Un’interpretazione conforme per le politiche di bilancio: il Bundesverfassungsgericht custode del principio democratico

Dopo aver respinto, nel 2010, le richieste di provvedimenti cautelari, il Bundesverfassungsgericht si è pronunciato il 9 settembre 2011 sul merito della questione sollevata in sede di ricorso individuale contro le leggi approvate dal Bundestag tedesco volte a dare attuazione agli impegni assunti in sede europea dalla Germania, con il fine di procedere al salvataggio economico della Grecia e di istituire un Fondo di stabilità monetaria nell’area Euro. La controversia verteva, in particolare, su quell’interpretazione dell’art. 38 GG posta, sin dal Maastricht Urteil, a tutela del principio democratico. Questo viene inteso, nella sua dimensione di difesa, come diritto fondamentale dei singoli a non vedere frustrato il loro diritto di partecipare, attraverso le opportune sedi della rappresentanza, al procedimento di assunzione delle decisioni, mediante il quale si concretizza la volontà politica dei cittadini (102). Solo in questa prospettiva, tra l’altro, sarebbe ammissibile, sanciscono i giudici, tutelare attraverso lo strumento della Verfassungsbeschwerde il principio democratico. La possibilità di ricorso diretto a tutela di questo diritto rappresenta, infatti, un’eccezione al principio generale (100) per cui questo, che si realizza attraverso il principio maggioritario, non sarebbe tutelabile per via giudiziale.

Il Tribunale (per l’oggetto della questione nel dettaglio cfr. la Pressemitteilung del 9 giugno) ha, in primo luogo e in linea generale, ammesso che l’art. 38 GG – che prima facie tutela non un diritto fondamentale, bensì il principio per cui tutti i rappresentanti del Bundestag sono eletti dal popolo in modo libero e segreto, non sono vincolati da alcun mandato e rappresentano tutto il popolo – possa essere posto a fondamento di una Verfassungsbeschwerde. In particolare, il Tribunale costituzionale ha rinvenuto la dimensione difensiva («Die abwehrrechtliche Dimension») di questo diritto e, di fatto, il suo contenuto essenziale, nella concreta possibilità che il diritto elettorale del singolo venga sostanzialmente svuotato («entleert») (102) e nelle politiche di bilancio uno dei campi in cui questo principio trova particolare tutela e protezione attraverso la mediazione dei Parlamenti. Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale, pur considerando astrattamente azionabile la tutela attraverso il sistema della Verfassungsbeschwerde, non ha riconosciuto il diritto violato e ha considerato, pertanto, sotto tale profilo, le leggi impugnate non incompatibili con la Legge fondamentale. Nel giungere a questa conclusione, tuttavia, il Bundesverfassugnsgericht ha ribadito la centralità del Parlamento e, imponendo, attraverso un’interpretazione conforme, un voto favorevole della Commissione bilancio su ogni legge volta ad autorizzare i procedimenti previsti nelle due leggi impugnate, ha sostanzialmente riscritto un articolo della legge sulla Stabilità monetaria. Nel far ciò, in primo luogo, i giudici hanno sottolineato come le decisioni in materia di bilancio, definendo tale ambito «un settore del potere di autogoverno democratico» (122) dello Stato costituzionale, rappresentino «un elemento centrale del processo decisionale democratico» («ein zentrales Element der demokratischen Willensbildung» – 122) e rientrino pertanto nella discrezionalità politica del Bundestag. In questa prospettiva, hanno pertanto affermato come i rappresentanti del Bundestag, anche in un sistema inter-governamentale («System intergouvernementales») come l’Unione europea, abbiano il compito di controllare le politiche di bilancio (124). Tale forma di controllo, peraltro, – afferma il Tribunale – appare del tutto compatibile con il diritto dell’Unione europea e con i Trattati, che trovano parte della propria legittimazione democratica proprio nelle procedure di decisione democratica dei singoli Stati membri che ne sono presupposto (129). La procedura di bilancio rappresenta, in ultima analisi, alla luce di queste premesse, una competenza non esternalizzabile («entäußerbaren Kompetenz» – 129). Il Tribunale ha dunque riconosciuto, in linea con la più risalente giurisprudenza in materia di Wirtschaftsverfassung, un’ampia discrezionalità in campo economico al Governo e al Parlamento e ha anche ribadito quel self-restraint che, in tale ambito, già aveva enunciato nelle richiamate decisioni sulle richieste di ingiunzione, affermando che, nel settore delle politiche di bilancio, il Bundesverfassungsgericht non può sostituirsi al Legislatore e alle sue prerogative e che il suo compito consiste, per l’appunto, solo nel vigilare su un eventuale illegittima esternalizzazione di queste procedure tanto grave da comportare una violazione del principio democratico (130). Come detto, tuttavia, per arrivare a queste conclusioni di compatibilità con il Grundgesetz, i giudici hanno ritenuto che il § 1.4 della legge che introduce il meccanismo di stabilità, che imponeva in origine al Governo un semplice obbligo di ricercare l’assenso della Commissione Bilancio, vada interpretato in modo conforme a Costituzione. Il passaggio in Commissione, così come deve essere letto, dovrà pertanto essere interpretato come se prevedesse la necessità di un voto favorevole della medesima Commissione (149). La sentenza, che appare di grande rilevanza per gli equilibri dell’Unione e che avrebbe potuto avere conseguenze sulla sua stessa sopravvivenza, rappresenta senz’altro il risultato della ricerca di un difficile equilibrio tra il rispetto di decisioni puramente politiche in materia di ordine economico e la tutela del principio democratico, declinato in una realtà multilivello. Per quanto non vada sottovalutata la dimensione contingente della decisione, il Tribunale cerca pertanto di ritagliarsi in modo più preciso i confini del suo ruolo di custode del principio democratico e del principio di identità, nel rapportarsi dello Stato con le entità sovranazionali. Davanti ad un Parlamento che, forse, appare privo di strumenti concreti per auto-difendersi, la legittimazione del Tribunale costituzionale tedesco sembra passare anche dall’utilizzo accorto di quegli strumenti che, nel rappresentare senza dubbio un’extrema ratio, possono svolgere una funzione di propulsione del processo di integrazione e hanno, come obiettivo, quello di riportare l’attenzione sull’importanza che hanno nello Stato di diritto le procedure democratiche. A più riprese, traspare dalla decisione una certa freddezza nei confronti di quegli strumenti predisposti a livello europeo dalle leggi impugnate e che vengono visti con diffidenza e preoccupazione per il pericolo che, in materia di bilancio e tassazione, si crei un pericoloso iato tra chi prende le decisioni e chi le subisce, a scapito, in ultima analisi, del risalente principio del «no taxation, without representation». L’Unione europea, descritta come un intergouvernementales System, infatti, necessita di un continuo processo di legittimazione anche indiretta e non può farne a meno. Se con le ultime pronunce Honeywell e in materia di CEDU, il Tribunale costituzionale aveva mostrato un atteggiamento di notevole apertura verso l’Europa e le diverse manifestazioni del suo diritto, in questa decisione il Bundesverfassungsgericht si diffonde, invece, a sottolineare i limiti dell’azione comunitaria, lasciando solo sullo sfondo e ampiamente inesplorate le questioni inerenti il processo di integrazione. In conclusione, ammettendo che con una Verfassungsbeschwerde si possa agire a tutela del principio democratico, di fatto, il Tribunale si è investito di un potere capace di estendere notevolemente la sua capacità di intervento. Pur restando al di qua di quelle che potrebbero definirsi political questions europee, infatti, lo strumento dell’interpretazione conforme appare un mezzo potente ed efficace per aggravare procedimenti e procedure regolanti la partecipazione parlamentare. In questo modo, il Tribunale si è costruito uno spazio di intervento concreto, che gli concede la possibilità di ribadire con nettezza i limiti dei Trattati europei (129) senza doversi spingere fino a sindacare la validità della legge di ratifica del Trattati. Resta certo aperta la possibilità di una declaratoria di incostituzionalità della legge di ratifica del Trattato e di sindacato di quei mutamenti anche di fatto del quadro normativo europeo, capaci di alterare in modo non democraticamente legittimato l’equilibrio normativo introdotto con la legge di ratifica stessa (137), ma questa sembra delinearsi sempre più come extrema ratio. Come già emergeva dal Lissabon Urteil, il Bundesverfassungsgericht si conferma così custode del principio democratico di cui si fa interprete e garante a vantaggio del Parlamento e l’interpretazione conforme si eleva, nei fatti, a nuovo strumento di integrazione. Proprio l’interpretazione conforme potrà, nel futuro, rappresentare un mezzo virtuoso attraverso il quale introdurre, in maniera meno invasiva e probabilmente più efficace di quanto possibile con gli strumenti teorizzati fino ad ora, quelle esigenze di democraticità che non appaiono del tutto soddisfatte, in un rapportarsi continuo con le istituzioni europee. La questione del
deficit
democratico appare, così, ben lontana dal chiudersi.