La riforma del sistema comune europeo di asilo: prospettive e criticità

L’8 giugno e il 4 ottobre 2023 il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo sul pacchetto di riforme del sistema comune europeo di asilo.
Si tratta, secondo la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, di «una vera svolta» che consentirà all’Ue di portare a compimento la riforma tanto attesa entro la fine della legislatura.
Il percorso, avviato già nel 2020 grazie al Patto europeo sulla migrazione, ha subito una lunga battuta d’arresto dovuta alla “storica” inconciliabilità delle diverse posizioni degli Stati membri in materia: la richiesta di misure di solidarietà obbligatoria, da parte dei Paesi dell’area mediterranea situati sulla frontiera esterna, sottoposti alla pressione delle migrazioni via mare, come Italia e Grecia; il timore dei movimenti secondari dei Paesi dell’Europa centrale, come la Germania; l’opposizione continua e di principio dei paesi Visegrad (cfr. Savino, 2023).
Le nuove proposte mirano espressamente a bilanciare “responsabilità” e “solidarietà”, colmando lo squilibrio esistente nella gestione delle domande: si pensi che, nel 2022, sono state presentate in Germania 243.000 richieste, in Italia 83.000, mentre in altri Paesi europei non se ne contano nemmeno 10.000 (cfr. dati Eurostat 2022).
Nello specifico, il processo di riforma dovrebbe concludersi, dopo i negoziati con il Parlamento europeo, con l’approvazione di tre proposte di regolamento: il regolamento sulla gestione dell'asilo e della migrazione, il regolamento volto ad introdurre una procedura comune di protezione internazionale, il regolamento sulle situazioni di crisi.
Quale sarà l’impatto concreto delle novità normative? Quali conseguenze comporteranno per gli Stati europei nella gestione della migrazione? E sui diritti delle persone in arrivo? (cfr. (Gatta, Maiani, in corso di pubblicazione 2023)
Per rispondere a tali quesiti è opportuno analizzare alcuni punti chiave dei testi in via di approvazione: a) la mancata modifica dei criteri previsti dal Regolamento Dublino; b) la previsione di un meccanismo di solidarietà; b) l’introduzione delle procedure di frontiera.

La (mancata) riforma del Regolamento Dublino
Nel modificare il c.d. Regolamento Dublino III (Reg UE 604/2013), la proposta approvata dal Consiglio europeo non supera il criterio del c.d. primo ingresso, uno dei punti – da sempre – più discussi del sistema comune di asilo europeo.
È noto che, tra i criteri per individuare lo Stato membro competente all’esame della domanda di protezione, il Regolamento Dublino prevede il c.d. criterio del primo ingresso che assegna la competenza delle procedure di asilo ai Paesi in cui la domanda è stata registrata (art. 3, par. 2 Reg UE 604/2013; art. 8 par 2 proposta di Regolamento sulla gestione della migrazione).
Tale criterio ha l’effetto di riversare sui Pasi situati sulla frontiera esterna, come Italia, Grecia e Spagna, una enorme responsabilità nell’identificazione delle persone in arrivo e nella gestione delle domande di asilo, configurando un sistema lontano dal principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità, previsto all’art. 80 TFUE in materia di asilo.
Anche nella prassi questo sistema ha generato criticità tali da minare le fondamenta dello stesso sistema Schengen, messo a dura prova dall’incapacità degli Stati situati sulla frontiera esterna di gestire la pressione migratoria, nonché dalle ripetute “chiusure” delle frontiere interne dei Paesi del nord Europa, intimoriti dai movimenti secondari (D’Amico, 2020).
Eppure di tale riforma non vi è traccia nel nuovo pacchetto approvato dal Consiglio: la gerarchia dei criteri di competenza rimane invariata e i Paesi di primo ingresso, come l’Italia, continueranno ad avere la responsabilità delle procedure (Ecre, 2023). Le ragioni di tale mancanza sono da ricercare non solo nella storica opposizione dei Paesi del Nord Europa, ma anche in un affievolimento di tale richiesta da parte dei Paesi situati sulla frontiera esterna. In particolare, a differenza dei Governi precedenti, il Governo italiano in carica non ha insistito per la modifica del criterio del primo ingresso, mirando piuttosto al potenziamento delle politiche del non arrivo e di esternalizzazione delle frontiere (Savino, 2023). Non è un caso che proprio nel Consiglio europeo dell’8 giugno 2023 il Governo italiano abbia posto le basi per la visita di Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen in Tunisia in vista dell’accordo, di  cui si dirà a breve.

Solidarietà obbligatoria ma flessibile
La proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione introduce un nuovo meccanismo di solidarietà, per bilanciare le responsabilità degli Stati europei nella gestione delle domande di asilo.
Sui siti istituzionali tale meccanismo viene ripetutamente descritto come obbligatorio, ma flessibile: obbligatorio perché tutti i Paesi Ue dovranno mettere in campo misure di solidarietà; flessibile perché saranno gli Stati a scegliere quali misure di solidarietà adottare.
In particolare, ai sensi dell’art. 44 bis, gli Stati possono scegliere se porre in essere misure -  definite “di pari valore”, quali: la ricollocazione di richiedenti e (in alcuni casi) di beneficiari di protezione; contributi finanziari diretti a potenziare il settore dell’accoglienza o della gestione delle frontiere; misure di solidarietà alternative «e incentrate sullo sviluppo di capacità, sui servizi, sul sostegno al personale di frontiera». Inoltre, la proposta di regolamento sulle situazioni di crisi consente agli Stati membri di richiedere misure per fronteggiare l’emergenza, comprese «misure per sostenere il rimpatrio, attraverso la cooperazione con i Paesi terzi» (art. 7x lett e).
Se l’obbligatorietà di questo meccanismo costituisce un passo avanti, la discrezionalità, lasciata ai singoli Stati, potrebbe vanificare o, comunque, ridurre gli effetti positivi sugli Stati di frontiera.
Tra le misure di solidarietà indicate dall’art. 44 bis, lo strumento che consentirebbe di alleviare realmente il carico dei Paesi di “primo ingresso” è quello della ricollocazione, ovvero il trasferimento dei richiedenti asilo verso altri Stati europei al fine dell’esame della domanda di protezione (cfr. art. 2 lett. u).
È tuttavia facile immaginare che la maggior parte degli Stati opti per misure meno gravose, come la concessione di contributi finanziari o di misure di sostegno agli Stati di frontiera. Queste forme di sostegno potrebbero non essere risolutive in termini di alleggerimento dell’onere di gestione delle persone in arrivo, ma anzi potrebbero avere l’effetto di affollare ulteriormente i centri delle frontiere esterne, le cui condizioni non assicurano, già oggi, le garanzie minime di rispetto dei diritti umani, come dimostra una recente condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo (C. Edu, I Sez, J.A. e altri contro Italia, 30/06/2023, cfr. Galicz, 2020 ).

Le procedure di frontiera
La proposta di regolamento sulle procedure comuni di asilo prevede una delle novità più problematiche del pacchetto di riforma.
Esso infatti rende, in alcuni casi, obbligatorie le procedure di frontiera, sino ad oggi facoltative, prevedendo il trattenimento in attesa della decisione sulla domanda di protezione, con lo scopo di accertare il diritto di ingresso nel territorio dello Stato.
Si tratta di procedure accelerate (termini dimezzati) per il riconoscimento della protezione internazionale, contraddistinte da presunzioni di non fondatezza della domanda e che si applicheranno alle richieste presentate in frontiera o nelle zone di transito. A seguito della riforma, gli Stati membri saranno obbligati ad attivare tale procedura nel caso in cui il richiedente abbia fornito false informazioni, rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale, o appartenga a uno Stato terzo per il quale il tasso di accoglimento delle richieste di asilo sia inferiore al 20% al livello europeo (art. 41b(1)).
Tale riforma non farà altro che potenziare quanto già previsto in Italia per mano del Decreto Sicurezza I (c.d. D.l. n. 118 del 2018, art. 9) e dal Decreto Cutro (C.d. D.l. n. 20 del 2023, art. 7 bis).
Quest’ultimo ha previsto una specifica procedura accelerata nei casi di domanda di frontiera presentata da un cittadino/a di un Paese c.d. sicuro, durante la quale è previsto il trattenimento dello straniero che non abbia consegnato il passaporto oppure che non presti idonea garanzia finanziaria (cfr. art. 6 bis D.lgs. n. 142 del 2015, Decreto interministeriale del 14 settembre 2023. A prescindere dalle decisioni di alcuni giudici nazionali, criticabili per ragioni che non possono essere approfondite in questa sede (D’Amico, 2023), si ritiene che tali procedure, accompagnate da forme di trattenimento “in ingresso” nel territorio dello Stato, siano molto problematiche alla luce dei principi costituzionali, per diverse ragioni.
Anzitutto, è difficile comprendere come queste ultime possano dirsi coerenti con l’art. 10, comma 3 della Costituzione, il quale garantisce il diritto di ingresso “nel territorio della Repubblica” (Benvenuti, 2007; ex multis Cass., sez. I, sent. n. 25028/2005. Cass., Sez. Unite, 26 maggio 1997, n. 4674) a coloro che si trovano nell’impedimento delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione Italiana; la stessa norma, peraltro, impone un esame individuale delle situazioni di impedimento dell’esercizio delle libertà costituzionali, non rilevando in alcun modo la cittadinanza, né tanto meno la probabilità di accoglimento della richiesta, presupposti invece previsti dalle nuove norme europee.
Inoltre, è discutibile una previsione così estesa del trattenimento “in ingresso” che, seppur consentito dalle fonti sovranazionali (art. 5 CEDU lett. f),  costituisce pur sempre una misura limitativa della libertà personale di cui all’art. 13 della Costituzione e che comporta «quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui» (C. Cost. sent.n. 105 del 2001). Per tale ragione il trattenimento dello straniero alla frontiera dovrebbe essere disposto quale extrema ratio e non certo quale modus operandi generalizzato di accertamento del diritto di ingresso nel territorio dello Stato.

L’esternalizzazione delle frontiere: Libia, Tunisia, Albania..
Per comprendere a fondo il significato della riforma, essa deve essere letta alla luce della dimensione esterna dell’Unione (Gatta, Maiani, in corso di pubblicazione 2023). Infatti, oltre alle misure appena descritte volte a proteggere i confini “fisici” europei, l’azione dell’Unione e di alcuni Stati membri si è estesa al di là del Mediterraneo, concludendo accordi con i Paesi di transito dei migranti per fermare le partenze e contrastare l’immigrazione irregolare.
Per quanto riguarda l’Italia si deve ricordare che è stato tacitamente rinnovato il Memorandum Italia-Libia (2017, 2020 e 2023), i cui pregiudizievoli effetti sui diritti umani dei migranti sono ormai noti e denunciati dalle organizzazioni internazionali e dai giudici. Il nostro Paese è inoltre stato il primo sostenitore del Memorandum of Understanding on a strategic and global partnership between the European Union and Tunisia, siglato nel luglio 2023.  Dal testo dell’accordo - fondato su cinque pilastri non specificamente dedicati alla migrazione (agricoltura, economia circolare, transizione digitale, trasporto aereo, investimenti) - non si evincono con chiarezza gli effetti che esso avrà sulle politiche del non arrivo. Secondo alcune associazioni, l’accordo rischia di replicare le terribili conseguenze del Memorandum Italia-Libia. Su questa scia, il 7 novembre 2023, l’Italia ha concluso un accordo con l’Albania la quale, come si apprende da notizie di stampa, accoglierà in due centri le persone salvate in mare dalle autorità italiane.

Un’occasione persa?
In definitiva gli accordi europei sin qui descritti, confermano la tendenza dell’Unione a rafforzare le frontiere esterne e le politiche del non arrivo, senza però risolvere alcuni nodi cruciali che minano l’effettività del sistema comune europeo di asilo.
Da un lato, la riforma, non superando il criterio del primo ingresso previsto dal Regolamento Dublino III, non sembra risolvere alla radice lo squilibrio di responsabilità fra Stati nella gestione delle domande di asilo.
Dall’altro, la riforma non fa alcun cenno alla previsione di vie legali di accesso alla protezione internazionale che consentano ai richiedenti protezione di raggiungere l’Europa in modo sicuro e regolare (es. i visti umanitari, reinsediamenti, corridoi umanitari cfr. Siccardi, 2022). L’assenza di un quadro comune in materia di vie legali di accesso alla protezione, costringe persone potenzialmente beneficiarie del diritto di asilo a viaggiare verso l’Europa in modo irregolare, a mettersi nelle mani di trafficanti di esseri umani e a rischiare la vita nelle acque nel Mediterraneo (Siccardi, 2021), dove dal 2014 ad oggi sono morte 28.000 persone (cfr. dati OIM, 2023).
La riforma non avrà purtroppo l’effetto di porre fine a una delle più gravi tragedie umanitarie del nostro tempo.