Tunisia: la Costituzione di Kaïs Saïed

In seguito al referendum del 25 luglio 2022, con il quale è stata approvata la nuova Carta costituzionale, la Tunisia ha consolidato ulteriormente la sua involuzione in senso illiberale. Tale consultazione, infatti, sebbene segnata da un tasso record di astensionismo dovuto al boicottaggio da parte di molti partiti, associazioni e sindacati (solamente il 30,5% degli aventi diritto si è recato alle urne), ha sancito la sostituzione della Costituzione del 2014, indubbiamente una delle Carte costituzionali più democratiche nel mondo arabo, con un nuovo testo costituzionale dai tratti fortemente autoritari. Il Presidente Kaïs Saïed è dunque riuscito nell’intento di disfarsi di una Carta che ha sempre criticato aspramente, soprattutto per via della natura bicefala dell’esecutivo, nonché di un Parlamento, di un potere giudiziario e di una Corte costituzionale in grado di condizionare e limitare in maniera significativa le scelte del Capo dello Stato. In altre parole, i meccanismi di checks and balances che rappresentavano i punti di forza della Costituzione del 2014, agli occhi di Saïed altro non erano se non ostacoli all’azione presidenziale. Più che una “nuova Repubblica”, come viene definita nel Decreto-legge n. 2022-30 del 19 maggio 2022, il sistema congeniato dal Presidente ricorda per molti aspetti il presidenzialismo autocratico che ha caratterizzato il Paese sotto il regime di Ben Ali, nonché altre esperienze illiberali di ordinamenti vicini, tra cui l’Egitto di Al-Sisi.

La Costituzione del 2022 marca una discontinuità radicale rispetto alla Carta del 2014, abbandonando la forma di governo semi-presidenziale per adottare un sistema iper-presidenziale (sui cui Al-Ali 2022 e Sbailò 2022). Il Presidente è ora il dominus indiscusso del sistema istituzionale: egli è infatti leader del potere esecutivo, ha importantissime prerogative legislative ed è in grado di condizionare l’attività della magistratura. La Carta del 2022 – confermando in larga parte quanto sancito nel Decreto presidenziale n. 2021-117 del 22 settembre 2021 sulle “misure eccezionali”, il quale ha rappresentato lo strumento fondamentale con cui Saïed ha governato in questi mesi (su cui Spanò 2021 e Biagi 2021, pp. 960-963) – prevede infatti che il Presidente eserciti il potere esecutivo “assistito da un Governo presieduto da un Primo Ministro” (art. 87). È il Presidente a determinare “le politiche generali dello Stato e a definire le sue scelte essenziali” (art. 100). Il Governo, invece, si limita a garantire “l’implementazione della politica generale dello Stato secondo gli orientamenti e le scelte del Presidente della Repubblica” (art. 111). La nuova Costituzione prevede poi che il Presidente nomini discrezionalmente il Primo Ministro e, su suggerimento di questo, i ministri (art. 101). La Carta del 2014, al contrario, limitava fortemente le scelte del Presidente, nel senso che questi era tenuto a nominare come Capo del Governo il leader del partito o della coalizione che avesse ottenuto il numero più alto di seggi in Parlamento (art. 89). Ora il Presidente può altresì sciogliere il Governo e porre fine alle funzioni di uno dei suoi membri, sia per volontà dello stesso Presidente, sia su indicazione del Primo Ministro (art. 102). Il fatto che si sia in presenza di un sistema iper-presidenziale è altresì dimostrato dall’articolo 112, secondo cui il Governo è responsabile solo dinanzi al Presidente. Il Parlamento può sfiduciare il Governo solo a maggioranza dei due terzi (art. 115). Inoltre, qualora venga presentata una seconda mozione di sfiducia nel corso della medesima legislatura al Presidente è consentito sciogliere il Parlamento (art. 116).

La Carta del 2022 attribuisce poi potere di iniziativa legislativa al Presidente, i cui disegni di legge “hanno la priorità” nell’iter legislativo (art. 68). Inoltre, i disegni di legge di bilancio e di ratifica dei trattati internazionali possono essere presentati esclusivamente dal Presidente (art. 68), il quale ha altresì il potere di emanare decreti previa delega dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (vale a dire la Camera bassa) (art. 70), ovvero quando l’Assemblea è sciolta (art. 80) o le sue sedute sono sospese (art. 73). A ciò si aggiunge la facoltà del Presidente di sottoporre a referendum i disegni di legge relativi all’organizzazione dei pubblici poteri (art. 97). Egli può altresì esercitare il diritto di veto, il quale può essere superato dal Parlamento solo a maggioranza dei due terzi (art. 103). Il Parlamento cessa di essere unicamerale. All’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo si aggiunge ora una Camera alta, il Consiglio Nazionale delle Regioni e delle Province (art. 56), il cui scopo principale dovrebbe essere quello di rafforzare il decentramento territoriale. Quest’ultimo, in realtà, non è stato particolarmente valorizzato in Costituzione. Basti pensare, al riguardo, che la Carta del 2014 dedicava un intero capitolo, il settimo, al “Potere locale”, il quale conteneva dodici articoli. Al contrario, il Capitolo 7 del testo del 2022, relativo agli “Organi regionali e locali”, contiene, come nella Costituzione del 1959 (art. 71), un solo articolo, il quale, peraltro, rinvia alla legge ordinaria (art. 133). Della “democrazia dal basso” più volte auspicata da Saïed vi sono poche tracce in Costituzione: essa si rinviene principalmente, oltre che nel breve riferimento alle “assemblee locali” (art. 75), nella controversa disposizione che consente agli elettori di revocare i membri della Camera bassa, secondo le condizioni previste dalla legge elettorale (art. 61).

Tra le prerogative del Presidente va poi segnalata quella di nominare i giudici sulla base di una “raccomandazione” da parte del rispettivo Consiglio superiore della magistratura (art. 120), di dichiarare lo stato di eccezione senza che la Corte costituzionale, trascorsi trenta giorni, possa verificare se la situazione eccezionale persiste, come invece prevedeva la Costituzione del 2014 (art. 96), nonché di dare inizio ad un processo di riforma della Costituzione e di sottoporre a referendum un progetto di riforma costituzionale (art. 136). La Carta del 2022 non indica espressamente a chi spetti la nomina dei membri della Corte costituzionale. Essa è ora composta esclusivamente da giudici appartenenti alle magistrature supreme (art. 125), ma è ragionevole pensare che sia gli organi di autogoverno della magistratura sia il Presidente verranno in qualche modo coinvolti nel processo di selezione. Si consideri, inoltre, ad ulteriore testimonianza della pressoché totale assenza di meccanismi di controllo dell’azione presidenziale, che la nuova Costituzione non contempla più il potere del Parlamento di mettere in stato di accusa il Presidente (il quale, nella Costituzione del 2014, sarebbe stato poi giudicato dalla Corte costituzionale (art. 88)). Inoltre, ai giudici e ai membri dell’esercito e delle forze di sicurezza nazionale è precluso il diritto di sciopero (art. 41).

Vi è un’ulteriore disposizione che desta forti preoccupazioni e che si può prestare facilmente ad abusi. Sebbene infatti la Costituzione stabilisca che il Presidente non può restare in carica per più di due mandati (consecutivi o meno) della durata di cinque anni ciascuno (art. 90) e che i limiti alla rielezione e la durata del mandato non possono essere oggetto di revisione costituzionale (art. 136), l’articolo 90 stabilisce altresì che “Nel caso in cui le elezioni non si possano tenere nei tempi prestabiliti a causa di una guerra o di un pericolo imminente, il mandato presidenziale è prorogato per legge sino a quando non siano cessate le cause che hanno determinato il ritardo delle elezioni” (corsivo nostro). Non si può non ricordare come nel luglio del 2021 Kaïs Saïed invocò proprio l’esistenza di un “pericolo imminente” per giustificare la proclamazione dello stato di eccezione ex art. 80 Cost.

Un chiaro segno dell’indebolimento del sistema democratico è dato poi dalla rimozione delle disposizioni, contenute nella Carta del 2014, che sancivano la piena indipendenza e neutralità dell’esercito e delle forze di sicurezza nazionale. Sono state rimosse, inoltre, diverse autorità indipendenti, tra cui l’Autorità per la comunicazione audiovisuale, quella per i diritti dell’uomo, quella per lo sviluppo sostenibile e per i diritti delle future generazioni, nonché quella per il buon governo e la lotta alla corruzione. D’altronde, da quando è divenuto Presidente, ma soprattutto in seguito alla proclamazione dello stato di eccezione, Saïed si è adoperato per impedire l’istituzione degli organi costituzionali indipendenti (come la Corte costituzionale), ovvero li ha sostituiti (come nel caso del Consiglio Superiore della Magistratura) o modificati (come nel caso dell’Alta Autorità indipendente per le elezioni) con organi posti sotto il suo diretto controllo. Pertanto, l’analisi dell’assetto istituzionale previsto dalla Costituzione del 2022 conferma quanto affermato da Nathan Brown, secondo cui si è in presenza di un “one man’s document” che può spianare la strada ad una “dittatura presidenziale”.

Un altro cambiamento radicale rispetto alla precedente Costituzione ha riguardato il ruolo dell’Islam. L’articolo 1 della Carta del 2014 aveva mantenuto l’ambigua formulazione prevista nella Costituzione del 1959, sancendo che “La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano. La sua religione è l’Islam, la sua lingua è l’arabo e il suo regime è la Repubblica” (corsivo nostro). L’ambiguità consisteva nel fatto che la disposizione poteva essere letta sia nel senso che l’Islam era la religione di Stato (vale a dire delle istituzioni statali), sia nel senso che l’Islam era la religione della Tunisia, vale a dire del 99% della popolazione tunisina. Peraltro, quest’ultima interpretazione, di natura più sociologico-identitaria, pareva essere quella accolta dal costituente nella redazione del testo del 2014 (su questo punto si rinvia a Biagi 2020, pp. 258-259). La nuova Costituzione del 2022 prevede invece una disposizione – a quanto pare voluta e inserita da Saïed stesso – secondo cui “La Tunisia fa parte della Umma islamica e lo Stato da solo, nell’ambito di un sistema democratico, deve lavorare per realizzare i Maqasid [scopi, obiettivi] dell’Islam nella preservazione della vita, dell’onore, della proprietà, della religione e della libertà” (art. 5). Innanzitutto va evidenziato come gli “obiettivi” indicati in Costituzione sembrerebbero divergere parzialmente da quelli che sono considerati tradizionalmente i Maqasid al-Sharia, vale a dire la preservazione della religione, della vita, della ragione, della stirpe e della proprietà (si veda Khan 2022, pp. 12-15). A non essere chiari sono poi gli effetti che questa disposizione avrà. Mentre secondo diversi commentatori l’articolo potrebbe aprire le porte alla creazione di uno Stato teocratico (anche alla luce del fatto che la nuova Costituzione non definisce più la Tunisia come uno Stato “civile”, come invece faceva la Carta del 2014 all’articolo 2), altri ritengono che tale disposizione non porrebbe lo Stato in posizione subordinata rispetto alla religione, ma anzi lo renderebbe il vero interprete della volontà divina, consentendogli di identificare gli obiettivi dell’Islam (su questo dibattito si rinvia a Brown 2022 e a Grewal et al. 2022).

Vale la pena, a questo punto, ripercorrere, seppur brevemente, il percorso che ha condotto all’emanazione della Costituzione del 2022, un percorso a dir poco accidentato e caratterizzato da macroscopici deficit democratici. La volontà di procedere ad una “riforma” costituzionale (in quel momento non si parlava ancora di una vera e propria “nuova” Costituzione) era stata annunciata ufficialmente da Saïed nel Decreto presidenziale del settembre 2021 sulle “misure eccezionali”. Successivamente, nel dicembre dello stesso anno e nei mesi successivi, il Presidente tunisino ha delineato le tappe del processo costituente (su cui International Commission of Jurists 2022 e Bessalah 2022). La prima fase è consistita in una “consultazione pubblica” che si è tenuta in forma on-line attraverso la piattaforma “e-istichara” tra il 15 gennaio e il 20 marzo 2022 (su cui Mekki 2022). Ai cittadini è stato chiesto di rispondere a una serie di domande su varie questioni di natura istituzionale, economica e sociale. Sebbene Saïed abbia definito la consultazione un “successo”, solamente 534.915 tunisini hanno partecipato al voto, vale a dire circa il 7.5% degli aventi diritto. Non vi è da sorprendersi del fatto che i risultati della consultazione abbiano coinciso con le idee e la visione presidenzialista del Presidente. Ad esempio, l’86% di coloro che hanno partecipato al voto avrebbe voluto abbandonare il sistema semipresidenziale per optare per una forma di governo presidenziale, e il 92.2% si era detto favorevole alla possibilità di ritirare la fiducia ai singoli deputati prima della fine del loro mandato.

La seconda fase, quella relativa al drafting vero e proprio del nuovo testo costituzionale, ha avuto inizio il 19 maggio 2022, con l’adozione del Decreto legge n. 2022-30 con cui è stata creata la “Commissione nazionale consultiva per una nuova Repubblica”, guidata da Sadok Belaïd, Professore universitario di Diritto pubblico, che era considerato molto vicino a Saïed. Tale organo era composto a sua volta da tre sotto-commissioni consultive: la Commissione per gli affari economico-sociali (composta da rappresentanti di alcune delle principali organizzazioni nazionali e dei sindacati, tra cui l’UGTT), la Commissione giuridica (composta dai presidi delle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze giuridiche e politiche del Paese) e la Commissione per il dialogo nazionale (composta dai membri delle due precedenti commissioni). Alla Commissione affari economico-sociali era richiesto di formulare proposte alla luce dell’esperienza economica e sociale del Paese, mentre la Commissione giuridica aveva il compito di procedere all’elaborazione del progetto di Costituzione. La Commissione per il dialogo nazionale, infine, una volta ricevute le proposte di entrambe le commissioni, era tenuta ad effettuare una “sintesi” e a presentare al Presidente della Repubblica la bozza di Costituzione entro il 20 giugno. Un nuovo decreto legge, n. 2022-32 del 25 maggio, stabiliva poi che il progetto di nuova Costituzione da sottoporsi a referendum sarebbe stato pubblicato mediante decreto presidenziale entro il 30 giugno, vale a dire dieci giorni dopo la scadenza per la consegna della bozza da parte della Commissione per il dialogo nazionale.

Mentre la Commissione affari economico-sociali si è riunita almeno in tre occasioni, la Commissione giuridica pare non essersi mai riunita (o al massimo una sola volta), il che si spiega in larga parte alla luce del rifiuto dei Presidi di partecipare al processo costituente per preservare la neutralità delle rispettive Facoltà. Saïed ha quindi cercato di forzare la mano emanando un nuovo decreto in cui indicava esplicitamente i nomi dei Presidi nominati a far parte di detta Commissione. Ad oggi, tuttavia, non è chiaro chi ne abbia effettivamente fatto parte. Il 18 giugno, due giorni prima che Sadok Belaïd consegnasse la bozza di Costituzione a Saïed, pare vi sia stato un incontro tra la Commissione affari economico-sociali e la Commissione giuridica, incontro che forse ha rappresentato anche l’unica riunione della Commissione per il dialogo nazionale prevista dal Decreto legge n. 2022-30.

Il 30 giugno Saïed ha quindi emanato il Decreto presidenziale n. 2022-578 con cui è stato pubblicato il progetto di nuova Costituzione. Quest’ultimo è profondamente diverso rispetto alla bozza consegnata da Sadok Belaïd il 20 giugno. Belaïd ha immediatamente preso le distanze dal testo emanato dal Presidente: il 3 luglio egli ha infatti consegnato alla stampa la bozza di Costituzione consegnata a Saïed (bozza che sino a quel momento non era stata ancora resa pubblica), al fine di mostrare che essa non avesse nulla a che vedere con il testo pubblicato dal Presidente. Belaïd ha altresì affermato che il progetto di Costituzione era pericoloso poiché in grado, attraverso alcune disposizioni, di “aprire la strada a un regime dittatoriale”. Ufficialmente non si sa chi abbia redatto il testo finale della Costituzione, ma è più che lecito ipotizzare che sia stato o Saïed stesso (il quale, giova ricordarlo, era Professore universitario di Diritto costituzionale) o un gruppo ristretto di persone sotto la sua direzione. Le storture del processo, tuttavia, non finiscono qui. L’8 luglio Saïed ha infatti emanato un nuovo decreto presidenziale, n. 2022-607, con cui sono stati “rettificati” alcuni “errori” contenuti nel progetto di Costituzione pubblicato il 30 giugno. Tale decreto, in realtà, lungi dal limitarsi a porre rimedio ad errori materiali, prevede altresì alcune modifiche in senso sostanziale. Ad esempio, è stato emendato l’articolo 5 della Costituzione relativo ai Maqasid dell’Islam ricordato precedentemente, introducendo l’inciso “nell’ambito di un sistema democratico”.

L’ultimo step del processo costituente è consistito nel referendum del 25 luglio, tenutosi esattamente un anno dopo la proclamazione dello stato di eccezione da parte di Saïed. Il 94,6% dei votanti si è espresso a favore della nuova Carta, ma, come ricordato precedentemente, meno di un terzo degli aventi diritto si è recato alle urne, a dimostrazione dell’opposizione – o comunque del forte scetticismo o disinteresse – nei confronti del progetto del Presidente. Va ricordato come, al fine di rafforzare ulteriormente il suo controllo sul processo referendario, il 21 aprile 2022 Saïed avesse emanato il Decreto legge n. 2022-22 relativo alla modifica dell’Alta Autorità indipendente per le elezioni, più conosciuta con il suo acronimo francese “ISIE”. Tale decreto stabiliva, inter alia, che fosse il Presidente (e non più il Parlamento) a nominare i membri dell’ISIE, e riduceva sia il numero dei suoi componenti (da nove, come prevedeva la Costituzione del 2014, a sette), sia la durata del mandato (da sei anni, come previsto sempre dalla Carta del 2014, a quattro). La Commissione di Venezia, nell’opinione n. 1085/2022 del 27 maggio 2022, aveva criticato duramente tale provvedimento, ritenendolo in netto contrasto con il testo costituzionale e con gli standards internazionali. La Commissione aveva altresì affermato che, alla luce delle criticità che caratterizzavano il processo costituente (anche in termini di scadenze temporali eccessivamente ristrette), “non [fosse] realistico” lo svolgimento del referendum il 25 luglio “in una forma credibile e legittima”, paventando il rischio che tale consultazione si trasformasse “de facto [in] un plebiscito sulla persona del Presidente della Repubblica”.

Com’era facilmente prevedibile, il processo costituente che ha condotto all’emanazione della Costituzione del 2022 si è dunque svolto in senso diametralmente opposto rispetto a quanto accaduto con il processo che ha portato all’adozione della Carta del 2014. Quest’ultimo era stato infatti di tipo bottom-up (ossia caratterizzato da un ruolo chiave svolto dalla popolazione), trasparente, partecipativo e frutto di un compromesso tra le forze politiche. La Costituzione di Saïed è stata, invece, il risultato di un processo top-down (dove cioè è stato il Presidente a pilotare l’intero processo), estremamente affrettato e confuso, per nulla trasparente e poco inclusivo (basti pensare che i partiti politici sono stati completamente estromessi).

La Tunisia sta attraversando una fase estremamente problematica, caratterizzata da un gravissima crisi economico-sociale (peggiorata ulteriormente dalla guerra in Ucraina), da una disoccupazione (soprattutto giovanile) dilagante, da una recrudescenza della pandemia COVID-19 e da un progressivo deterioramento dei diritti fondamentali (secondo Freedom House, infatti, la Tunisia non è più un Paese “free”, ma solo “partly free”). Più che di una nuova Costituzione, il Paese avrebbe avuto bisogno di dare attuazione a quelle disposizioni della Carta del 2014 che erano rimaste inattuate. Saïed, purtroppo, ha deciso altrimenti.