Separato non è eguale: la Corte EDU e il diritto all’istruzione della minoranza rom

Separato non è eguale: conclude così la Grande Camera sanzionando la Croazia per violazione degli articoli 6.1 (ragionevole durata del processo); 14 (non-discriminazione) in combinato con l’articolo 2 del Protocollo 1 (diritto all’istruzione) e rovesciando, in parte, il giudizio della Camera che aveva escluso la violazione del diritto all’istruzione e giustificato il trattamento differenziale per gli studenti di etnia rom per ragioni di capacità linguistica.
Il 16 marzo 2010 la Corte EDU si è pronunciata su un ricorso da parte di un gruppo di giovani studenti di nazionalità croata e etnia rom residenti a Orehovica, Podturen e Trnovec [Requête n. 15766/03, Affaire Orsus et autres c. Croatie].

Nel periodo scolare i ricorrenti hanno frequentato, per determinati periodi, delle classi separate destinate esclusivamente alla scolarizzazione della minoranza rom. Di fronte alle giurisdizioni nazionali i ricorrenti avevano opposto che l’insegnamento ricevuto era di livello inferiore rispetto alle classi ordinarie e pertanto riconducibile ad una discriminazione sulla base dell’appartenenza razziale. Il rapporto presentato sottolineava, inoltre, come l’educazione separata arrecava un pregiudizio emozionale e psicologico agli studenti discriminati, in quanto indeboliva il loro amor proprio e il rispetto per loro stessi in un momento delicato della definizione della propria identità.
I punti del ricorso di fronte alla Grande Camera sono due: irragionevole durata del processo, e lettura combinata del principio di non discriminazione nell’accesso all’istruzione. Il governo aveva eccepito che la separazione nell’accesso all’istruzione non era sinonimo di diseguaglianza ma era giustificato dal fatto che gli studenti rom non avevano sufficiente conoscenza della lingua croata. Per tale ragione, non era violato loro il diritto a ricevere l’istruzione. L’organizzazione Interights intervenendo come amicus curiae ha rivolto alla Corte l’invito a sviluppare una giurisprudenza adeguata sugli aspetti materiali relativi all’obbligo degli Stati di rispettare il diritto all’istruzione.
Nell’interpretazione del divieto di non-discriminazione la Corte ha sottolineato che non si tratta di un diritto in se, ma di un complemento di specificazione nella protezione dei diritti elencati nella Convenzione e nei Protocolli aggiuntivi, che attribuisce un surplus di protezione a individui e gruppi contro trattamenti differenziali irragionevoli e restrittivi nel godimento dei vari diritti. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, ripercorsa nella sentenza, la discriminazione consiste nella previsione di trattamenti differenziali per persone che si trovano in situazioni comparabili, senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole. L’articolo 14 della Convenzione, tuttavia, non impedisce ad uno Stato membro di prevedere dei trattamenti differenziali per i gruppi per correggere delle diseguaglianze sostanziali, anche se la differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla base dell’origine etnica tende ad assumere la presunzione di illegittimità.
Il secondo passaggio per valutare la legittimità del provvedimento differenziale è la giustificazione oggettiva e ragionevole, che di fronte al fondamento della razza, del colore, o dell’origine etnica deve essere interpretato nel modo più restrittivo possibile. Per quanto la controversia riguardi i singoli ricorrenti, la Corte non ha potuto omettere di rilevare l’appartenenza etnico-razziale alla minoranza rom, considerata vulnerabile e sfavorita per motivi storici, facendo appello alla sensibilità degli Stati membri del Consiglio d’Europa nella protezione delle minoranze e dei gruppi. La dottrina del margine di apprezzamento degli Stati nel predisporre misure e condizioni per l’effettivo godimento dei diritti si assottiglia nel momento in cui sono implicati soggetti che necessitano di misure particolari e appartenenti ad un gruppo sfavorito.
Immaginando un dialogo tra Corti, si sono espresse di recente sul divieto di discriminazione nel diritto all’istruzione la Corte suprema del Regno Unito e la Corte costituzionale del Sudafrica.
Nella pronuncia R & E v. Governing Body of JFS del dicembre 2009, la Corte suprema del Regno Unito ha dichiarato l’invalidità delle regole di ammissione ad una scuola ebraica – che accettavano solo studenti di comprovata appartenenza ebraica, solo secondo le regole del diritto ortodosso che riconosce la discenzenza matrilineare e non la conversione – per discriminazione diretta sulla base della razza. La pronuncia ha dato occasione alla Corte di riprendere una querelle delicata sulle nozioni di razza e etnia, e nel caso specifico sulla natura del legame di appartenenza alla comunità ebraica (etnico-razziale/ascrittivo o religioso/volontaristico?) secondo i parametri del diritto ebraico ortodosso e del diritto riformato. La Corte ha ripreso un precedente autorevole circolato nella giurisprudenza nella Paesi del Commonwealth il caso Mandla del 1983 in cui Lord Fraser si era addentrato nella pionieristica interpretazione del concetto di “gruppo etnico”, definito nel Race Relations Act 1976 [R & E v. Governing Body of JFS, 2009 UKSC 15].
La Corte costituzionale sudafricana, nell’ottobre 2009, ha dichiarato incostituzionale la politica linguistica di una prestigiosa scuola della cittadina di Ermelo, vicino a Johannesburg, che ammetteva come unica lingua di insegnamento l’afrikaans, per discriminazione indiretta nei confronti di studenti neri anglofoni [Head of Department. Mpumalanga Department for Education v. Hoerskool Ermelo, Case n. CCT 40/09].