Fabrizio Iannetti
Si può già procedere con l’autonomia differenziata nelle materie “no-LEP”? Brevi note sulle conseguenze della sentenza n. 192/2024 alla luce dei recenti orientamenti del Governo
1. Il proposito del Governo di dare attuazione all’autonomia differenziata di cui all’art. 116, comma 3 Cost., sembra destinato ad accompagnare la XIX legislatura in un articolato percorso a tappe. A pochi mesi dalla sentenza n. 192 del 2024 con cui la Corte costituzionale ha prodotto un «massiccio effetto demolitorio» (così tanto la Cassazione, ord. 12 dic. 2024; quanto la Corte cost., sent. 10/2025) della legge di attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario n. 86 del 2024, il tema torna ad animare il dibattito politico costituzionale. Con un’informativa al Consiglio dei Ministri, è lo stesso Ministro per gli affari regionali e le autonomie a manifestare l’intenzione di presentare una bozza di disegno di legge per definire i principi e i criteri direttivi e distribuire le funzioni alle Regioni nelle materie di cui all’art. 116 comma 3 Cost. (il cui testo sta è già circolato a mezzo stampa).
Propedeutica al riconoscimento di una maggiore autonomia delle Regioni che ne fanno richiesta è la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni: essa si colloca come un passaggio imprescindibile per garantire l’erogazione delle prestazioni in modo equo e uniforme su tutto il territorio nazionale identificando la soglia minima della prestazione che deve essere offerta necessariamente (CLEP 2023, p. 10).
Le numerose interpretazioni volte a imprimere un’impostazione federalista alla forma di Stato unitario regionale rendono però il compito complesso e ambizioso per il legislatore.
Numerosi sono gli aspetti da tenere in considerazione, a partire dalla imprescindibile interconnessione che sussiste tra l’organizzazione verticale del potere tra i diversi livelli territoriali e la tutela dei diritti. Un aspetto che la stessa riforma del 2001 non sembra aver tenuto in debita considerazione disegnando un sistema disorganico rispetto alle finalità dell’ordinamento espresse dai principi e dai diritti delle persone (cfr. Ferrara, 2004; Ferrara, 2010, che definì la riforma un «monumento di insipienza giuridica e politica»).
Sul punto appaiono particolarmente pregnanti le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale al legislatore per trovare un equilibrio tra il regionalismo e il ruolo dello Stato centrale (Corte cost., sent. 121/2010, § 18.2) che non frammenti la garanzia dei diritti sul territorio nazionale.
Tra le principali questioni affrontate dalla Corte costituzionale, merita in questa sede un approfondimento specifico quella della differenziazione delle materie di cui all’art. 116, comma 3, della Costituzione. La legge n. 86 del 2024 aveva suddiviso le materie in due gruppi: uno riguardante le materie o ambiti di materie individuate dall’art. 116 co. 3 Cost. in cui era necessario individuare i LEP prima di procedere a forme di autonomia particolare – c.d. materie “LEP” (art. 3, comma 3); l’altro inerente alle materie in cui tale preventiva individuazione non risultava necessaria – c.d. materie “no-LEP”. In altre parole, la legge n. 86 del 2024 subordinava la devoluzione delle materie alle Regioni alla determinazione dei LEP e dei costi standard solo per le materie c.d. “LEP” (art. 1, comma 2, e art. 4, comma 1), escludendo da questa procedura le c.d. materie “no-LEP”.
Questa divisione tra materie “LEP” e “no-LEP” si radica nel lavoro di analisi svolto dal Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP (di seguito, CLEP). L’attività del CLEP era rivolta a individuare i LEP relativamente alle materie indicate all’art. 116 Cost. Allo stesso tempo però il CLEP rinveniva delle materie: a. non configurabili come prestazioni in favore dei cittadini, poiché relative a funzioni regolatorie e di controllo; b. non associabili alla tutela dei fondamentali diritti civili e sociali; c. non attinenti a spazi di autonomia legislativa e funzioni amministrative che possano esigere la determinazione di livelli essenziali (CLEP 2023, p. 7). Così, proprio queste materie venivano classificate nella categoria delle c.d. materie “no-LEP”.
L’attività svolta dal CLEP trovava la sua legittimazione nell’art. 1 comma 793 lett. c) della legge n. 197 del 2022 (c.d. legge di bilancio 2023), poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 192 della Corte costituzionale per assorbenti questioni relative alle fonti del diritto (violazione dell’art. 76 Cost. per una delega sostanzialmente in bianco). Allo stesso tempo, però, la Corte ha ritenuto ancora fruibile come «ausilio … con funzioni istruttorie» (§ 9.2) la relazione del CLEP per l’individuazione dei LEP.
Un invito raccolto dal Ministro per la presentazione del nuovo d.d.l. che, come emerge dal comunicato richiamato in principio, si sta avvalendo ancora una volta del lavoro svolto dal CLEP.
Pertanto, in questa sede, si cercherà innanzitutto di comprendere, alla luce della recente giurisprudenza della Corte costituzionale, se e in che misura sia utilizzabile il lavoro del CLEP per l’individuazione delle funzioni nelle materie “no-LEP”. Ciò fatto, si tenterà una definizione dei confini entro i quali la Corte sembra aver ricondotto la possibile via per la devoluzione di funzioni, anche solo nelle materie “no-LEP” (in tal senso, ad esempio, la Regione Piemonte): possono essere attribuite direttamente? È già astrattamente possibile procedere alle devoluzioni senza aver prima determinato quali funzioni riguardano i diritti civili e sociali?
2. Innanzitutto, la questione va inquadrata all’interno della ricostruzione operata dalla Corte con la sentenza n. 192 e, più in generale, con il sistema delle garanzie costituzionali: usando le parole della Consulta l’autonomia particolare «non può essere considerata come una monade isolata, ma deve essere collocata nel quadro complessivo della forma di Stato italiana, con cui va armonizzata».
Sul punto, l’intervento della Corte è risultato non rivolto a ridurre gli spazi di autonomia, bensì a valorizzare l’intervento dell’Ente territoriale più vicino al cittadino ogni qualvolta questo riesca ad assicurare una più incisiva garanzia dei diritti. Nella prospettiva della Corte, infatti, la ratio dell’art. 116 terzo comma è quella della ricerca, attraverso l’autonomia, della ripartizione di funzioni che consenta di realizzare nel modo migliore i principi e le finalità costituzionali (§ 4.1). Il 116 passa così — in una operazione forse anche discutibile ma assolutamente chiara — da strumento pattizio di allocazione di competenze (come inteso dalla legge Calderoli) a strumento attuativo del principio di sussidiarietà, così da favore un sistema più adeguato in termini di efficacia, efficienza ed equità (§ 4.1).
La sentenza n. 192 del 2024 si è poi occupata in modo specifico delle questioni relative all’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie di cui all’art. 116 co. 3 Cost., sia per quanto riguarda la loro disciplina sostanziale (§§ 14-16 del Considerato in diritto), sia per il loro inserimento nel sistema delle fonti (§ 9 del Considerato in diritto).
Tali disposizioni sono state oggetto di numerose e diverse censure da parte delle regioni ricorrenti che, seppur formalmente superate dalla Corte attraverso una decisione interpretativa di rigetto, sono state sostanzialmente accolte nel merito. Coerentemente con il principio di unitarietà e uniformità, la Corte ha così ritenuto che le devoluzioni non possano riguardare intere materie, ma debbano limitarsi a singole funzioni (§§ 4.1, 8.4). Secondo la Consulta, infatti, poiché «il principio di sussidiarietà opera attraverso un giudizio di adeguatezza, esso non può che riferirsi a specifiche e ben determinate funzioni e non può riguardare intere materie». La funzione, infatti, si configura come «un insieme circoscritto di compiti omogenei affidati dalla norma giuridica ad un potere pubblico e definiti in relazione all’oggetto e/o alla finalità», mentre a ciascuna materia «afferisce, invece, una gran quantità di funzioni eterogenee, per alcune delle quali l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare all’allocazione verso il livello più alto, mentre per altre sarà giustificabile lo spostamento ad un livello più vicino ai cittadini» (§ 4.1).
Questa lettura della distinzione tra materie e funzioni attraverso la sussidiarietà con effetti “centripeti” (o quantomeno “non-centrifughi”) – non nuova alla giurisprudenza della Corte, cfr. ad esempio la sent. 10 del 2010 – ha inevitabili ricadute proprio sull’impostazione che distingue tra materie “LEP” e materie “no-LEP”, che deve essere riletta alla luce della tutela unitaria dei diritti.
Ne deriva, infatti, la necessità costituzionale di determinare preliminarmente i LEP qualora si trasferisca una funzione attinente ad un diritto civile o sociale, sostanzialmente “costituzionalizzando” la pregiudizialità della determinazione dei LEP contenuta nella legge “Calderoli” (§ 14). I LEP devono essere determinati, come ha specificato la Corte costituzionale, non «nelle materie o negli ambiti di materie seguenti», bensì «per le specifiche funzioni concernenti le materie» (§§ 4.1, 8.4; punto n. 4 della dichiarazione di illegittimità costituzionale), a prescindere dalla qualificazione della materia come “LEP” o come “no-LEP”.
La questione ha notevoli ripercussioni con riferimento alle materie no-LEP. Secondo l’interpretazione costituzionalmente conforme fornita dalla Corte «nel momento in cui il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Se, invece, lo Stato intende accogliere una richiesta regionale relativa a una funzione rientrante in una materia “no-LEP” e incidente su un diritto civile o sociale, occorrerà la previa determinazione del relativo LEP (e costo standard)» (§ 15.2).
Il quadro delineato dalla Corte appare quindi il seguente:
a. Per le materie “LEP”: se le funzioni riguardano diritti civili o sociali si devono predeterminare i LEP (come obbligo costituzionale), in assenza di tale determinazione non è possibile devolvere le funzioni concernenti tali materie anche se non riguardano diritti (ex lege);
b. Invece, per le materie “no-LEP”: se le funzioni riguardano diritti civili o sociali si devono predeterminare i LEP (come obbligo costituzionale), in assenza di tale determinazione è però possibile devolvere le funzioni concernenti tali materie che non riguardano diritti (ex lege).
Tale impostazione è stata poi ribadita – con peculiare ampiezza – nella sentenza n. 10 del 2025, relativa all’ammissibilità del referendum abrogativo della legge Calderoli. Nel § 10.2 del Considerato in diritto, nel quale la Corte sintetizza il proprio precedente intervento, rileva come vi sia stato: «a) il trasversale ridimensionamento dell’oggetto di qualsiasi possibile trasferimento (solo specifiche funzioni e non già materie); b) la paralisi – fino ad un futuro intervento del legislatore – dell’individuazione dei LEP di cui alla suddetta legge n. 86 del 2024; c) la conseguente impossibilità di trasferire specifiche funzioni relative a “materie LEP”, nonché – per la stessa ragione – relative a materie “no-LEP”, là dove esse incidono su diritti civili e sociali; d) l’individuazione di un catalogo di materie nelle quali il trasferimento di funzioni è difficile da giustificare, tra cui due materie “no-LEP” («commercio con l’estero» e «professioni»)».
Si torni ora alla domanda iniziale: nella misura in cui il Governo voglia precedere con l’autonomia nelle materie “no-LEP”, in che misura il lavoro del CLEP può rappresentare uno strumento utile per la definizione delle funzioni “no-LEP” eventualmente riferibili, o meno, ai diritti civili e sociali?
La risposta sembra essere “assai poco”. Difatti, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, la devoluzione alle Regioni delle funzioni inerenti alle materie “no-LEP” richiede un’attenta analisi delle singole funzioni e delle eventuali implicazioni sui diritti. Tuttavia, proprio su questo aspetto la Relazione del CLEP sembra non riuscire a fornire elementi utili per distinguere tra funzioni “no-LEP” riguardanti i diritti e funzioni “no-LEP in potenza direttamente devolvibili, a seguito della esplicita esclusione in blocco delle materie “no-LEP” dai lavori del Comitato, (CLEP 2023, p. 7).
Più utili in questo senso possono invece apparire i precedenti atti preparatori delle intese tra alcune Regioni – come ad esempio la Liguria – e il Governo: tali richieste regionali erano infatti state declinate – nonostante la lettera dell’allora vigente legge “Calderoli” – sulla base di una devoluzione di funzioni, piuttosto che di materie. Tale impostazione – insieme alla prima bozza di ricognizione già operata dall’Ufficio legislativo del Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie (Ricognizione della normativa e delle funzioni statali nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, Cost.) – sicuramente può favorire una più rapida individuazione delle diverse funzioni, tanto all’interno delle materie “LEP” quanto di quelle “no-LEP”, primo necessario passo per l’applicazione dell’autonomia particolare.
3. La strada per il conferimento di una maggiore autonomia alle Regioni appare così in salita anche nelle materie “no-LEP”.
Occorre rilevare come, in via di principio, non pare potersi sostenere la necessaria predeterminazione delle funzioni riguardanti i diritti per l’individuazione, in via residuale, delle funzioni non riguardanti i diritti: qualora si dimostri che una funzione, rientrante nelle materie “no-LEP”, non incida sui diritti civili o sociali, essa potrebbe essere oggetto, fin da subito, di una devoluzione alle regioni (si avrebbe altrimenti una sorta di probatio diabolica).
Ciò non significa, tuttavia, che la strada risulti priva di rilevanti ostacoli.
Come rilevato dalla Corte, infatti, «rimane unicamente la possibilità di trasferire specifiche funzioni concernenti alcune materie “no-LEP”, a condizione che esse non incidano su un diritto civile o sociale e che l’iniziativa regionale sia “giustificata alla luce del principio di sussidiarietà”» (§ 10.2).
Tuttavia, ogni deviazione dall’assetto del 117 Cost. — «ritenuto in via generale ottimale nella ripartizione delle funzioni» (§ 4.3) — deve essere quindi specificamente argomentato con riferimento ai principi esposti, secondo gli stringenti requisiti fissati dalla Corte.
Stante quanto esposto, quindi, per procedere alla devoluzione alle regioni nelle materie “no-LEP”, appare quantomeno costituzionalmente necessario procedere secondo i seguenti passi:
- Individuazione della funzione rientrante nella materia “no-LEP”, possibile oggetto di devoluzione.
- Giustificazione del trasferimento sulla base del principio di sussidiarietà, in particolare con riferimento all’efficacia, all’efficienza e all’equità. Per fare ciò, dal mero punto di vista finanziario, occorrerà almeno: definire, il costo attuale della funzione a livello nazionale, prevederne il costo a livello regionale. Quest’ultimo dovrà garantire un efficientamento della spesa, al netto della perdita dell’economia di scala e della perdurante allocazione a livello nazionale di costi relativi al coordinamento e di esercizio della funzione nelle altre regioni;
- Dimostrazione della non afferenza della funzione con i diritti civili e politici. Operazione che, invero, appare assai ardua, stante l’estrema difficoltà di individuare funzioni che non possano incidere, nemmeno indirettamente, con i diritti costituzionalmente tutelati (sul punto, ex pluribus, F. Pallante, 2023).
Tali requisiti appaiono quindi come parametri di legittimità costituzionale della legge approvativa dell’eventuale intesa, invocabili sia dalle altre regioni in sede di ricorso diretto – con argomentazioni relative alla ridondanza analoghe a quelle del ricorso di cui alla sentenza n. 192/2024 –, sia in sede di giudizio incidentale.
Una via certo non immediata, ma che consentirà di iscrivere l’attuazione dell’autonomia differenziata in un contesto di maggiore solidarietà regionale, come richiesto dall’art. 119, commi 5 e 6, conservativo dell’assetto organizzativo disegnato dall’art. 117 Cost. e rispettoso del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., (Corte cost., sent. 192/2024, § 4.1), in armonia con il principio di unitarietà della Repubblica di cui all’art. 5 Cost. (Catelani, 2023; Corte cost., sent. 192/2024, §§ 4.2.2, 14.1).
Allo stesso tempo, in questo modo, la differenziazione autonomistica delle Regioni riuscirà a conservare il precipuo ruolo svolto storicamente dallo Stato centrale nell’affermazione dello stato sociale (Gambino, 2009) e ad assicurare il binomio diritti-eguaglianza, evitando la disparità di trattamento dei cittadini su base regionale, così come avviene d’altra parte anche nei modelli statali federali.
6 Maggio 2025