Recensione del volume: Salvatore Bonfiglio, Costituzionalismo meticcio. Oltre il colonialismo dei diritti umani, Giappichelli, 2016

Il recente libro di Salvatore Bonfiglio “Costituzionalismo meticcio. Oltre il colonialismo dei diritti umani”, edito da Giappichelli nel 2016, affronta sotto molteplici angolazioni il tema della protezione dei diritti fondamentali. Quello della storia, della teoria e della protezione dei diritti fondamentali è una delle tematiche del diritto più dinamiche. L’Autore nel capitolo 1 “I diritti fondamentali tra natura e storia” affronta l’analisi delle radici storiche nonché giuridiche e filosofiche dei diritti fondamentali, evidenziando il superamento della concezione generalista dell’universalità dei diritti dell’uomo, soffermandosi sul pieno riconoscimento e sulla maggiore tutela in seno alle costituzioni democratiche del secondo dopoguerra, “memoria e futuro delle Costituzioni e del costituzionalismo moderno”.

Le continue evoluzioni degli indirizzi dottrinari, il progredire del ragionamento giuridico-filosofico in tema sono alla base della riflessione che con dovizia è condotta dall’A. sui principi e sui diritti fondamentali come fondamento degli ordinamenti costituzionali. E’ affrontato al capitolo II il tema della superiorità delle Costituzioni e del primato dei principi che le informano, sotto l’ottica comparatistica, soffermandosi sulla natura dei diritti fondamentali e sul concetto di limite al potere di revisione costituzionale.

Il leitmotif è la comparazione delle diverse esperienze costituzionali, da quella italiana e tedesca a quella greca e spagnola, cogliendone i tratti peculiari. Si apprezza molto il richiamo puntiglioso e ricco di particolari ai limiti formali e materiali alla revisione costituzionale presente nelle Costituzioni degli Stati dell’Europa orientale che, successivamente alla caduta del Muro di Berlino, hanno aderito alla CEDU e sono entrati a far parte dell’UE.

La rilevanza dei processi di globalizzazione sia economica che sociale, la rivisitazione del contenuto delle categorie giuridiche tradizionali – come argomentato dall’A. con sagacia e ricchezza di particolari – ha spinto verso una eccessiva frammentazione, settorializzazione che non certamente favorisce la ponderazione dei poteri e delle forze nel composito quadro delle garanzie costituzionali all’interno dell’ordinamento giuridico.

Le predette argomentazioni articolate dall’A. nel saggio aprono lo scenario all’analisi condotta sapientemente nel terzo capitolo avente ad oggetto i diritti fondamentali e l’interpretazione evolutiva dei principi costituzionali. L’A. richiama il pensiero di alcuni studiosi sulla rilevanza dei criteri ermeneutici e si pone l’interrogativo su come sia possibile discernere di “ragionevolezza nel bilanciamento fra diritti o addirittura tra principi, prescindendo da ciò che si intende per razionale in una determinata cultura, in un determinato ordine materiale”.

Non vi è dubbio che oggi la riflessione sulla dignità e libertà della persona non può prescindere dall’analisi del valore della persona stessa, realizzazione dei principi fondamentali di libertà e di uguaglianza. Lo stesso concetto di uguaglianza è colto, disegnato in una prospettiva evolutiva, teoricamente tratteggiata ma che non manca di spunti problematici concreti che hanno caratterizzato il costituzionalismo moderno (il ruolo della Costituzione, il problema dell’interpretazione, la funzione giudiziale, le responsabilità della giustizia come nel caso Englaro).

Si evidenzia la rilevanza del ruolo dell’interprete e dell’operatore del diritto nonché l’approccio ermeneutico del giudice che non differenzia sino in fondo gli ordinamenti di common law e di civil law, in un apparato democratico in cui non dovrebbe trovare approdo la contrapposizione tra gli organi costituzionali, la conflittualità, il dissenso ma dovrebbe regnare il consenso almeno su base costituzionale.

Negli ultimi anni si sono avvicendate profonde mutazioni delle normative comunitarie e nazionali. In un panorama in continuo fermento, nel tempo della “seconda modernità”, della “modernità radicale” o, secondo altri, del post-moderno, le questioni sollevate dai processi di mondializzazione, di globalizzazione culturale e le nuove dinamiche relazionali tra dimensione universale e dimensione locale costituiscono senz’altro il nucleo centrale delle riflessioni sociologiche, antropologiche, economiche e giuridiche.

La frammentazione non è che l’opposto della globalizzazione e presenta le stesse due dimensioni: da una parte, il concetto rimanda alla disgregazione, alla autarchia, all’unilateralismo, alla chiusura e all’isolamento; dall’altra, denota una tendenza verso il nazionalismo o il regionalismo, la distensione spaziale, il separatismo e l’eterogeneità, la globalizzazione è da considerare non tanto come fenomeno che condiziona l’assetto delle relazioni economiche (l’homo oeconomicus nella società liquida di Bauman) ma come vicenda che coinvolge effetti significativi nella sfera istituzionale. Si pensi al rapporto tra politica ed economia, su cui si radica nettamente il processo di globalizzazione, ai mutamenti nello scenario istituzionale che rimandano sia alla sfera statale sia al sistema giuridico.

La vittoria della democrazia è incompleta se non si accompagna al rinnovato impegno di protezione dei diritti umani. All’interno dei più consolidati stati democratici, nei paesi in fase di transizione e nell’ambito della comunità internazionale, occorre evidenziare l’importanza della difesa dell’individuo. Nell’ambito dello spazio europeo, come facilmente si può dedurre dal saggio di Bonfiglio, i processi di regionalizzazione, di pluralizzazione ed autonomia all’interno di contesti nazionali ed unitari hanno modificato profondamente gli equilibri costituzionali consolidati e hanno messo in crisi il tradizionale concetto di Stato-nazione.

I poteri, prima esercitati nella sfera delle democrazie rappresentative, stanno progressivamente emigrando verso organizzazioni sovranazionali ed internazionali, sia politiche che economiche, nei confronti delle quali non si scorge certamente il monitoraggio da parte dei cittadini i quali non riescono ad esercitare forme di controllo dirette ed incisive. Gli Stati non dovrebbero rinunciare a svolgere una funzione di garanzia dei livelli di benessere e protezione sociale contro le pressioni esercitate dai poteri globali e una funzione equilibratrice e sussidiaria contro forme di discriminazione e disparità di trattamento all’interno del proprio territorio in difesa della unità nella diversità (cfr. i capitoli sulla questione del velo islamico, sull’applicazione del principio di uguaglianza agli stranieri, sul principio lavorista e della partecipazione come diritto sociale fondamentale esteso a tutti i lavoratori italiani e stranieri).

Lo Stato è continuamente sottoposto ad inevitabili sollecitazioni di tipo endogeno ed esogeno che potrebbero costringerlo a riposizionarsi all’interno di un sistema di governance dinamico e mutevole da configurarsi con proprie politiche economiche e monetarie.  Citando il pensiero di Alain Touraine, penso sarebbe auspicabile una dimensione nazionale delle politiche d’integrazione e di solidarietà sociale ed infine, che dovrebbe essere quella della città, multiforme, cosmopolita e ricca di scambi culturali. Le argomentazioni de quibus aprono il varco verso una cittadinanza dei diritti fondamentali, anzi verso il diritto dell’individuo verso la cittadinanza come previsto dalla Convenzione interamericana relativa ai diritti dell’uomo del 22 novembre 1969, che riproduce l’art. 15 della Dichiarazione Universale, come ricorda l’A., richiamando la sentenza 8 settembre 2005 nel caso Yean and Bosico v. Republica Dominicana, che ha definito il diritto alla cittadinanza “diritto fondamentale della persona umana” in una prospettiva europea interculturale nell’ambito del c.d. spazio pubblico europeo e dell’estensione dei diritti economici, culturali, civili e politici a tutti gli individui ( da qui secondo l’A. l’idea del sistema di principi fondamentali come caso esemplare di costituzionalismo meticcio).

Ciò si accompagna ad una definizione della globalizzazione – secondo Giddens – come “l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo in modo che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa”. Nell’ipotesi in cui i rapporti sociali sono stirati nello spazio e nel tempo, infatti, gli individui rischiano di perdere la capacità del controllo diretto sulle condizioni delle proprie azioni che possono cambiare in conseguenza di decisioni prese all’esterno del contesto quotidiano e diretto di interazione. E’ un modello “disembedding”, ossia decontestualizzato, disaggregato, non inglobato che, a sua volta, conduce a processi di “reembedding”, attraverso i quali le relazioni sociali vengono ridefinite in forza di coordinate spaziotemporali più ristrette e facilmente riconoscibili.

Questo può comportare anche la formazione di nuove subculture o la rivitalizzazione di identità locali. In altri termini, la comunità globale non sarebbe il frutto di un processo di omologazione culturale, ma il risultato della condivisione dei rischi globali e della partecipazione degli individui agli avvenimenti planetari. L’individuo cosmopolita, transnazionale, avverte sempre più il venir meno del senso di appartenenza alla comunità nazionale, cui corrisponderebbe, quindi, il rafforzamento di un’identità globale.

Le prime due parti del volume offrono una panoramica generale sulla terza, nella quale si tratteggia con un notevole labor limae il tema della natura dei diritti fondamentali nella ricerca interculturale tra teoria generale e comparazione giuridica, inquadrandola nel contesto storico. La teoria del diritto italiana ed europea è stata caratterizzata nel secolo scorso da un sostanziale etnocentrismo, da un riferimento esclusivo all’ordinamento giuridico statale e da un approccio scarsamente realistico alle funzioni sociali del diritto. Essa ha trascurato la riflessione teorica sul confronto con le tradizioni culturali, etiche e giuridiche diverse da quella occidentale. L’A., in parallelo con la riflessione teorica, si impegna nella realizzazione di un dialogo diretto, in un confronto critico e in una comparazione costruttiva con le costituzioni, le culture e gli universi normativi non occidentali, in particolare con i sistemi ordinamentali indoamericani, arabo-islamici ed africani. Alla base sussiste la mirabile riflessione dell’A. sul carattere biunivoco della relazione dignità/diritti nell’alveo della descrizione puntuale delle diverse esperienze giuridiche occidentali e non. Non vi è irenismo transculturale: c’è la consapevolezza sia dell’impossibilità di un superamento delle radici culturali di ciascun soggetto – nel nostro caso si tratta di radici europee – sia della mancanza di una perfetta comprensione interculturale. Di grande interesse sono la comparazione tra gli istituti della tradizione occidentale con quelli delle culture politiche e giuridiche non occidentali, il disegno della mappa filosofico-giuridica e sociologico-giuridica dei sistemi giuridici non occidentali, il tema dell’universalità della dottrina dei diritti dell’uomo dal punto di vista giuridico, etico e filosofico, allargando l’orizzonte al tema generale della esportabilità del modello istituzionale dello Stato di diritto (rule of law), della democrazia rappresentativa e, più in generale, dei valori e degli stili di vita improntati all’individualismo, al formalismo e al liberalismo occidentali, il dibattito antropologico intorno al problema del relativismo culturale e della questione degli universali culturali.

L’andamento delle ragioni e delle conseguenze del fenomeno migratorio, ad esempio, è alla base dei processi di integrazione globale che hanno caratterizzato gli imponenti flussi dai paesi meno sviluppati a quelli industrializzati, con i conseguenti fenomeni di sradicamento, di impoverimento culturale, di disoccupazione; a ciò si aggiunge la definizione dei diritti degli stranieri e del loro rapporto con i diritti di cittadinanza delle maggioranze autoctone.

Completa il volume la riflessione sui rapporti tra il diritto e la Costituzione come esperienza storico-culturale. Fra i diversi elementi di complessità che caratterizzano gli ordinamenti giuridici degli Stati contemporanei, l’attenzione è concentrata sulle novità introdotte nel panorama delle fonti del diritto dalle moderne costituzioni, tali da indurre i più a parlare della forma di Stato costituzionale.

Il diritto costituzionale è considerato un banco di prova rispetto alle nuove teorie antipositiviste per dimostrare l’inidoneità del vecchio positivismo giuridico a comprendere la struttura e l’essenza stessa degli ordinamenti giuridici contemporanei; in altri termini, Salvatore Bonfiglio indica l’esigenza di un approccio nuovo ai problemi classici della teoria del diritto (come il rapporto tra diritto e morale, la teoria dell’interpretazione, i compiti della scienza giuridica, la tutela dei diritti, la teoria della sovranità).

Infine, si sofferma come sopra accennato – dopo una disamina sulla comparazione giuridica che presuppone la relativizzazione in cui rileva la contestualizzazione socio-culturale dei dati normativi –  sui significati e sulla funzione della nozione di “costituzionalismo meticcio”; esso assume – come sottolineato dall’Autore – la veste di metacodice costituzionale improntato su principi generali del diritto che si riflettono sulla produzione di norme giuridiche e che diventano elementi del diritto positivo, favorendo il dialogo tra culture diverse, a partire dal riconoscimento dei diritti sociali, e criticando il costituzionalismo cosmopolitico.

Il libro curato da Salvatore Bonfiglio centra l’obiettivo, con l’aggiuntivo pregio di offrire una visione omogenea, attraverso un file rouge articolato e costante, per cui nel rispetto del pluralismo democratico i problemi vecchi e nuovi di coesione sociale non necessitano di un abbandono ma di una rivisitazione di ordine sistematico, una rilettura in chiave interculturale al fine di abbattere i fenomeni di estremismo religioso o fanatismo ideologico, riconoscendo e tutelando i diritti individuali ed i diritti dei gruppi e comunità.