Il sistema africano di protezione dei diritti umani si rafforza: la Tunisia permette l’accesso individuale e di ONG alla Corte Africana

Il 16 aprile 2017, la Tunisia ha firmato la dichiarazione che consente a individui ed associazioni di presentare direttamente ricorso alla Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, richiesta dall’art. 34 c. 6 del Protocollo istitutivo dell’organo del 1998.

La firma della dichiarazione costituisce un passo importante nel processo di consolidamento del rule of law e del costituzionalismo nel Paese perché colma almeno in parte le lacune del sistema giudiziario nazionale. Benché infatti la Tunisia rappresenti una speranza per il Mediterraneo in termini di democratizzazione e affermazione dei principi di matrice liberal-democratica, l’istituzione di un efficace sistema di garanzie si sta rivelando un’impresa particolarmente difficile. In particolare la Corte costituzionale non è stata ancora istituita, sebbene l’art.  148 c.5 della Costituzione stabilisse che essa avrebbe dovuto entrare in funzione entro un anno dalle elezioni parlamentari, che si sono tenute nell’ottobre 2014.

Il ritardo nella creazione del nuovo organo costituzionale si spiega con le difficoltà sorte circa l’istituzione del Consiglio superiore della Magistratura (CSM) anch’esso introdotto per la prima volta dalla Costituzione del 27 gennaio 2017, la cui entrata in funzione è decisiva per la creazione della Corte costituzionale. Ai sensi dell’art. 118 del testo costituzionale, quest’ultima si comporrà infatti di 12 giudici: quattro nominati dal Parlamento, quattro nominati dal Presidente della Repubblica, e quattro nominati dal CSM.

La creazione del CSM – prevista entro sei mesi dalle prime elezioni parlamentari, ex art. 148 c.5 della Cost. – ha creato tuttavia notevoli problemi. Come è già stato ricordato (T. Abbiate, “L’istituzione della Corte Costituzionale tunisina tra passi avanti e battute d’arresto”, 14 gennaio 2016), la legge organica istitutiva dell’organo è stata infatti dichiarata in contrasto con la Costituzione per ben due volte dall’Istanza provvisoria per il controllo di costituzionalità delle leggi, incaricata di giudicare la costituzionalità dei progetti di legge approvati dal Parlamento nel periodo precedente all’entrata in funzione della Corte costituzionale (art. 148 c.7 della Cost. e art. 18 della legge istitutiva dell’Istanza).

Oltre a ciò, un ulteriore blocco della situazione è stato creato dalla questione delle nomine del CSM: da un lato, la posizione del Primo presidente della Corte di Cassazione e quella del Procuratore generale sono infatti rimaste vacanti e, ai sensi dell’art. 10 della legge istitutiva del CSM, essi ricoprono ex officio anche il ruolo di giudici dell’organo di autogoverno della Magistratura, dall’altro le nomine degli altri giudici del CSM erano state duramente criticate dalle associazioni dei magistrati e a marzo 2017 il Tribunale amministrativo aveva annullato tutte le decisioni prese dal CSM da dicembre 2016. La situazione sembra essersi sciolta con la recente approvazione di una modifica alla legge istituiva del CSM del 28 aprile 2016, che fissa una quota legale per la validità delle riunioni dell’organo.

Nel frattempo il Parlamento ha iniziato a discutere la nomina dei quattro membri della Corte costituzionale e la speranza è che l’organo sia creato al più presto, di modo da assicurare un efficace protezione dei diritti e promuovere l’epurazione delle leggi giudicate in contrasto con la Costituzione. Molti osservatori, tra cui lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite per la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali e Amnesty International, hanno infatti denunciato numerose violazione dei diritti fondamentali.

Senza sottostimare l’urgenza della creazione della Corte costituzionale, è possibile affermare che la firma della dichiarazione che consente l’accesso diretto alla Corte Africana offre ai tunisini un’opportunità ulteriore per vedere garantiti i loro diritti.

La decisione inoltre ha un alto valore simbolico per gli altri Paesi africani: in un momento in cui la possibilità per individui e ONG di accedere direttamente alla Corte è messa in discussione da alcuni Stati, come il Ruanda che a marzo 2017 ha ritirato la sua dichiarazione in favore dell’accesso diretto alla Corte, la firma della stessa da parte della Tunisia conferisce nuova legittimità alla Corte ed è d’esempio per altri Stati.

La Tunisia va dunque ad aggiungersi al ristretto numero di Paesi aderenti alla Corte Africana che consente locus standi ad individui e ONG, costituito da Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Malawi, Mali e Tanzania. Per gli altri 24 Paesi che hanno ratificato il Protocollo istitutivo della Corte l’unica via di accesso alla Corte resta la Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, così come stabilito dall’art. 2 e dall’art. 5 c.1 lett. a) del Protocollo istitutivo della Corte.

Circa il funzionamento del sistema africano di protezione dei diritti fondamentali occorre sottolineare che il problema principale risiede nel fatto che la maggior parte dei ricorsi presentati viene dichiarata inammissibile. I requisiti di accesso alla Corte non sono infatti spesso rispettati e appare lodevole l’iniziativa promossa dall’ONG International Federation for Human Rights di elaborare una guida pratica per avvocati e ricorrenti di modo da permettere loro di superare gli ostacoli procedurali per ottenere il giudizio della Corte.

Benché sia ovviamente presto per poter valutare l’effetto di tale iniziativa, si spera che essa contribuirà al rafforzamento del sistema regionale di protezione dei diritti fondamentali. Indubbiamente la firma della dichiarazione che consente l’accesso diretto alla Corte da parte della Tunisia aggiunge un tassello in questa direzione.