Recensione de “La ristrutturazione assente. Strumenti e limiti di un riordino complessivo della normativa primaria”, di Fabio Pacini (Editoriale Scientifica, 2017)

1.Il volume di Fabio Pacini affronta le politiche di semplificazione e riordino normativo sviluppatesi nell’arco di almeno un decennio, avendo al centro il c.d. meccanismo “taglia-leggi” (avviato con la legge di semplificazione per il 2005) e accostando all’analisi di questo le sue premesse storiche e strumentali, nonché gli interventi ulteriori che sono stati posti in essere negli anni più recenti al fine di ridurre lo stock e la dispersione della normativa primaria.
Si tratta di una analisi vasta e complessa, come del resto è vasta e complessa la problematica trattata (anzi, a più riprese definita dall’autore “indeterminata”, se non del tutto “indeterminabile”). Il giudizio di merito sull’approdo delle politiche di semplificazione normativa emerge sin dal titolo e anticipa una valutazione ampiamente insoddisfacente. Anzi, tale valutazione sembra “maturare” progressivamente nel testo, divenendo di “sapore non dolce” a metà della lettura (p. 129) e assai più severa al termine del volume, accennando al “fallimento” degli strumenti richiamati (p. 240 s.), pur evidenziando la possibilità di trarre in ogni caso lezioni utili per i futuri tentativi di semplificazione.
Nella vastità e nella complessità citate si condensano gli indiscutibili punti di forza del lavoro e, forse, qualche suo relativo limite, che in ogni caso non ne diminuisce l’utilità per il lettore.

2.Da un punto di vista preliminare, è anzitutto significativo che su un tema dibattutissimo come quello del taglia-leggi non fossero presenti studi propriamente monografici, permettendo di apprezzare ulteriormente il volume per il fatto che intervenga a colmare una così evidente lacuna in letteratura. Anche il volume di Bernardo Giorgio Mattarella dedicato alla “trappola delle leggi” affronta sì anche i taglia-leggi, ma nell’ambito di una panoramica più ampia di “diagnosi” dei problemi della legislazione e all’interno di un novero plurale e più generale delle possibili “terapie”, tra le quali gli strumenti previsti dalla legge di semplificazione per il 2005 costituiscono una delle possibili varianti.
Certo, esistono monografie e volumi collettanei su ambiti temporalmente precedenti, preliminari e condizionanti, come quella di Nicola Lupo sulla prima legge annuale sulla semplificazione, oppure dedicate al generale processo di codificazione (v. almeno, gli studi di Maurizio Malo, Giovanni Savini e Riccardo Viriglio, i volumi curati da Pasquale Costanzo, Maria Alessandra Sandulli) o alle dinamiche evolutive della delega legislativa anche a fini di semplificazione normativa (v. i volumi curati da Paolo Caretti e Antonio Ruggeri, da Emanuele Rossi, nonché la monografia di Anna Alberti), o ancora il fondamentale studio sulla manutenzione del libro delle leggi di Alessandro Pizzorusso.
Altrettanto, e più specificamente, esistono ampi saggi o raccolte di scritti, esclusivamente dedicati all’approfondimento del fenomeno “taglia-leggi” (e che anzi hanno contribuito, nel suo dispiegarsi, a comprenderlo e – in qualche modo – a indirizzarne gli esiti). Ci si riferisce, in particolare, ai lavori di Paolo Carnevale e Marcello Cecchetti, punti di riferimento ineludibili, come pure ai volumi collettanei curati da Mario Dogliani, Roberto Zaccaria e Nicola Lupo, nonché il rapporto Astrid sugli esiti delle politiche di semplificazione normativa, anch’essi preziosi per l’approfondimento di singoli stadi e l’individuazione delle finalità complessive del meccanismo.
Eppure, restava intatta la necessità di una riflessione più ponderata, con il respiro e l’organicità proprie della sede monografica, che fosse in grado di contestualizzare lo strumento, ricostruirne gli esiti auspicati e la pratica concreta, nonché offrirne un qualche bilancio, ora che da esso è maturata una certa distanza temporale, nonché si è prodotta una evidente discontinuità nel contesto politico-istituzionale.

3.Nel perseguimento di questi obiettivi, il volume di Fabio Pacini costituisce una sfida per il lettore utile e interessante.
Il principale pregio sembra potersi individuare nell’ampiezza dello spettro della ricostruzione offerta, che spazia appunto dai presupposti teorici dell’utilizzo della delega legislativa e della decretazione d’urgenza per finalità di semplificazione normativa (spec. capp. I e II), allo svolgimento del taglia-leggi e alle conseguenti ri-concettualizzazioni delle categorie fondamentali dello strumento della delega legislativa (capp. III e IV), alla ricostruzione dei singoli casi problematici nati a partire dai limiti intrinseci del taglia-leggi stesso, nonché dalla frammentarietà e disorganicità degli strumenti che vi sono stati affiancati (spec. cap. V). L’analisi è ulteriormente completata da una selezione di “questioni aperte e prospettive” (cap. VI) in grado di collegare alcuni strumenti propri della stagione del tentativo di semplificazione normativa alle linee direttrici della XVII legislatura e all’attuazione di ulteriori politiche di sistema che con esso si intrecciano.
Più nel dettaglio, sembrano essere almeno tre i punti critici sui quali la lettura del testo contribuisce a far luce.
Anzitutto, vengono chiariti alcuni snodi di fondo eppure di non immediata evidenza, come il fatto che semplificazione e riordino costituissero nel progetto iniziale due fasi temporalmente e funzionalmente distinte, ovviamente in qualche modo connesse eppure non necessariamente conseguenziali l’una all’altra. E infatti, se la riduzione dello stock normativo può comunque dirsi effettuata (ancorché con le incertezze e i cambi di direzione di cui si dà conto nel testo), il riordino è stato sicuramente assai parziale, limitato a pochi settori e – anche ove effettuato – con criticità tecniche non secondarie, parte delle quali potrebbero ancora rivelare i propri aspetti più controversi nella applicazione concreta.
In secondo luogo, si offre una attenta disamina delle tensioni a cui è stato sottoposto lo strumento della delega legislativa rispetto a quello che ne è stato, forse, l’utilizzo più estremo. Non solo rispetto agli elementi essenziali individuati nell’art. 76 Cost.; ma anche, più in generale, nel rapporto Governo-Parlamento all’interno della forma di governo, ampliando il confronto tra le varie operazioni abrogatrici e “salvatrici” al dialogo effettuato in sede di espressione dei pareri parlamentari sugli schemi di decreti delegati.
Infine, l’aver radunato in un’unica sede l’analisi dei vari strumenti (spesso analizzati singolarmente) sulla base di un criterio teleologico, ossia improntato sul fine semplificatorio e di riassetto, indipendentemente dall’utilizzo della delega legislativa (pur posta al centro del volume), della decretazione d’urgenza, o di singoli e episodici interventi ulteriori.

4.Volendo individuare i punti meno convincenti, tuttavia da inquadrarsi nella richiamata complessità e vastità dell’oggetto di studio, il testo costituisce una lettura assai impegnativa. Già per la comprensione del titolo (che immediatamente appare in qualche modo evocativo, ma che non ha l’immediatezza dei più riusciti) bisogna giungere alla fine dell’introduzione, al fine di scorgere la ispirazione addirittura nella critica allo strutturalismo di Umberto Eco: la “Struttura assente”, da cui si trae spunto per sottolineare l’assenza non solo di una soddisfacente struttura nelle fonti primarie, ma anche per sottolineare analoga insoddisfazione per l’opera di riassetto posta al centro dell’analisi. Per altro, è forse discutibile l’operazione stessa di aver trasposto, in un lavoro che comunque si inserisce in una prospettiva strutturalista, l’etichetta fatta propria in una sede finalizzata a contestare la valenza esplicativa di quello stesso approccio. Inoltre, alla sistematica del volume (composto da ben 6 capitoli, oltre Introduzione e Conclusioni) avrebbe forse giovato di una divisione in parti, così anche da sfumare maggiormente una qualche ricorsività nella individuazione dei percorsi contenuti nei singoli capitoli, che a volte ripartono da punti trattati in precedenza al fine di sviluppare l’analisi in una diversa direzione.
Infine, l’importante opera di pulizia lessicale e concettuale che l’oggetto del volume ha richiesto (e che l’autore ha saputo offrire in più punti) rimane forse nelle pieghe dello svolgimento, mentre la sintesi utilizzata nelle scelte di intitolazione di paragrafi e capitoli (spesso, ancora, evocativi e tesi all’utilizzo di rimandi indiretti a convenzioni lessicali o concettuali, evidenziati dalle tantissime espressioni riportate tra virgolette presenti) finiscono forse per disperdere alcune delle operazioni di “pulizia” che nel testo si riesce a raggiungere.
Ne risulta un testo che richiede al lettore un livello di pre-conoscenza del tema da “iniziato” al fine di cogliere al meglio la parte più innovativa e utile del lavoro. È evidente, però, come questo costituisca un limite assai relativo del lavoro, potendo addirittura essere inteso come un pregio: una ricercata limitazione della parte più compilativa (confinata, in fondo, al solo cap. I), al fine di procedere all’approfondimento di un tema che – per la sua specifica natura – richiede una profonda interconnessione tra testo e contesto, nonché una immersione completa nei suoi meccanismi per poterne cogliere le funzionalità, i difetti di progettazione e, dunque, le occasioni perse dalla stagione di semplificazione che sembra ormai essere stata definitivamente accantonata in questa fase del ciclo politico.