Risvegli costituzionali: la collettivizzazione dei mezzi di locazione a Berlino

Due anni e mezzo fa, nel corso della celebrazione dei 70 anni del Grundgesetz (abbr. GG), il Congresso federale della FDP, il partito liberale tedesco, deliberava una proposta di revisione costituzionale che fu accolta allora quasi come una curiosa provocazione (cfr. Beschluss des 70. Ord. Bundesparteitags der FDP, Berlin, 26. bis 28. April 2019, Entschieden gegen Enteignung durch Vergesellschaftung –„Bauen statt klauen“). Si proponeva la totale abrogazione dell’art. 15 del Grundgesetz, a mente del quale: “Il suolo, le risorse naturali e i mezzi di produzione possono essere assoggettati, ai fini della socializzazione, ad un regime di proprietà collettiva o ad altre forme di gestione collettiva mediante una legge che determini il modo e la misura dell’indennizzo”. Il parlamentare Marco Buschmann spiegava in una intervista che il partito mirava ad eliminare un “fossile costituzionale” risalente a un’epoca in cui non era ancora chiara quale strada avrebbe dovuto prendere l’economia tedesca.
In effetti, l’art. 15 GG non aveva mai trovato applicazione in oltre 70 anni di storia e parte della dottrina costituzionalistica lo aveva ritenuto eccentrico fin dai primi anni della Bundesrepublik. Ciò emergeva chiaramente già nel convegno dei giuspubblicisti tedeschi di Gottinga del 1951 (cfr. Enteignung und Sozialisierung, VVDStRL 10, 1952, 74 ss.). Questo convegno, dedicato per metà a “Esproprio e socializzazione”, ha rappresentato probabilmente l’occasione in cui la dottrina tedesca si è confrontata in modo più approfondito sull’art. 15 GG, almeno fino agli ultimi anni. Chiamati a relazionare sul tema furono Helmut Ridder e Hans-Peter Ipsen. Secondo Ridder l’art. 15 GG, data la sua natura quasi-rivoluzionaria, sarebbe stato destinato all’obsolescenza ove non attuato in tempi brevi, quasi fosse diritto costituzionale transitorio (cfr. ivi, 146 s.). Ridder addirittura immaginava l’illegittimità costituzionale che una legge di socializzazione approvata “fuori tempo”. Il motivo di questo atteggiamento è che l’art. 15 GG ricalca il vecchio art. 156 della Costituzione di Weimar (“Il Reich può, con riserva di indennizzo e per via legislativa, trasferire in proprietà collettiva, con applicazione analogica delle norme vigenti per l’espropriazione, le imprese economiche private suscettibili di socializzazione”) senza tuttavia collocarsi all’interno di una analoga cornice di “costituzione economica” (in generale sulla costituzione economica tedesca: F. Saitto, Economia e Stato costituzionale: contributo allo studio della Costituzione economica in Germania, 2015). Le nazionalizzazioni delle industrie del carbone e delle compagnie elettriche degli anni rivoluzionari 1918-1919 parevano eventi di un passato lontano e irripetibile già agli occhi di un giovane costituzionalista come Helmut Ridder nel 1951.
Tornando al 2019, le preoccupazioni dei liberali erano in realtà più concrete di quanto potesse a prima vista sembrare: proprio nei giorni del congresso federale del partito (fine aprile) a Berlino cominciava la raccolta di firme per promuovere un referendum consultivo volto a sollecitare un deciso intervento della autorità pubblica sul problema del “caro affitti” nella capitale tedesca. L’iniziativa referendaria prendeva il battagliero titolo di “Deutsche Wohnen & co. enteignen!” (“espropriamo Deutsche Wohnen & co.!”) e proponeva la nazionalizzazione (o, come si dice in tedesco, la “socializzazione”, Sozialisierung, o anche collettivizzazione, Vergesellschaftung) delle maggiori società immobiliari presenti sul mercato berlinese (la Deutsche Wohnen è la maggiore, e di qui il nome della iniziativa). In particolare, i promotori richiedevano (e richiedono tuttora) l’esproprio collettivo di oltre 200mila alloggi appartenenti alle 12 maggiori società immobiliari; a tal fine si propone di “colpire” ogni società immobiliare che sia proprietaria di almeno 3000 immobili ad uso abitativo a Berlino. Secondo le stime del governo berlinese si tratta di immobili dal valore di mercato complessivo di circa 36 miliardi di euro. Il modello ideale sarebbe quello di Vienna, dove una società in house del comune (la Wiener Wohnen) possiede e amministra circa 220mila appartamenti, corrispondenti a circa il 30% degli immobili dati in locazione. Questa iniziativa “estrema” sulle prime non fu presa seriamente in considerazione dal pur non moderato governo berlinese (sostenuto da una coalizione “rosso-rosso-verde”, e cioè composta da socialdemocratici, sinistra e verdi) che preferì far approvare, nel gennaio 2020, una legge “sull’equo canone”, il cd. Mietendeckel (ufficialmente nota come Gesetz zur Mietenbegrenzung im Wohnungswesen in Berlin, abbr. MietenWoG Bln). L’equo canone “alla berlinese” è stato tuttavia dichiarato incostituzionale, per motivi legati al riparto di competenze tra federazione e Länder, dal Tribunale costituzionale federale nella sua pronuncia del 25 marzo 2021. Questa decisione, quasi per eterogenesi dei fini, ha spianato la strada all’iniziativa referendaria e al ritorno dello spettro delle collettivizzazioni. La decisione di Karlsruhe ha infatti avuto l’effetto di dare nuovo vigore alla raccolta delle firme che era ripresa un mese prima (secondo la costituzione berlinese le firme vengono raccolte in due fasi, cfr. art. 63, co. 1) e si è conclusa a giugno 2021 con oltre 350mila sottoscrizioni raccolte (ne bastava la metà). Il referendum si è infine tenuto insieme alle elezioni per il Bundestag il 26 settembre 2021 e ha visto una larga maggioranza (il 59,1% dei voti validi, oltre un milione di elettori) esprimersi in favore dell’esproprio collettivo.
Il referendum non comportava l’approvazione di una concreta proposta di legge. Il nuovo governo (ancora rosso-rosso-verde) non potrà però ignorare un risultato così significativo, sia per un motivo politico che per uno giuridico. Il motivo politico è evidente, anche data la mancanza di alternative concrete per il problema del caro affitti. Quello giuridico è che il risultato del referendum, pur non spiegando effetti giuridici diretti sulla legislazione, obbliga comunque il governo berlinese ad affrontare la questione prendendo delle misure. Dal canto suo il comitato promotore del referendum ha pubblicato a maggio una propria proposta di legge per il “trasferimento alla proprietà collettiva di immobili ad uso abitativo”.
La vicenda fin qui sinteticamente esposta si presta a numerosissime riflessioni in punto di diritto costituzionale e solleva non pochi problemi, molti dei quali del tutto inediti. Cerchiamo di seguito di esporne alcuni almeno per sommi capi.
Il primo problema è quello della legittimità costituzionale di una eventuale legge che dia seguito al referendum e imponga la “socializzazione” delle grandi società immobiliari. I promotori si sono richiamati proprio all’art. 15 GG. Tuttavia non si può fare a meno di notare che questi si riferisce a “mezzi di produzione” (Produktionsmittel). Una interpretazione restrittiva richiederebbe che esso si applichi solo al caso di industrie e di attività produttive di beni in senso proprio. In passato la dottrina maggioritaria aveva ritenuto l’art. 15 GG non applicabile a banche e società assicurative (per ogni riferimento, cfr. J. Wieland, Art. 15, in GG-Kommentar, a cura di H. Dreier, vol. I, §§ 22 s.). Si trattava di letture che risentivano del clima da guerra fredda e che guardavano con grande sospetto ad ogni elemento che potesse ricordare le politiche della DDR. Oggi la dottrina è più aperta ad una interpretazione estensiva che valorizzi la ratio complessiva della disposizione costituzionale. Come ha notato Joachim Wieland (ivi, § 23), l’art. 15 GG fu fortemente voluto dai socialdemocratici con l’intenzione di lasciare aperta la possibilità di un ampio intervento pubblico nell’economia (si veda a tal proposito anche la relazione di Ipsen al convegno del 1951 in cit., 101 s.) : questo disegno non era certamente limitato alle attività industriali, ma riguardava, ad esempio, anche il credito e le assicurazioni, come dimostrato anche dalle previsioni contenute in altre costituzioni di Länder dello stesso periodo (ad es. quella bavarese del 1946 all’art. 160).
A complicare ulteriormente la situazione, e qui il secondo problema, è che la costituzione del Land Berlino del 1995 non prevede, a differenza di altre costituzioni subfederali, la “socializzazione”, ma si limita a consentire il solo esproprio di pubblica utilità (art. 23). Gli oppositori dell’iniziativa referendaria si sono quindi richiamati al classico argomento ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit: la costituzione berlinese avrebbe implicitamente vietato l’esproprio collettivo, e non troverebbe applicazione diretta l’art. 15 GG. L’opinione contraria invece argomenta proprio per l’applicazione diretta dell’art. 15 GG sul presupposto che non si sia in presenza di un divieto implicito, ma di una lacuna. Anzi, si argomenta, il costituente del 1995 tacendo sul punto ha voluto recepire tout court l’art. 15 GG nell’ordinamento costituzionale del Land. Questa tesi può poggiarsi anche su di un’altra disposizione del Grundgesetz, l’art. 142, che recita: “(…) le disposizioni delle Costituzioni dei Länder restano in vigore purché garantiscano i diritti fondamentali previsti negli articoli della presente Legge fondamentale che vanno dall’1 al 18”. Se ne potrebbe trarre che l’art. 15, compreso nei primi 18 articoli, costituisca uno standard minimo cui neppure le costituzioni dei Länder possono derogare. Senonché molti dubitano che l’art. 15 GG possa essere qualificato alla stregua di un diritto fondamentale. Tale questione dipende in massima parte dalla concezione dei diritti fondamentali che si voglia fare propria. Una concezione individualistico-liberale certamente è contraria all’idea della collettivizzazione come diritto fondamentale; al contrario, una concezione di stampo genuinamente personalistico e socialmente orientato, e cioè attenta ai doveri di solidarietà sociale, può ben arrivare a conclusioni differenti, ove “evidenti esigenze della collettività e dell’economia non si possano altrimenti salvaguardare” (così il Codice di Camaldoli a proposito della proprietà collettiva). Non a caso Ridder (in cit., 134) vedeva nell’art. 15 GG la stessa ratio dell’art. 3, co. 2 della Costituzione italiana. Ipsen (in cit., 103) invece parlava dell’art. 15 come di una disposizione con una “funzione progressiva” e fondante uno status socialis positivus in favore dei gruppi che si avvantaggerebbero della collettivizzazione. In ogni caso, la “socializzazione” può ben essere funzionale alla garanzia di determinati diritti fondamentali: si pensi, per rimanere sulle vicende berlinesi, al diritto ad una abitazione (riconosciuto in Italia come fondamentale dalla giurisprudenza costituzionale; cfr. da ultimo la sent. n. 44 del 2020).
Vi è poi il problema degli eventuali indennizzi. Il comitato promotore ha proposto un indennizzo calcolato sulla base di un “equo canone di locazione” (leistbare Miete) di 40 annualità. Si tratterebbe di un importo corrispondente all’incirca al 25% del valore di mercato (8 miliardi di euro). Sul punto l’art. 15 GG rinvia all’art. 14, co. 3 GG che impone per gli espropri di pubblica utilità un indennizzo calcolato in base a un “equo bilanciamento tra gli interessi della generalità e degli interessati”. Ciò richiede, come è evidente, un giudizio di proporzionalità del legislatore che ben potrebbe essere poi scrutinato non solo dai giudici costituzionali nazionali, ma anche dalla Corte EDU.
Infine, si deve notare che le vicende berlinesi non riguardano soltanto un articolo “dormiente” della Legge Fondamentale e il particolare tema del governo dell’economia. Esse vanno pure al cuore del delicato rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Non sarebbe fuori luogo affermare che il referendum berlinese del 26 settembre è stato il referendum più importante e significativo che si sia tenuto in Germania dal dopoguerra. Questo in un contesto, quello dell’ordinamento costituzionale tedesco, tradizionalmente diffidente della democrazia diretta (se non apertamente ostile ad essa). Il rapporto tra governo berlinese e comitato promotore si preannuncia tutt’altro che sereno.
Non è difficile indovinare chi sarà chiamato a sbrogliare questa intricata matassa: in Germania tutte le strade portano a Karlsruhe.