Esenzioni fiscali discriminatorie: la Corte sancisce l’effettività del principio di parità di trattamento nei confronti dei cittadini dell’Unione

Con la sentenza del 20 gennaio 2011, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) sanziona la legislazione greca, la quale concedendo benefici fiscali sulla base della residenza e della cittadinanza, è venuta meno agli obblighi imposti dal Trattato limitando in tal modo il diritto di libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea. Nel solco di una giurisprudenza consolidata viene ribadita l’effettività del principio di parità di trattamento, il quale vieta ogni forma di discriminazione diretta e indiretta nei confronti dei cittadini dell’Unione che sia tale da restringere e compromettere il diritto fondamentale di circolazione nell’Unione.

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso per inadempimento proposto, ai sensi dell’art. 226 del TCE (art. 258 TFUE) dalla Commissione europea contro la Repubblica ellenica. Con i motivi del ricorso la Commmissione lamentava il mancato rispetto degli obblighi previsti dal Trattato CE, a norma degli artt. 12, 18, 39, 43 (ora, rispettivamente, artt. 18, 21, 45, 49 TFUE) e degli art. 4, 28, 31 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (Accordo SEE) del 2 maggio 1992 in quanto l’esenzione dall’imposta sulla cessione di beni immobili prevista dalla l. 1078 del 1980 solo per i residenti permanenti in Grecia e per i cittadini greci a determinate condizioni, integra una discriminazione a danno dei non residenti in Grecia e di coloro che non sono cittadini greci.

La normativa greca, risalente al 1980, prevede benefici fiscali per coloro che acquistano un primo bene immobile destinato ad uso abitativo ma subordina tali esenzioni ad alcune condizioni. L’esenzione dall’imposta sulle cessioni di beni immobili riguarda infatti coloro che risiedono in modo permanente in Grecia ed i cittadini greci o di origine greca che hanno lavorato all’estero per almeno sei anni (l. 1078/1980, art. 1, n. 1 e n. 3). Gli addebiti della Commissione, evidenziati anche nel procedimento precontenzioso nei confronti dello Stato greco, pongono due ordini di questioni. In primo luogo, si tratta di accertare se il criterio della residenza permanente implichi un trattamento discriminatorio nei confronti dei cittadini dell’Unione. Nonostante tale criterio si applichi indipendentemente dalla cittadinanza degli interessati, la circostanza che i residenti permanenti in Grecia siano per la maggiorparte cittadini greci, dimostra, secondo la Commissione, il carattere discriminatorio della disposizione. Il trattamento più favorevole accordato ai residenti in Grecia determina, in via indiretta, una restrizione della libertà di circolazione delle persone prevista dagli artt. 21, 45, 49 TFUE. Come è noto infatti, l’art. 21 TFUE sancisce il diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, l’art. 45 TFUE garantisce tale diritto ai lavoratori subordinati e l’art. 49 TFUE nei confronti di coloro i quali intendano esercitare un’attività non salariata in maniera duravole sia essa un’attività indipendente o la costituzione e gestione di un’impresa (diritto di stabilimento).
Analoga restrizione delle suddette libertà fondamentali, è determinata dall’espresso riferimento alla cittadinanza greca, quale criterio aggiuntivo per poter beneficiare della esenzione fiscale in parola. Trattasi in questo caso di una discriminazione diretta o espressa dal momento che l’art. 18 TFUE vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Giova poi ricordare che la direttiva 2004/38/CE ribadisce la necessità di rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di
tutti i cittadini dell’Unione garantendo una disciplina unitaria nei confronti dei lavoratori subordinati, lavoratori autonomi,studenti ed altre persone inattive (v. considerando n. 3).
Dunque, la restrizione al principio della libera circolazione delle persone si palesa, a giudizio della Commissione, prima, con una discriminazione indiretta basata sul criterio della residenza permanente, poi attraverso un trattamento discriminatorio diretto fondato sulla cittadinanza degli interessati.

Dal canto suo, la Repubblica ellenica rigetta integralmente gli addebiti della Commissione.
In particolare, il criterio della residenza non si pone in contrasto con i principi di cui agli artt. 18 e 45 TFUE dal momento che l’esenzione fiscale è accordata a tutte le persone residenti permanentemente in Grecia, indipendentemente dalla loro cittadinanza. In secondo luogo, la condizione della residenza permanente è giustificata da obiettivi di interesse generale che consistono nel facilitare l’acquisto di un primo bene immobile da parte di privati, nel prevenire qualsiasi forma di speculazione immobiliare e nel limitare frodi fiscali ed abusi. Accanto agli obiettivi di interesse generale la Grecia invoca obiettivi di carattere sociale che ciascuno Stato membro è libero di fissare nella propria discrezionalità, fermo restando il limite della proporzionalità rispetto a tali finalità.
Argomenti legati alla finalità socio-politica della normativa fiscale vengono sostenuti anche contro il secondo motivo di censura avanzato dalla Commisione, ovvero quello relativo alla discriminazione diretta fondata sulla cittadinanza. La Repubblica ellenica sostiene infatti che la cittadinanza o origine greca rappresenta un criterio suppletivo ed eccezionale rispetto al criterio generale della residenza permanente. Il riferimento alla cittadinanza trova per altro un’adeguata giustificazione nell’esigenza di attuare importanti obiettivi di carattere socio-politico, consistenti nel favorire il ritorno in Grecia dei numerosi cittadini emigrati all’estero appartenenti a classi sociali medie ed inferiori.

Come dimostra l’esposizione degli argomenti delle parti, la questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda l’asserita restrizione alla libertà fondamentale di circolazione delle persone causata da una normativa fiscale discriminatoria nei confronti di coloro che non risiedono in Grecia o che non sono cittadini greci. Tuttavia, il diverso trattamento, più favorevole, accordato a favore di tali categorie trova giustificazione, a parere dello Stato greco, nel raggiungimento di uno scopo sociale perseguito dallo Stato nel rispetto del principio di proporzionalità tra misure adottate ed obiettivo prefissato. Il nocciolo della questione consiste nel verificare se il diverso trattamento implica una discriminazione vietata, o una scelta discrezionale riservata alla sfera di autonomia dello Stato greco, come tale pienamente lecita rispetto ai principi dell’ordinamento comunitario. Per capire, infatti se separare, distinguere o differenziare rappresentino scelte discriminatorie illecite, o discrezionali e dunque lecite, occorre prendere in considerazione i concetti di discriminazione diretta e indiretta. Il passo logicamente successivo è quello di accertare se sussiste un rapporto di proporzione tra la restrizione di talune libertà fondamentali e gli scopi di carattere sociale perseguiti dallo Grecia nel senso che la restrizione sarà giustificata soltanto nella misura in cui essa risulti necessaria e proporzionata al raggiungimento di tali finalità di interesse generale e sociale.

Un’ipotesi di discriminazione diretta si verifica quando una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza è basata sul fattore espressamente considerato dalla legge, quale, nel nostro caso, la cittadinanza (artt. 18, 45, 49 TFUE). La nozione trova riscontro anche nella direttiva comunitaria 2000/43/CE, art. 2, a), in base al quale – seppur con riferimento al caso della discriminazione fondata sulla razza o origine etnica – sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga. La dimostrazione del carattere discriminatorio implica un giudizio di comparazione tra la condizione del soggetto discriminato e quella di un soggetto diverso, appartenente ad un altro gruppo di individui. Se da tale raffronto si evince che situazioni analoghe sono state trattate in maniera differente l’atto o il comportamento costituiscono una discriminazione diretta, come tale vietata dall’ordinamento comunitario. Come risulta dalla giurisprudenza consolidata della CGUE, un trattamento del genere potrebbe essere giustificato solo se fondato su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito (v., in questo senso, sentenza 5 giugno 2008, causa C-164/07, Wood, Racc. pag. I-414
3, punto 13; sentenza 16 dicembre 2008, causa C-524/06, Huber, Racc. pag. I-9705, punto 75; sentenza 2 ottobre 2003, causa C 148/02, Garcia Avello, Racc. pag. I 11613, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, il trattamento di favore verso i cittadini greci, che vale a differenziarli dai cittadini non greci, si fonda unicamente sulla cittadinanza ed integra per questo una discriminazione diretta. La restrizione alla libertà di circolazione delle persone nell’Unione, che tale discriminazione comporta, non può essere giustificata dal riferimento a scopi di carattere sociale perseguiti dallo Stato greco nell’ambito della propria discrezionalità politica. Le suddette finalità non provano infatti l’esistenza di circostanze oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, che possano giustificare una discriminazione come quella risultante da tali esenzioni fiscali.
La questione più complessa riguarda la fattispecie della discriminazione indiretta fondata sul criterio della residenza permanente in Grecia. Sussiste discriminazione indiretta quando un criterio o una prassi apparentemente neutri pongono le persone di una determinata nazionalità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone (cfr. direttiva 2000/43/CE, art. 2, b). L’accertamento del carattere discriminatorio del criterio in esame, implica un giudizio di valore non già del trattamento irragionevolmente differenziato (come accade nella discriminazione diretta) ma del trattamento irragionevolmente eguale. La discriminazione non avviene quindi sulla base del fattore espressamente considerato dalla legge (la cittadinanza) ma sulla base di altri criteri, come la residenza, che svantaggiano in modo proporzionalmente maggiore coloro che non sono cittadini greci giungendo al medesimo risultato di compromettere il godimento delle libertà fondamentali garantite dal Trattato. La Corte si è più volte pronunciata sul contrasto tra principio di parità di trattamento e forme di discriminazione che, seppur dissimulate, ne ledono l’effettività attraverso il ricorso a svariati criteri di differenziazione. Tra questi, ad esempio, il luogo d’origine o residenza di un lavoratore al fine di ricevere l’indennità di separazione (v. sentenza 12 febbraio 1974, causa 152/73, Sotgiu, Racc. pag. 153, punto 11), il domicilio fiscale delle società nel territorio nazionale per usufruire di taluni benefici fiscali (v. sentenza 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 14) e, recentemente, il domicilio o la residenza abituale delle persone portatrici di handicap per usufruire di certe agevolazioni amministrative (v. sentenza 1º ottobre 2009, causa C-103/08, Gottwald, Racc. pag. I-9117, punto 27). Nel caso di specie, una normativa nazionale la quale preveda una distinzione basata sul criterio della residenza rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri. Infatti, il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri (v. sentenza 7 maggio 1998, causa C-350/96, Clean Car Autoservice, Racc. pag. I-2521, punto 29; sentenze 29 aprile 1999, causa C-224/97, Ciola, Racc. pag. I-2517, punto 14; 16 gennaio 2003, causa C-388/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I-721, punto 14, e Gottwald, cit., punto 28). Risulta di conseguenza evidente che il carattere discriminatorio, seppur dissimulato, della normativa fiscale greca determina un ostacolo al principio della libera circolazione delle persone, dei lavoratori e di stabilimento garantite rispettivamente dagli artt. 21, 45, 49 TFUE.

La restrizione a tali libertà fondamentali potrebbe essere giustificata soltanto nel caso in cui essa persegua obiettivi di interesse generale e non ecceda quanto è necessario per raggiungerli. Come abbiamo visto, gli obiettivi invocati dalla Grecia a sostegno della normativa fiscale riguardano essenzialmente la volontà di prevenire qualsiasi forma di speculazione e di attuare una politica sociale favorevole nei confronti dei cittadini greci appartenenti alle classi sociali meno agiate. La Corte tuttavia obietta che l’esigenza di evitare condotte speculative sembra essere contraddetta dalla mancanza di una previsione espressa del divieto di affittare l’immobile. La normativa greca risulta inappropriata anche rispetto alle finalità di carattere sociale che essa si propone. Infatti, il vantaggio fiscale sull’acquisto della prima casa è concesso a tutti coloro che risiedono permanentemente in Grecia, indipendentemente dalla loro appartenenza a classi medie ed inferiori. Infine, a giudizio della Corte, tale normativa si rivela spoporzionata nel perseguire tali finalità. Il principio di proporzionalità, previsto dall’art. 5 TCE, prevede che le Istituzioni comunitarie e nazionali non possano imporre, né con atti normativi, né con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria per il raggiungimentodello scopo che l’Autorità medesima è tenuta a perseguire. L’osservanza di tale principio si impone non solo alle Istituzioni comunitarie, tra cui soprattutto la Commissione (v. sentenze 5 maggio 1998, causa C-180/96, Regno Unito/Commissione, Race. Pag. I-2265, punti 96-111), ma anche agli Stati membri (v. sentenze 10 marzo 2005, Tempelman e.a.c. Directeur van de Rijksdienst voor de keuring van Vee en Vlees, C -96/2003 e C- 97/2003, punto 47; sentenza 3 luglio 2003, causa C-220/01, Lennox, Racc. pag. I-7091, punto 76). Ciò considerato, gli obiettivi diretti a prevenire possibili elusioni e speculazioni fiscali possono infatti essere ugualmente raggiunti anche se l’acquirente di un bene immobile non ha residenza permanente in Grecia. Inoltre, esistono meccanismi meno coercitivi per accertare che l’acquirente rispetti tutte le condizioni richieste per fruire dell’esenzione dall’imposta verificando previamente che non sia proprietario di un altro bene immobile in Grecia.
In conclusione, le esenzioni fiscali a favore dei residenti in Grecia e dei cittadini greci a determinate condizioni, si pongono in contrasto con gli obblighi previsti dagli artt. 18, 21, 45, 49, TFUE e dagli artt. 4, 28, 31 dell’Accordo SEE.