Stabilitätgemeinschaft, prerogative parlamentari e politiche di bilancio: Karlsruhe precisa i poteri e le responsabilità del Bundestag mentre parla all’Europa

La sentenza del Tribunale costituzionale del 12 settembre è stata emessa all’esito di un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 32 della legge che regola il Bundesverfassungsgericht nell’ambito dei quali, in attesa della decisione nel merito, solitamente, l’esame dovrebbe limitarsi a valutare il periculum in mora e non estendersi financo al fumus boni iuris. In questa occasione, il Tribunale, facendo leva in particolare sul fatto che questa sentenza ha ad oggetto di fatto dei trattati internazionali, ha ritenuto però di dover anche offrire un’analisi sommaria (eine summarische Prüfung) (Rn. 190 ss.; Rn. 208 ss.). Per quanto tale scelta non abbia portato a declaratorie di incompatibilità con la Costituzione e non abbia pertanto causato la sospensione degli atti impugnati (ora promulgati dopo la firma del Presidente del Bundesstaat), tale variazione dall’ortodossia ha permesso ai giudici di precisare in anticipo l’interpretazione di alcune norme della legge di autorizzazione alla ratifica del meccanismo di stabilità, nonché delle norme concernenti le modifiche all’art. 136 del TFUE e del c.d. Fiscal compact.
La sentenza si inserisce nel solco della serie di decisioni che da più di un anno hanno ad oggetto le politiche di bilancio e la loro regolamentazione a livello europeo. Parallelamente, nel contesto tedesco, invece, già nel 2009 una riforma della Costituzione aveva inserito il c.d. “freno all’indebitamento”, che di fatto, in maniera ancora più rigida sotto alcuni profili, anticipava la disciplina poi confluita nel c.d. Fiscal compact. Questa decisione, dunque, appare particolarmente interessante anche perché in essa si sovrappongono due dimensioni diverse, ma convergenti, dell’attuale processo di riforma in materia di politiche di bilancio, uno volto prevalentemente a incidere sul contingente e che trova campo di elezione nel contesto sovranazionale ed è finalizzato ad istituire una serie di organismi volti a gestire l’emergenza; l’altro sulle regole da applicarsi a regime all’interno dei singoli Stati, anche quando tale situazione di crisi sarà superata.
In questa prospettiva, tra i due ambiti evocati, il principale campo di tensione non sembrano essere tanto le tematiche legate alla scelta costituzionale che accoglie diverse concezioni del bilancio come strumento di guida dell’economia stessa e che dovrà operare a regime, quanto piuttosto il piano dei rapporti tra Federazione e Unione europea nella dimensione emergenziale. In questo ambito, infatti, il principio di responsabilità del Bundestag, che trova nel bilancio la principale espressione della propria legittimazione, deve essere comunque garantito e non possono esserne pregiudicate le prerogative. Il fatto che la Costituzione possa – da una futura maggioranza – essere modificata in senso opposto alle norme contenute nel Fiscal compact, invece, per quanto evocata, non sembra preoccupare troppo il Tribunale costituzionale.
In definitiva, dunque, il Tribunale sembra implicitamente tracciare una misura diversa per le norme che regolano il bilancio come istituto, che possono ben essere regolate in maniera vincolante a livello europeo, e che si potrebbero definire le norme sulla formazione e sulla concezione del bilancio, e per quelle che invece regolano l’oggetto delle decisioni di bilancio e, nel complesso, gli danno forma. Solo queste seconde sembrano godere della speciale protezione declinata dal Bundesverfassungsgericht, per quanto le prime rischino di essere – se si guarda con attenzione – ben più pervasive per la discrezionalità del Parlamento.
In questo senso, stupisce come le questioni collegate alla normativa sul “freno all’indebitamento” vengano quasi liquidate con sufficienza dal Tribunale nella decisione in commento, mentre, al contempo, tanta attenzione venga dedicata alle norme sul Trattato ESM che, in definitiva, non incide, come invece fa il Fiscal compact, sull’idea di bilancio come strumento, ma al più si delinea come minaccia-impulso di una possibile e temuta trasformazione dell’Unione europea da una Stabilitätgemeinschaft in una Solidargemeinschaft. La seconda, come emerge anche dalla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht, è la pietra angolare del sistema federale tedesco e non può invece essere la nota caratterizzante il sistema europeo che, per quanto possa mutare nella normativa positiva, deve comunque restare ancorato al suo obiettivo funzionale che non è la solidarietà, ma la stabilità. In questo senso, l’idea di bilancio che sembra proteggere il Tribunale costituzionale non è certo quella di “guida dell’economia” in senso keynesiano, ma piuttosto una concezione di presidio della sovranità connotante l’idea di Stato che innerva la Repubblica federale tedesca e che trova sponda nella responsabilità che il Bundestag ha nei confronti degli elettori sul modo in cui vengono utilizzate le risorse. Viene da chiedersi cosa avrebbe deciso il Bundesverfassungsgericht nel caso in cui la riforma del 2009 non vi fosse stata e la lettera della Costituzione fosse rimasta quella del 1969, improntata, a detta dello stesso Tribunale costituzionale, da ultimo nel 2007, proprio ai principi keynesiani. In quest’ottica, il Trattato sul Fiscal compact avrebbe ben  rappresentato un significativo restringimento della discrezionalità del legislatore in materia economica sulle norme che regolano la formazione del bilancio che, sia pur spesso evocata, altrettanto spesso viene ristretta.
Sembrano dunque delinearsi due piani distinti, ma in realtà strettamente interconnessi: un primo, verso l’alto, in cui le decisioni oggetto del bilancio rappresentano un settore non esternalizzabile, che deve di fatto rimanere prerogativa statale e che tradisce una concezione del bilancio che comunque non può lasciar presagire una trasformazione sostanziale dell’idea di Unione; un secondo, verso il basso, in cui invece, constatata una sovrapponibilità testuale, la concezione del bilancio fatta propria dal Grundgesetz, che risente, almeno prima facie, delle idee proprie del costituzionalismo fiscale di Buchanan, coincide con la concezione europea, cosa che, dunque, almeno per il momento, non fa sorgere particolari problematiche di livello costituzionale.
In questa prospettiva, l’idea che in materia di scelte che impegnino i bilanci vengano esclusi i parlamenti nazionali è del tutto inammissibile perché sono questi che, a presidio della legittimazione democratica e del collegamento tra tassazione e rappresentanza, devono assumersi la responsabilità delle scelte in materia; tale ragionamento non vale, al contrario, per le norme che vanno invece a limitare le funzionalità del bilancio come strumento di guida dell’economia.
Ciò non toglie, peraltro, che comunque alcune opzioni vengano considerate di per loro da escludersi, come per esempio l’acquisto di titoli di Stato sul mercato primario o persino sul mercato secondario se queste operazioni sono destinate a produrre effetti sul mercato dei titoli stesso, perché – come si diceva – l’Unione europea ha dei connotati strutturali che non possono essere evasi. Tali operazioni, infatti, anche in un processo in itinere che può incidere su alcuni strumenti volti a far fronte a specifiche esigenze, non possono in ogni caso trasformare la comunità di stabilità in una “comunità solidale”.
Ciò posto, il Tribunale costituzionale non chiude alle scelte operate dal Governo e dal Bundestag. È però di fatto evidente che in realtà delinei con maggiore precisione la cornice entro la quale, in materia di bilancio, la discrezionalità della politica può muoversi, in questo senso operando un parziale temperamento dell’idea di neutralità della Wirtschaftverfassung che  da molti anni connota la giurisprudenza costituzionale.
Entrando nel merito della decisione, come già avvenuto, in particolare con la sentenza del 7 settembre 2011 in materia di aiuti alla Grecia e del c.d. Fondo Salva-Stati, il Tribunale ha ammesso il ricorso, sollevato con lo strumento dell’azione individuale (Verfassungsbeschwerde), per violazione dell’art. 38 GG interpretato non nella sua dimensione oggettiva, ma soggettiva, ovvero come diritto fondamentale (Rn. 198 ss.).
In questa prospettiva, il Tribunale costituzionale ribadisce che il Grundgesetz non autorizza il legislatore a trasferire la competenza della competenza o a dare autorizzazioni in bianco e a tutela di tali limiti è posto il Wahlrecht (diritto di voto) disciplinato dall’art. 38 GG che comprende anche la garanzia per i cittadini del principio di rappresentatività e, dunque, di partecipazione alle scelte e che è espressione dell’imperativo di democraticità (Demokratiegebot) che deriva in via interpretativa dagli artt. 20, co. 2 e 79, co. 3 GG (208).
Ancora una volta dopo il Lissabon Urteil e la sentenza del 7 settembre, il Tribunale costituzionale ribadisce come il bilancio, in particolare, rappresenti uno di quegli ambiti in cui il Bundestag non può sottrarsi alle proprie prerogative, né, tantomeno, impedire al Bundestag successivo di esercitare pienamente la sua responsabilità. In questo senso, come detto, si ribadisce come il bilancio sia una competenza non “esternalizzabile” (entäußer) perché esso rappresenta il cuore (grundlegender Teil) del potere di autodeterminarsi di uno Stato costituzionale e ciò in ragione del fatto che la rappresentanza deve sempre essere responsabile davanti al corpo elettorale delle scelte fatte (Rn. 210).
In questa prospettiva, il Bundesverfassungsgericht, pur avendo più volte ribadito, almeno a parole, l’ampia discrezionalità di cui godrebbe il Bundestag nelle politiche di bilancio e, più in generale, in campo economico, sembra porre un limite ultimo alla discrezionalità del legislatore, in particolare, ponendo un freno a quella tendenza in atto che segna un progressivo rafforzamento dei Governi a discapito dei Parlamenti in materia di decisioni di bilancio e che, tuttavia, nell’elevare il Tribunale costituzionale a vero e proprio custode del principio democratico, restringe e reindirizza la sua giurisprudenza più risalente in materia di “Costituzione economica”.
Nella stessa prospettiva, il Tribunale ribadisce anche che il Bundestag non può neanche autorizzare politiche indeterminate nella durata (Rn. 214) e che, comunque, sulla falsariga del primo precedente in materia ai sensi dell’art. 23 GG, i poteri di controllo del Bundestag sull’attività del Governo devono essere tenuti in particolare considerazione e si deve sempre garantire che questo abbia «sufficienti informazioni» (Rn. 215).
Ciò premesso e ritenuta ammissibile la beschwerde, il Tribunale va nel merito delle questioni sottoposte. Come detto, la decisione ha, in particolare, ad oggetto, la autorizzazione alla ratifica di tre differenti accordi internazionali: la decisione del Consiglio europeo, a seguito di procedura semplificata, di modifica dell’art. 136 del TFUE; il Meccanismo europeo di stabilità; e il c.d Fiscal Compact.
Le modifiche all’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea introducono un nuovo terzo comma che ammette la possibilità di istituire un meccanismo europeo di stabilità che abbia come obiettivo quello di garantire la stabilità della zona euro nel suo insieme il cui utilizzo è condizionato al fatto che sia indispensabile.
Tale norma (Rn. 230 ss.) rispetto al parametro prescelto – gli art. 20, co. 1 e 2 e 79, co. 3 GG – non è considerata di per sé, alla luce della “prova sommaria”, incostituzionale, pur rappresentando però una trasformazione fondamentale (geltende Umgestaltung) dell’attuale unione economica e monetaria in quanto gli aiuti agli Stati membri della moneta unica non erano più possibili. Tale disciplina infatti si distanzia da quello che viene definito il principio di indipendenza dei bilanci che aveva caratterizzato l’Unione fino a questo momento (Prinzip der Eigenständigkeit – Rn. 232). Nonostante l’introduzione di questa eccezione, tuttavia, il Tribunale rileva come l’orientamento sostanziale dell’Unione di garantire la stabilità non venga pregiudicato, in virtù del fatto che le altre norme che pongono i pilasti della Stabilitätgemeinschaft restano invariati.
Il Tribunale, poi, sposta la sua analisi sulla legge di ratifica del meccanismo di stabilità (Rn. 239 ss.). È senz’altro questo il tema che più sembra preoccupare il Tribunale costituzionale, tanto che, come già avvenuto nel caso della sentenza del 7 settembre 2011, il Tribunale ritiene necessaria una interpretazione conforme (Rn. 241). In particolare, tale operazione viene effettuata valorizzando in concreto le quote che, ai sensi del Trattato, la Germania si è impegnata a versare. Posto che la Germania si è obbligata per una somma che, nell’ambito delle disponibilità complessiva di settecento miliardi di Euro, ammonta a circa centonovanta miliardi, tale cifra deve essere considerata, anche nell’eventualità  in cui si manifesti il caso di cui agli artt. 9 e 25, co. 2 ESM, il limite ultimo entro cui può contribuire la Germania, che deve comunque operare in modo da coprire sempre le sue quote onde evitare la sospensione dei suoi diritti di voto. In questo senso va letto anche l’art. 8, co. 5, fr. 1 al fine di evitare che, nel caso in cui uno degli Stati contraenti, siano chiamati gli altri a ri-finanziare le quote rimaste scoperte (Rn. 244). Peraltro, è possibile che la Germania incrementi le proprie quote, ma un eventuale superamento di tale limite dovrà necessariamente passare per un voto del Bundestag.
Anche gli artt. 32, co. 5, 34 e 35 del Trattato vengono considerati non illegittimi nella misura in cui ammettano l’esercizio dei poteri di controllo dei Parlamenti nazionali; ma anche in questo caso viene considerata necessaria un’interpretazione conforme (Rn. 254). In particolare, ancora una volta, il Tribunale ribadisce che gli artt. 20, co. 1 e 2 e 79, co. 3 GG proteggono la haushaltpolitische Gesamtverantwotung (responsabilità di bilancio complessiva), imponendo che, pertanto, una ratifica del Trattato e delle sue norme che prevedono una serie di immunità per le Istituzioni dell’ESM, è compatibile solo nella misura in cui garantisca al Parlamento di avere le necessarie informazioni (259).
Ma è soprattutto il profilo dell’acquisto di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea che sembra interessare il Tribunale costituzionale (Rn. 276 ss.). Tale eventualità, considerata un elemento in contrasto con i principi strutturali caratterizzanti l’unione monetaria – e ciò anche in virtù del fatto che vi è un esplicito divieto in tal senso contenuto nell’art. 123 del TFUE – viene quasi del tutto esclusa in un primo tempo (Rn. 220), sebbene poi venga in parte precisata  (Rn. 278). Il summenzionato divieto, infatti, afferma il Bundesverfassungsgericht, si estende anche quando tali acquisti si verifichino sul mercato secondario nel caso in cui tali movimenti siano destinati a finanziare i bilanci degli Stati (Rn. 278); ma in tal modo contemporaneamente il Tribunale sembra anche aprire alla possibilità che sul mercato secondario si possa operare, purché il fine di tali operazioni non sia un aggiramento degli attuali divieti, innalzati dal Tribunale a pietra angolare della Stabilitätgemeinschaft.
Tale richiamo al mercato secondario rievoca, peraltro, la sentenza del 28 febbraio 2012 in cui proprio limitatamente a tali acquisti si ammise la possibilità di delegare alla Commissione speciale (c.d. Sondergremium) le decisioni in materia di acquisti di debito pubblico.
Quanto al c.d. Fiscal Compact (Rn. 224; 300 ss.), da ultimo, il Tribunale in via preliminare nel determinare il parametro di riferimento precisa che le norme che limitano in tal modo la discrezionalità politica del legislatore non sono da considerarsi illegittime. La previsione di limiti al ricorso all’indebitamento e l’obbligo di ridurre l’ammontare esistente di debito pubblico limita la discrezionalità dei Parlamenti nazionali. In proposito, però, si rileva come la Germania abbia introdotto regole già più severe in Costituzione (Rn. 227) e dunque la scelta è rimessa in gran parte al legislatore. Il compito del giudice costituzionale è di valutare che il processo democratico resti di fatto aperto a delle modifiche e che, eventualmente, in futuro, un’altra maggioranza possa intervenire a modificare quei parametri (Rn. 228). Ma proprio questo appare un punto debole, come si diceva, del ragionamento offerto dal Tribunale costituzionale.


La Carta di Nizza come parametro di costituzionalità? La Corte costituzionale austriaca tra tutela dei diritti fondamentali, CEDU, principio di equivalenza e disapplicazione

Con sentenza del 14 marzo, la Corte costituzionale austriaca ha sancito che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere considerata parametro di legittimità costituzionale per gli atti interni. La sentenza sembra seguire, nelle motivazioni, un percorso logico-sillogistico che appare scardinare un rigido concettualismo proprio della classica concezione gerarchica delle fonti, non tuttavia per proporne un superamento, quanto piuttosto per offrirne una rivisitazione e valorizzarne al contempo alcune potenzialità in un complesso contesto multilivello in cui le integrazioni con il livello di protezione offerto tramite la CEDU rappresentano la giustificazione, in sinergia con i principi del diritto dell’Unione, per cercare una via alternativa, per certe situazioni meritevoli di speciale protezione come i diritti fondamentali, al tradizionale modello della “disapplicazione” che tende ad escludere i Tribunali costituzionali.

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Un’interpretazione conforme per le politiche di bilancio: il Bundesverfassungsgericht custode del principio democratico

Dopo aver respinto, nel 2010, le richieste di provvedimenti cautelari, il Bundesverfassungsgericht si è pronunciato il 9 settembre 2011 sul merito della questione sollevata in sede di ricorso individuale contro le leggi approvate dal Bundestag tedesco volte a dare attuazione agli impegni assunti in sede europea dalla Germania, con il fine di procedere al salvataggio economico della Grecia e di istituire un Fondo di stabilità monetaria nell’area Euro. La controversia verteva, in particolare, su quell’interpretazione dell’art. 38 GG posta, sin dal Maastricht Urteil, a tutela del principio democratico. Questo viene inteso, nella sua dimensione di difesa, come diritto fondamentale dei singoli a non vedere frustrato il loro diritto di partecipare, attraverso le opportune sedi della rappresentanza, al procedimento di assunzione delle decisioni, mediante il quale si concretizza la volontà politica dei cittadini (102). Solo in questa prospettiva, tra l’altro, sarebbe ammissibile, sanciscono i giudici, tutelare attraverso lo strumento della Verfassungsbeschwerde il principio democratico. La possibilità di ricorso diretto a tutela di questo diritto rappresenta, infatti, un’eccezione al principio generale (100) per cui questo, che si realizza attraverso il principio maggioritario, non sarebbe tutelabile per via giudiziale.

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«L’Euro sotto processo», forthcoming: il Bundesverfassungsgericht sulle misure europee di stabilizzazione dei mercati e sugli aiuti alla Grecia

Non è la prima volta che in Germania si prova ad attaccare l’Euro, e le leggi regolanti gli aiuti finalizzati al salvataggio della Grecia e il sistema di stabilizzazione dei mercati in Europa, impugnate con due distinte Verfassungsbeschwerden, sono senz’altro apparse una nuova buona occasione per far crollare, nel suo complesso, il sistema-Europa. Ad oggi, dopo le due pronunce con cui il Tribunale costituzionale tedesco ha rigettato le richieste di provvedimenti cautelari volti a bloccare le leggi approvate dal Bundestag nel maggio e nel giugno 2010 (su cui sia consentito rinviare a F. Saitto, Germania. Il Tribunale costituzionale respinge due richieste di sospensione di altrettante leggi volte a garantire maggiore stabilità economica nell’area euro, in DPCE online), ormai si sta avvicinando il momento in cui verrà decisa la questione con una sentenza che dovrebbe essere emanata dopo l’estate e che è, al momento, oggetto di un accesso dibattito in Germania. Il 5 luglio scorso, infatti, ha avuto luogo un’udienza preliminare e, su tutti i giornali, pagine intere erano dedicate ad un caso che potrebbe essere paragonabile, per le conseguenze che in ogni caso avrà sull’Unione europea, alla sentenza Lissabon.

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Libertà di espressione e di riunione al tempo delle società partecipate: il BVerfG alla ricerca dei luoghi di espressione del pluralismo e contro la "fuga nel privato"

Con una importante decisione che ha creato un certo dibattito pubblico (p. es: FAZ, Süddeutsche Zeitung), il Bundesverfasungsgericht è recentemente intervenuto in materia di libertà di pensiero e di riunione, andando a definire i confini in cui è possibile limitare i due Grundrechte in ragione del luogo in cui questi vengono esercitati. In particolare, però, con la sentenza 1 BvR 699/06, il BVerfG ha dovuto affrontare una questione che ha investito non solo gli artt. 5 Abs. 1 GG e 8 Abs. 1 GG, ma anche la natura della proprietà pubblica e, allo stesso tempo, le basi stesse della vita democratica e l’evoluzione del concetto di “luogo aperto”, che nel Grundgesetz è definito come «unter freiem Himmel», dove la libertà di riunione può essere limitata solo con legge o in base ad un legge (Art. 8, Abs. 2, GG).

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«Learning by engagement». Per un’etica del confronto costituzionale nell’era transnazionale

Negli Stati Uniti, negli ultimi anni, la riflessione sull’opportunità di richiamare il diritto straniero e il diritto internazionale nella giurisprudenza costituzionale si è affermata come un vero e proprio tema di scontro tra gli accademici e tra gli stessi giudici, espressione spesso di diversi se non opposti orientamenti politico-interpretativi. Dopo la sentenza Lawrence v. Texas (2003), la tensione è arrivata ad un punto tale che, con una proposta di legge (Constitution Restoration Act 2004), si è tentato di vietare ai giudici la possibilità di interpretare la Costituzione avvalendosi della giurisprudenza di Corti straniere, mentre in Texas v. Medellin (2008) la Corte ha stabilito che i giudici statali non devono considerarsi vincolati ad una decisione della International Court of Justice, in nome del principio di sovranità e dello stato federale. Ancor più di recente, in Oklahoma è stata approvata una proposta referendaria per vietare l’uso del diritto internazionale (e della Sharia) da parte delle Corti statali.
La comparazione giudiziaria veniva, e viene ancora vista con sospetto, ed in particolare il metodo comparativo, inteso come strumento di interpretazione, era ed è considerato in molti casi come una vera e propria minaccia all’identità costituzionale: in un contesto come quello statunitense, infatti, caratterizzato, da un lato, dalla percezione del proprio eccezionalismo, e, dall’altro, dal timore per una penetrazione dell’ordinamento nazionale da parte di giurisprudenze culturalmente e linguisticamente affini, il fenomeno appare quanto mai attuale, come testimoniato dalla enorme mole di interventi in dottrina sul tema.

In un quadro così articolato, si inserisce un recente libro di Vicky Jackson, Constitutional Engagement in a Transnational Era, Oxford University Press, Oxford-New York, 2010, che prende di petto il problema, suggerendo di considerare il diritto straniero e il diritto internazionale come una «lente critica» puntata sul proprio ordinamento (p. 130).

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«Ex cathedra loquitur»: rileggendo Alexander Bickel, il judicial review come problema

Il judicial review – afferma Alexander Bickel – «is the power to construe and apply the Constitution in matters of the greatest moment against the wishes of a legislative majority which, in turn, helpless to affect the judicial decision».
In The Least Dangerous Branch (I ed.: Bobbs-Merrill, 1962), Alexander Bickel pone, tra i primi, il problema della legittimazione del judicial review, che gli appare potenzialmente, se slegato da alcune cautele, una vera e propria antitesi al principio democratico. A Bickel esso appare come «a deviant institution in the American democracy».
Il titolo dell’opera – ironico e graffiante – riprende una famosa frase tratta dal celeberrimo e citatissimo n. 78 dei Federalist Papers di Hamilton, in cui il Framer aveva definito la Corte Suprema e il potere giudiziario in generale come il “meno pericoloso” dei poteri pubblici, perché privi sia del potere della borsa che della spada. Un’affermazione che Bickel ritiene quanto mai inappropriata.

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La componente «misteriosa» della comparazione e l’importanza di giustificare le scelte

In un suo recente saggio dal titolo L’argument fondé sur la comparaison dans le raisonnement juridique, uscito in un importante volume collettaneo, curato da Pierre Legrand, dal titolo Comparer le droits, résolument (PUF, 2009), Marie-Claire Ponthoreau ha sostenuto come «la comparazione costituisca, per una buona parte, una operazione misteriosa».

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