Per Karlsruhe niente Zeitenwende. O forse si?

Il Bundesverfassungsgericht ha respinto i ricorsi (Lucke e altri, Weiss) contro la Decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea del 14 dicembre 2020, con la quale è stato avviato il piano Next generation EU. Già nel 2020 il Tribunale, dopo una valutazione preliminare, aveva respinto due richieste per un provvedimento urgente e il Presidente Steinmeier aveva firmato la legge di ratifica tedesca, necessaria perché la Decisione, che richiede l’approvazione di tutti gli Stati membri (art. 311, comma 3 del TFUE), potesse essere adottata, come poi avvenuto.
La sentenza è stata redatta dal giudice Peter Huber, che termina così il suo mandato: resta da verificare se l’impostazione elaborata con la presidenza di Andreas Voßkuhle reggerà al cambiamento generazionale o se il Tribunale deciderà per una nuova strada. Va anche segnalato che pochi giorni dopo Karlsruhe ha anche respinto il ricorso sulla modifica del MES.
Alla vigilia si discuteva se il Tribunale decidesse, nuovamente, per un rinvio al Lussemburgo. Le incognite del piano sono state indicate anche molto chiaramente (Schorkopf 2020, Kube-Schorkopf 2021, Mayer-Lütkemeyer  2020, critico era stato il Bundesrechnungshof, più ottimista Nettesheim 2020). Erano stati segnalati, ad esempio, problemi sulla qualificazione degli stessi debiti come “risorse proprie”, sulla base giuridica (art. 122 TFUE, solidarietà per eventi imprevisti), sulla previsione dell’articolo 6 della Decisione che permette alla Commissione di incrementare di un ulteriore 0,6 percento il contributo degli Stati membri per restituire le cifre qualora alcuni di essi non restituiscano quanto pattuito e alle incognite che esso apre.
Il Tribunale ha ammesso che i dubbi ci sono ma a mancare è la dimensione offensichtlich, palese, di una violazione dei Trattati, che per Karlsruhe è il presupposto perché un atto ultra vires possa incorrere in un richiamo. Perché la violazione possa realisticamente fondare un rilevo costituzionale deve avere presupposti precisi, dalla I massima della sentenza Honeywell (2010): occorre che sia sufficientemente qualificata, che l’azione illegittima dell’istituzione europea sia offensichtlich e che determini uno spostamento di competenze strutturalmente significativo a danno degli Stati membri.
Esaurito il controllo ultra vires, restava solo quello della identità costituzionale: qui non ha evidentemente pagato la scelta dei ricorrenti di affidarsi allo scenario più fosco, quello nel quale la Germania avrebbe dovuto rispondere di tutte le obbligazioni. Già nel corso dell’udienza lo scorso luglio, tutti gli esperti avevano valutato poco realistica questa ipotesi.
Sempre nel corso dell’udienza era stata da più parti sollevata la preoccupazione, in altri paesi invece un progetto politico perseguito dichiaratamente, che Next generation non fosse che il primo passo verso una trasformazione della struttura finanziaria dell’UE in una comunità del debito e del trasferimento agli Stati membri. Su questo le parole di Karlsruhe sono state molto chiare e sono stati posti una serie di caveat (Kulick-Vasel) per evitare che sia possibile interpretare NGEU come un primo passo e non come una risposta eccezionale. Compreso un richiamo diretto (par. 177) alle valutazioni dell’allora ministro federale delle finanze oggi cancelliere, Olaf Scholz che un anno fa al Bundestag si mostrò probabilmente troppo ottimista su uno sviluppo in questa direzione dell’Unione. Da cancelliere, in ogni caso, ha ridimensionato il suo ottimismo.
Ecco perché il mancato rinvio al Lussemburgo rappresenta, quindi, un modo per indicare criteri da subito molto stringenti per governo e parlamento tedeschi. A partire da una nota preliminare, espressa dal paragrafo 135 della sentenza: «Non può essere stabilito alcun meccanismo permanente che determini una assunzione di responsabilità per le decisioni di altri Stati, istituzioni intergovernative o internazionali, soprattutto quando ad esse sono connesse conseguenze difficilmente quantificabili. Ogni contributo solidale della Federazione tedesca di grandi entità, sia all’interno dell’Unione che in ambito internazionale, deve essere approvato singolarmente dal Bundestag».
La presidente del II Senato, Doris König, nell’introdurre la lettura della sentenza ha ribadito l’eccezionalità del provvedimento e il giudice relatore Huber è stato molto chiaro: questo non è il momento hamiltoniano dell’Unione europea.
Non è possibile, quindi, ipotizzare una evoluzione del piano verso un sistema permanente, sono pensabili tuttalpiù riproposizioni con altre finalità. Anche qui, però, la corte è intervenuta. Innanzitutto, evidenziando il ruolo dell’articolo 122 del TFUE, vale a dire misure approntate per solidarietà in caso di calamità naturali (II comma). Il modello NGEU va limitato a eventi eccezionali e imprevedibili, ma non può costituire l’inizio di una diversa organizzazione finanziaria, permanente, dell’UE.
Occorre inoltre soffermarsi, lo fa Andrea Conzutti su queste pagine, soprattutto su una quarantina di paragrafi che segnalano molto chiaramente i limiti di NGEU e, dunque, anche quelli di iniziative future. Vale a dire che tutto deve essere previsto da una decisione del Consiglio adottata secondo l’articolo 311 comma III del TFUE, ovvero ratifica in tutti gli Stati membri (parr. 171-188), l’autorizzazione a contrarre il debito deve essere limitata nel tempo e la sua quantità definita (parr. 189-192), la cifra contratta tramite debiti non deve essere palesemente sproporzionata rispetto alle altre risorse proprie dell’Unione (parr. 193-202, qui il caveat è molto stringente perché Karlsruhe ha analizzato nel dettaglio le due fonti). Anche un aggiramento dell’articolo 125 TFUE, cioè il fatto che l’Unione non risponde per i debiti degli Stati membri, non è escluso ma anch’esso non è offensichtlich (parr. 203-210). Qui perplessità restano sul meccanismo previsto dall’articolo 6 della Decisione.
Si tratta, dunque, di definire un sistema che vede ancora nella dimensione intergovernativa un suo presupposto (con gli Stati e i parlamenti nazionali chiamati a esprimersi), costituito per uno scopo ben preciso e in ragione di eventi imprevisti, con una proporzione chiara tra risorse proprie dell’Unione e possibili debiti contratti sul mercato.
Sui rischi per il Bundestag di definire la politica di bilancio tedesca (parr. 211-235) Karlsruhe ha ribadito prudenza: il piano non mette in discussione le prerogative del Parlamento, ci sono certamente rischi considerevoli (erheblich) ma che non superano lo spazio di manovra riconosciuto al Bundestag, che insieme al governo federale è tenuto comunque a verificare l’uso delle risorse e lo sviluppo del programma. Il Tribunale ha anche chiarito che fa parte del lavoro del Bundestag assumere vincoli anche per gli anni a venire, par. 224, un concetto espresso già a luglio dalla presidente König e che smonta gli scenari da worst-case. Anche ipotizzando (parr. 225 e seguenti) che alcuni Stati non rispondano per le loro obbligazioni, il Bundesverfassungsgericht ha valutato concretamente quali siano i rischi per la Repubblica federale considerandoli tollerabili in virtù del principio di responsabilità all’integrazione. Futuri piani dovranno comunque sottostare a questo test molto concreto sulla tutela dell’identità costituzionale.
Limiti tanto stringenti hanno escluso un rinvio al Lussemburgo: i giudici tedeschi devono aver valutato (a maggioranza, contrario il giudice Müller che ha presentato una opinione dissenziente per il rinvio) che la Corte europea difficilmente avrebbe potuto chiarire gli aspetti più dubbi, soprattutto perché non richiedono tanto una verifica dogmatica o ermeneutica, quanto piuttosto la concreta analisi dei rischi e delle conseguenze connesse.
Su questi limiti è importante fare due serie di considerazioni. Da un lato, sul rilievo della sentenza. Erano stati espressi dubbi già nel corso delle audizioni al Bundestag : il provvedimento, infatti, si definiva su una base certamente non priva di aspetti poco chiari (la competenza dell’Unione a indebitarsi, non prevista ma nemmeno esclusa categoricamente). Era dunque atteso un intervento di Karlsruhe che precisasse, in questo solo apparente spazio vuoto, i limiti della partecipazione tedesca e che questo avvenisse sulla scorta della nota giurisprudenza sull’Europa.
Il rimedio individuato non chiude futuri spazi di manovra per il governo tedesco in sede di negoziazione europea, ma esclude che questa possibilità possa essere esercitata costantemente, implementando di fatto un sistema di indebitamento dell’Unione. Queste rigide regole giuridiche offrono spazi di manovra per mediazioni politiche ma è il caso che tra i paesi che più spingono per una diversa architettura finanziaria dell’Unione non si sottovaluti il messaggio lanciato da Karlsruhe.
Senza dimenticare quello che in dottrina (Nettesheim 2020) pure è stato sottolineato: la trasformazione dell’UE in una comunità di scopo, che mette a disposizione fondi, dei quali non può disporre politicamente e a livello parlamentare.
Dall’altro, la sentenza, dunque, impone un rafforzamento dell’accordo tra i governi europei e mi sembra vada nella direzione ipotizzata da Scholz nel corso degli ultimi mesi e, in particolare, codificata con il discorso di Praga (27 agosto 2022) sulla sovranità europea declinata come autonomia strategica. La ever closer cooperation presuppone, più che trasformazioni istituzionali e giuridiche verso una federazione sovrana, al momento del tutto aleatorie e alle quali il Bundesverfassungsgericht ha posto da sempre limiti chiari, un accordo tra Stati e governi sulle sfide principali dell’Unione e sulle modalità di superarle, con il coinvolgimento di imprese, sindacati e altri rappresentanti di interessi. Su questo aspetto, il Bundesverfassungsgericht ha, consapevolmente o meno, offerto una sponda alle proposte del cancelliere federale.