Recensione a P. Manzini, M. Vellano, Unione europea 2020. I dodici mesi che hanno segnato l’integrazione europea, Wolters Kluwer, 2021

Gli avvenimenti degli ultimi quindici anni, dalla crisi finanziaria, alla crisi migratoria, al referendum sul recesso del Regno Unito, alla pandemia da COVID-19, hanno costretto le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri a confrontarsi con sfide che rischiavano di mettere in pericolo l’esistenza stessa dell’Unione, e dunque a uscire dalla fase di stallo nella quale il processo di integrazione europea si trovava.
La celebre frase pronunciata da Jean Monnet nel 1954, secondo il quale l’Europa si sarebbe forgiata nelle crisi e sarebbe stata il risultato delle soluzioni date a queste crisi sembra tuttavia adattarsi particolarmente bene soprattutto alla crisi pandemica degli ultimi anni, che ha spinto gli attori del processo di integrazione a trovare soluzioni potenzialmente in grado di innescare dei veri e propri cambiamenti strutturali nei meccanismi di funzionamento dell’Unione europea.
In questo contesto, il 2020 rappresenta un anno particolarmente significativo, ed è sufficiente scorrere l’indice del volume a cura di Pietro Manzini e Michele Vellano per rendersene conto. Iniziato con l’entrata in vigore dell’accordo di recesso tra Unione europea e Regno Unito [M. Vellano, Brexit e oltre], il 2020 è stato l’anno nel quale l’Unione ha dovuto adattare gli strumenti a sua disposizione all’esigenza di affrontare la pandemia e le sue conseguenze in termini sia sanitari sia economici. Si è così posto il problema dell’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale, medicinali e vaccini [M. Gatti, La risposta europea all’emergenza da COVID-19], della garanzia di un’assistenza medica transfrontaliera e delle competenze dell’Unione europea in materia di salute [G. Di Federico, L’assistenza sanitaria transfrontaliera alla prova della pandemia], della gestione delle frontiere interne ed esterne [M. Borraccetti, Mobilità delle persone e gestione delle frontiere di fronte all’emergenza], e, sul fronte economico, della necessità di dar vita a nuovi strumenti per favorire la ripresa quali lo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione (SURE) e Next Generation EU [L. Calzolari, F. Costamagna, La riforma del bilancio e la creazione di SURE e Next Generation EU].
Questa sfida ha trovato sul suo cammino alcuni ostacoli legati a una visione non sempre condivisa del futuro del processo di integrazione europea da parte degli Stati membri. Così, il programma PSPP di acquisto di titoli pubblici adottato dalla BCE è stato oggetto proprio nel 2020 di un braccio di ferro tra Corte di giustizia e Corte costituzionale tedesca [A. Viterbo, La sfida della Corte costituzionale tedesca alla Banca Centrale Europea], la proposta della Commissione di introdurre un meccanismo di condizionalità in caso di violazioni dello stato di diritto da parte di uno Stato membro ha portato al tentativo dei paesi del gruppo di Visegrad di bloccare l’adozione del Quadro Finanziario Pluriennale (e dunque di Next Generation EU) [F. Casolari, Lo stato di diritto preso sul serio], così come la posizione di chiusura di questi ultimi Paesi ha comportato la proposta di un Patto sulla migrazione e l’asilo dai contenuti piuttosto deludenti [S. Montaldo, Ripensare il sistema di Dublino]. Si tratta tuttavia di ostacoli che non hanno impedito né l’individuazione di alcuni strumenti innovativi per affrontare la sfida sanitaria ed economica, né di guardare alle grandi sfide del futuro, quali l’attuazione del Green Deal europeo con la proposta della cosiddetta legge europea sul clima [M. Onida, Il Green Deal Europeo], la regolamentazione dei mercati digitali con la proposta di Digital Market Act [P. Manzini, Il Digital Market Act decodificato], la promozione dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile in seno all’OMC con la proposta di una green agenda [E. Baroncini, La proposta europea di riforma dell’OMC], il rafforzamento dell’autonomia dell’Unione europea in materia di investimenti con l’accordo di estinzione dei Trattati bilaterali di investimento tra Stati membri [L. Malferrari, La fine degli arbitrati d’investimento tra Stati membri].
L’analisi accurata e critica di tutti questi aspetti rende “Unione europea 2020” una vera miniera di informazioni e di spunti, e i molteplici legami tra i vari contributi, sui quali non è possibile in queste poche righe soffermarsi, offrono al lettore percorsi di lettura molto stimolanti.
Vi è tuttavia un elemento che emerge con particolare chiarezza nel corso di tutto il volume e sul quale vale la pena soffermarsi: la limitatezza delle competenze dell’Unione europea in molti settori nei quali, in particolare durante la crisi, sarebbe stata necessaria un’azione rapida ed efficace a livello sovranazionale, e il ruolo ancora preponderante rivestito dagli Stati membri in tali settori. Uno dei meriti di “Unione europea 2020” è pertanto senz’altro quello di aver chiarito che le istituzioni dell’Unione hanno fatto quanto in loro potere, forzando anche le basi giuridiche esistenti, per affrontare le sfide alle quali erano poste di fronte, e hanno agito in modo rapido ed efficace nei settori, quali la politica monetaria, nei quali erano dotate di autonomia rispetto agli Stati membri [A. Viterbo], ma non hanno potuto agire, o hanno potuto farlo solo con ritardo, nelle ipotesi nelle quali la loro azione doveva limitarsi a un coordinamento di politiche nazionali o era subordinata al consenso degli Stati membri.
Gli esempi che emergono dai vari contributi sono molteplici. Per rimanere alle misure di risposta immediata alla crisi sanitaria, nei settori della protezione civile e della sanità pubblica l’Unione può solo “sostenere, coordinare e completare” l’azione degli Stati membri. Così, nel 2001, con la decisione 1313/2013/UE, è stato creato il Meccanismo comunitario di protezione civile, ma esso prevede che la Commissione possa solo inviare raccomandazioni agli Stati membri riguardo alla prestazione di assistenza, sicché non vi è alcun obbligo per gli Stati membri di intervenire in aiuto allo Stato richiedente. Nel 2020 il Meccanismo si è pertanto inceppato, e per varie settimane nessuno Stato membro ha risposto alla richiesta di assistenza da parte dell’Italia [M. Gatti, p. 36]. Similmente, per quanto concerne l’acquisto di vaccini, non potendo l’Unione europea imporre una strategia vaccinale ai propri Stati membri, la Commissione ha solo potuto spingere gli Stati membri a coordinare le proprie azioni, ottenendo da questi l’autorizzazione a negoziare a nome loro accordi di acquisto anticipato con le società produttrici di vaccini.
Evidente è poi la subordinazione del potere decisionale dell’Unione a un accordo unanime degli Stati membri nei settori che si avvicinano al cuore della sovranità degli Stati. Basti pensare al meccanismo volto a constatare violazioni dello stato di diritto da parte degli Stati membri (art. 7 TUE), che richiede una decisione all’unanimità del Consiglio europeo. O alle modalità di determinazione della tipologia e ammontare delle risorse dell’Unione (decisione sulle risorse proprie)  e dei massimali per categoria di spesa (Quadro Finanziario Pluriennale), che richiedono una decisione unanime in seno al Consiglio e che hanno  consentito a Polonia e Ungheria, i due Paesi che negli ultimi anni hanno posto in atto violazioni sistemiche dello stato di diritto, di minacciare l’esercizio del proprio potere di veto in reazione alla proposta di adozione di un regolamento relativo a un meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto e di ottenere, in contropartita, una modifica dell’ambito di applicazione temporale dello stesso [F. Casolari, p. 304 ss.].
La dipendenza dell’Unione europea dagli Stati membri in molti settori, e dunque il permanere di settori sottratti al cosiddetto metodo comunitario e fondati tuttora su meccanismi di carattere intergovernativo, salta agli occhi se solo si pone attenzione alla differente reazione degli Stati membri dell’Unione nella fase iniziale della crisi da COVID-19 e nella fase più avanzata della stessa. Gli esecutivi degli Stati membri sono responsabili di fronte al loro elettorato nazionale, ed è dunque connaturato alla loro legittimazione il fatto che essi difendano ciascuno il proprio interesse. Quando una decisione deve essere presa attraverso meccanismi di carattere intergovernativo essa è pertanto necessariamente il frutto di un compromesso tra interessi nazionali differenti, e non la manifestazione di un interesse comune superiore a questi.
Ora, quando una crisi è asimmetrica, e dunque colpisce solo alcuni Stati membri, come è stato per la crisi migratoria, che ha visto esposti soprattutto Paesi come la Grecia, o per la prima fase della crisi da COVID-19, che ha inizialmente colpito soprattutto l’Italia, gli interessi di breve periodo degli Stati divergono e forme di solidarietà si rivelano estremamente difficili o impossibili. Basti pensare all’impossibilità di trovare un accordo soddisfacente in materia di migrazioni e di riforma del Sistema Dublino o alla citata tardiva fornitura di dispositivi di protezione personale all’Italia nelle prime settimane di pandemia.
Una convergenza tra interessi nazionali è più facile che si verifichi invece quando la crisi colpisce tutti gli Stati membri, ed ha dunque un carattere simmetrico. In tali ipotesi, è interesse di tutti giungere all’adozione di soluzioni comuni che consentano di superare la crisi, e le circostanze esterne spingono dunque gli Stati verso forme di solidarietà reciproca.
Una circostanza simile si è verificata con il diffondersi dell’epidemia da COVID-19 in tutta l’Unione europea. La necessità di trovare soluzioni alle gravi conseguenze economiche della crisi sanitaria manifestatesi in tutti gli Stati membri ha portato in effetti all’adozione di Next Generation EU che, insieme a SURE, costituisce senza dubbio la premessa per un cambio di passo del processo di integrazione.
NGEU prevede, anche se in via temporanea, l’emissione di debito comune da parte dell’Unione europea, la garanzia di tale debito da parte del bilancio dell’Unione, innalzato temporaneamente al 2% e finanziato con nuove risorse proprie, e l’erogazione agli Stati membri anche di sovvenzioni a fondo perduto. Si tratta di un sovvertimento di alcuni principi che hanno caratterizzato da sempre la gestione finanziaria dell’Unione europea, e dunque di una reazione senza precedenti a una crisi di eccezionale gravità. Ma è una svolta per ora solo potenziale, che per divenire tale richiederebbe modifiche di carattere strutturale nei meccanismi di funzionamento dell’Unione [L. Calzolari, F. Costamagna, p. 170].
Se è vero, infatti, che la crisi sanitaria ha portato a un punto di convergenza tra gli interessi degli Stati membri, non va dimenticato che le misure adottate hanno carattere temporaneo e che non sono stati modificati i meccanismi di carattere intergovernativo che hanno portato alla loro adozione. NGEU è stato infatti introdotto nel quadro dell’adozione del Quadro Finanziario Pluriennale (e dunque della decisione sulle risorse proprie), la cui discussione casualmente era in corso allo scoppio della pandemia. Grazie a questa circostanza, è stato possibile innalzare il tetto del bilancio dell’Unione, prevedere l’istituzione futura di nuove risorse e la possibilità per l’Unione di indebitarsi. Tale decisione ha richiesto tuttavia l’accordo di tutti gli Stati membri, e dunque lunghe negoziazioni che hanno portato a una soluzione di ampio respiro solo grazie alla convergenza di interessi determinata dal carattere simmetrico della crisi pandemica.
Perché la solidarietà tra Stati non sia frutto estemporaneo delle circostanze concrete e la reazione alle crisi possa essere tempestiva ed efficace, è necessario dunque “innovare in maniera permanente il quadro di riferimento” [L. Calzolari, F. Costamagna, p. 194] e far sì che NGEU apra la strada a una modifica dei trattati che sottragga al metodo intergovernativo alcune decisioni relative a settori cruciali per il funzionamento dell’Unione.