La segregazione scolastica dei Rom di fronte alla Corte EDU

Spunti di riflessione sui limiti del margine di apprezzamento in tema di educazione inclusiva.
(nota a Corte EDU, Sez. I, Szolcsán c. Ungheria, 30 marzo 2023, ric. 24408/16)

Con la decisione sul caso Szolcsán, la Corte EDU torna ad occuparsi del tema della segregazione scolastica a danno degli studenti di etnia Rom. Nel caso in esame, il ricorrente lamenta di aver subìto una forma di segregazione alla scuola primaria, frequentata quasi esclusivamente da utenza di origine Rom, essendogli stata negata la possibilità di trasferirsi ad altro istituto dove avrebbe potuto ricevere un’istruzione più appropriata, anche in ragione di un lieve disturbo dell’apprendimento che lo interessa. Oggetto di doglianza è la violazione del diritto ad un’istruzione inclusiva da parte delle autorità locali, responsabili di aver ignorato le conseguenze di lungo periodo sul suo percorso educativo e di crescita: il diniego del trasferimento ad altro istituto, che il ricorrente asserisce motivato da ragioni razziali, e la frequentazione della scuola primaria in condizioni di segregazione lo avrebbero privato della possibilità di fruire di un’istruzione più confacente ai suoi bisogni, dando luogo ad una discriminazione a suo danno (§§ 36-38).
Il Governo ungherese obietta che la CEDU, nel sancire il divieto di discriminazione nell’erogazione del servizio istruzione, non pone a carico degli Stati un obbligo di mezzi, bensì un mero obbligo di risultato: essa, infatti, non vincola ad adottare specifiche misure per raggiungere l’obiettivo, ma ne rimette la scelta al margine di apprezzamento degli ordinamenti. Innanzi alle tante opzioni possibili, le autorità locali hanno previsto l’obbligo per tutti gli studenti del bacino di iscriversi presso più di una scuola: sicché, oltre alla scuola Jókai Mór, vi sarebbero state anche la scuola cattolica e quella tedesca. S’intuisce, tuttavia, che l’indirizzo della scuola cattolica non era compatibile con le convinzioni etico-filosofiche e religiose della famiglia, mentre la scuola tedesca avrebbe potuto ovviare a questo conflitto. A detta dei resistenti, dunque, il rifiuto delle autorità di accordare il trasferimento verso la scuola desiderata, fuori bacino, non ha privato il ricorrente del diritto di accedere a un’educazione esente da discriminazioni (§ 39). Il ricorrente replica, tuttavia, che sarebbe stato impossibile per lui seguire buona parte del curriculum in lingua tedesca (§ 38).
La Corte di Strasburgo rammenta che la discriminazione fondata sull’origine etnica integra gli estremi di una discriminazione razziale. Questa forma di discriminazione impone alle autorità di prestare particolare attenzione e di adottare risposte efficaci. Nessuna differenziazione che riposi su ragioni etnico-razziali può considerarsi giustificata in una società democratica ispirata ai principi del pluralismo e del rispetto di culture diverse (§ 46) (fra le altre, Corte EDU, GC, D.H. e al. c. Repubblica Ceca, 13 novembre 2007, ric. 57325/00, §§ 175 s., e Id., I, Sampanis e al. c. Grecia, 5 giugno 2008, ric. 32526/05, § 68). Peraltro, in ragione della loro storia turbolenta e del loro costante sradicamento, i Rom rappresentano una minoranza particolarmente sfavorita e vulnerabile, che richiede speciale protezione (§ 47) (fra le altre, Corte EDU, I, Sampanis e al. c. Grecia, cit., § 71, e Id., II, Horváth e Kiss c. Ungheria, 29 gennaio 2013, ric. 11146/11, § 102).
Si può, dunque, sostenere, facendo un confronto con i precedenti, che il margine di apprezzamento, pur riconosciuto agli Stati in materia di inclusione scolastica, in tali casi si riduca fino ad estinguersi. L’innalzamento del livello di protezione innanzi ai rischi di discriminazione etnico-razziale dispensa dal provare l’intento discriminatorio delle autorità, potendo tale condizione risultare dalla situazione di fatto riscontrata in concreto (§ 48) (cfr., ancora, Corte EDU, GC, D.H. e al. c. Repubblica Ceca, cit., § 194, e Id., I, Lavida e al. c. Grecia, 30 agosto, 2013, ric. 7973/10). L’esistenza di condizioni segregative riscontrate nel caso di specie avrebbe obbligato le autorità ad adottare misure a correzione delle disuguaglianze e ad evitare il loro perpetrarsi nel tempo (per i precedenti, v. il § 57): la mancata erogazione di misure capaci di contenere tali degenerazioni comporta la violazione degli artt. 2 Prot. 1 CEDU e 14 CEDU (§§ 58 s.).
In linea di continuità con la giurisprudenza pregressa, la Corte EDU asserisce che il margine di apprezzamento degli ordinamenti cede innanzi alle differenziazioni fondate su ragioni etnico-razziali: esse sono verosimilmente incompatibili con i principi che valgono ad ispirare una società democratica. Ciò consente di circoscrivere, almeno in parte, lo spazio di discrezionalità di cui godono gli Stati nell’assicurare il diritto ad un’istruzione inclusiva (cfr., fra le altre, Corte EDU, GC, Oršuš e al. c. Croazia, 16 marzo 2010, ric. 15766/03, § 149, su cui F. Dau in questo Blog).
Se la giurisprudenza appare compatta nel condannare come fenomeno segregativo, e quindi discriminatorio, l’opzione del separatismo scolastico motivato da ragioni etnico-razziali, magari “mascherate” da ragioni linguistiche (cfr. il caso Oršuš e al. c. Croazia, sopra citato), con riferimento ad altre condizioni si registra, invece, un andamento oscillante, piuttosto incline al riconoscimento di un margine di discrezionalità in capo agli Stati.
Così è per il fattore linguistico, la cui funzione di salvaguardia dell’identità di un popolo ha finito col legittimare le politiche “assimilazioniste” praticate presso alcuni ordinamenti a svantaggio delle minoranze presenti sul territorio: il diritto all’istruzione sarebbe privo di significato se non comportasse, a favore dei beneficiari, il diritto di essere istruiti nella lingua nazionale o in una delle lingue nazionali; viceversa, tale situazione giuridica soggettiva non implica il diritto a ricevere istruzione nella lingua scelta dal genitore, sicché una legislazione che determina la lingua in cui deve essere somministrato l’insegnamento sulla base del principio di territorialità non viola i diritti garantiti dall’art. 2 Prot. 1 CEDU (Corte EDU, GC, Caso linguistico belga c. Belgio, 23 luglio 1968).
Così è nel caso della disabilità, per cui la Corte EDU non esclude la legittimità del diniego di frequentare la scuola ordinaria imposto dalle autorità all’alunno che non sappia attendere alle richieste prestazionali minimali avanzate dall’istituzioni (Corte EDU, V, Dupin c. Francia, 18 dicembre 2018, ric. 2282/17, § 30), tralasciando, tuttavia, che la Convenzione ONU del 2006, mentre sancisce, all’art. 24, il diritto all’integrazione scolastica a tutti i livelli e vieta l’esclusione dal sistema generale d’istruzione sulla base della disabilità, enuncia un principio, quello della progettazione universale (art. 2), che ben può essere traslato nel campo dell’istruzione, rovesciando la prospettiva tradizionale secondo cui è l’individuo a compiere uno sforzo di adattamento ad un ambiente educativo che rimane ordinario, standardizzato, in favore di un modello secondo cui è l’ambiente ad essere progettato per essere universale, ovvero per venir incontro alla molteplicità delle istanze sociali presenti nelle nostre classi (per una nota critica, si rinvia a G. Matucci, Il caso Dupin all’esame della Corte EDU: un passo indietro per il diritto all’istruzione inclusiva?, in Quad. cost. 2/2019, 476 ss.).
Così, se il margine di apprezzamento si restringe là dove la disparità di trattamento sia motivata da ragioni etnico-razziali, esso tende a permanere in ordine alle modalità di bilanciamento fra il diritto all’istruzione e la tutela del patrimonio linguistico-identitario, come pure rispetto alla scelta delle misure atte a garantire il diritto all’istruzione delle persone con disabilità, non potendosi valutare aprioristicamente come discriminatoria l’opzione per il modello della separazione scolastica.
Il tema dell’integrazione scolastica degli studenti con disabilità è forse quello più controverso. In questo caso, non ci si trova semplicemente di fronte ad una minoranza ma ad una minoranza che versa in condizioni di particolare vulnerabilità, complice (anche) il perpetrarsi di modelli di educazione esclusiva e il rafforzarsi di politiche scolastiche performanti. Le aperture mostrate nella giurisprudenza più recente in ordine ai principi enunciati a livello di diritto internazionale pattizio lascia intravedere la possibilità di una loro implementazione nello scenario europeo creando l’occasione per la creazione di un idem sentire (anche) rispetto a tali questioni (cfr. Corte EDU, I, G.L. c. Italia, 10 settembre 2020, ric. 59751/15, su cui G. Matucci 2020).
Nel frattempo, occorrerebbe indagare sul perché, a fronte di simili eterogeneità, gli approcci alle esigenze di integrazione scolastica possano essere sì distanti fra loro al punto da legittimare modelli esclusivi, se non escludenti. Fino a che punto, in definitiva, i diritti della maggioranza possono essere salvaguardati senza turbare le esigenze di tutela delle minoranze? Perché le vulnerabilità non si enfatizzino ulteriormente, è indispensabile evitare soluzioni che pregiudichino in radice il processo di crescita e di autorealizzazione personale, a partire da un attentato alla sfera relazionale e della socializzazione. Così è per l’origine etnico-razziale, linguistica e culturale, ma anche per la disabilità ed altri stati di bisogno presenti all’interno della realtà scolastica, soprattutto in riferimento ai primi anni di età scolare (in riferimento alla scuola primaria: cfr. Corte EDU, I, Sampanis e al. c. Grecia, cit., § 65, per gli studenti Rom, e Id., I, G.L. c. Italia, cit., § 71, per gli studenti con disabilità).
Si auspica, dunque, che l’indirizzo affermatosi in riferimento alle minoranze etnico-razziali, a partire da considerazioni inerenti il carattere democratico e plurale della società moderna, possa influenzare la giurisprudenza europea, anzitutto, con riguardo all’area della disabilità. Il restringimento del margine di apprezzamento si porrebbe come conseguenza, allora, del riconoscimento della strategia d’istruzione inclusiva quale modello meglio rispondente ai bisogni educativi e di crescita dell’individuo, aprendo, così, la strada alla creazione di un sistema educativo di tipo universale.