul piano politico non c’è diritto che possa valere, perché è la comunicazione e l’autorevolezza che sono venuti a mancare. Con il suo gesto Sanchez si presenta inerme e nel concedere il perdono dello Stato spariglia le carte, quasi a voler ribadire, nel senso in cui di perdono parla Paul Ricoeur, che, sicuramente, le parti in gioco in questa vicenda, che ha colpito profondamente la democrazia spagnola, sono capaci di gesti migliori di quelli compiuti sinora.
Rischia di pagare un pedaggio altissimo per la strada intrapresa. L’ira politica degli spagnoli potrebbe essere più alta del previsto dopo anni in cui è stata alimentata la contrapposizione; d’altra parte, il gesto potrebbe non essere apprezzato sino in fondo nella sua portata politica dalla controparte e quindi strumentalizzato.
Sicuramente vi è consapevolezza dei pericoli cui Sanchez si è esposto.
Eppure bisognerà ammettere che la storia insegna che la pace la si fa con gli strumenti che si hanno in mano e accettando le condizioni date. Tanta pace quanto la situazione consente; tanta giustizia quanto la situazione permette…La riconciliazione sociale di una comunità politica pretende sempre l’accettazione di un’alea politica. Del resto per volontà politica si è giunti a simili estremi e solo con volontà politica, ricostruendo e tendendo ponti, come solo la politica può fare, se ne uscirà fuori.
Si può solo sperare che il rischio assunto da Sanchez sia un rischio calcolato. Le parole di Junqueras seguite all’annuncio del Governo fanno ben sperare quando, pur non rinunciando a chiedere un referendum per l’indipendenza della Catalogna, ribadisce che la via da seguire per ottenerlo deve essere quella del confronto e dell’accordo politico.
L’atto del Governo sembra dare i primi segni di distensione se è vero che la macchina politica si è già messa in moto e il dialogo tra Pedro Sanchez e il Presidente della Generalitat Pere Aragonès è ripreso.
Che si dia o meno il via libera a una consultazione popolare sulle sorti della Catalogna, la Spagna nei prossimi anni si vedrà comunque costretta a confrontarsi con la revisione della sua Costituzione…è bene iniziare a preparare sin da ora le basi sociali e politiche perché quel momento non colga impreparato nessuno.