Considerazioni brevi a partire da «Il Governo multilivello dell’economia. Studio sulle trasformazioni dello Stato costituzionale in Europa» di Edoardo C. Raffiotta

Il libro di Edoardo Carlo Raffiotta, Il Governo multilivello dell’economia (Bononia University Press, Bologna 2013), indaga un tema di grande attualità e interesse scientifico secondo direttrici volte, come si legge nel sottotitolo, a studiare le trasformazioni dello Stato costituzionale in Europa. E, in questa prospettiva, il lavoro offre, con una particolare attenzione ai casi italiano, tedesco e spagnolo, una accurata analisi comparata del nuovo ordine economico che va delineandosi sotto le spinte della recente crisi economica e delle sue ripercussioni istituzionali.


In questo quadro, la prospettiva euro-unitaria taglia tutto il lavoro e sembra la chiave di lettura privilegiata dall’Autore al fine di raffigurare le odierne tensioni che impattano sull’ordine costituzionale dell’economia ridisegnando i confini delle varie “Costituzioni economiche” nazionali e alterandone la loro natura originaria. E il problema da cui ha origine la ricerca pare dunque di indubbia centralità: partendo dalla constatazione della crisi dello Stato-nazionale, infatti, l’Autore arriva a chiedersi in che misura «spetti ancora all’Ente statale governare l’economia» (18) in un contesto in cui la «frantumazione del territorio», i «mercati» e la «globalizzazione» impongono ormai, anche nel dibattito costituzionalistico, la necessità di ripensare, o almeno di sottoporre a nuova analisi critica, concetti classici della tradizione del costituzionalismo.

In merito al complesso rapporto tra economia e politica, si può sostenere che i problemi e le sfide attuali siano solo in parte nuovi. Certo molti di essi si pongono, inevitabilmente, in forma inedita, ma probabilmente è possibile leggere, almeno in parte, l’attuale fase di crisi come un momento di profonda trasformazione che, come già avvenuto nel passaggio tra Ottocento e Novecento, rievoca il dilemma del rapporto tra Stato e società, sia pur nel nuovo contesto globale. Non è un caso se Alain Supiot, professore al Collège de France, in un recente lavoro pubblicato sull’International Journal of Constitutional Law del 2013, dal titolo The public–private relation in the context of today’s refeudalization, abbia denunciato una subordinazione del pubblico al privato secondo direttrici che in parte rievocano la classica lettura dello Stato liberale ottocentesco. La sua prospettiva ha come antagoniste le tesi neo-liberali – definizione entro la quale sembra includere anche le idee del sociologo tedesco Gunther Teubner – di molti autori che cercano di dare forma a una presunta nuova governance mondiale ponendosi oltre lo Stato e il pubblico, favorendo i networks e le auto-organizzazioni del privato. Da prospettive diverse, con il medesimo oggetto si confrontano poi anche i lavori di Negri e Hardt (in particolare Impero e Comune), gli studi che vengono riportati al neo-costituzionalismo, ma anche quelli che vedono in prospettiva la formazione di un “governo mondiale” e del “diritto internazionale” come una nuova forma di “diritto costituzionale”. La declinazione dei rapporti tra economico e politico e tra privato e pubblico tornano dunque, come riporta l’Autore, al centro del dibattito costituzionale e investono la stessa nozione di forma di Stato imponendone un ripensamento. E ciò pare particolarmente evidente, per esempio, in relazione all’idea di territorio posta sotto la costante pressione delle molteplici organizzazioni internazionali che sono chiamate a regolare l’economia mondiale come il FMI o l’OMC (13 ss.).

E tuttavia, lungi dal considerare esaurita la sua spinta propulsiva, nel suo lavoro l’Autore dimostra come lo Stato possa ancora svolgere un ruolo centrale nel governo dell’economia, seppur ripensato nell’ambito di una struttura multilivello in cui, in particolare nel contesto europeo, hanno ormai una certa rilevanza anche gli Enti territoriali e, soprattutto, l’Unione europea. In questa prospettiva, nelle conclusioni, l’Autore riflette sul ruolo dello Stato in Europa e sembra delineare uno scenario in cui sarà necessario dotare l’Unione europea di strumenti che ne colmino il deficit democratico favorendo una sempre maggiore integrazione politica «il [cui] successivo passaggio non potrà limitarsi ad una definizione di limiti all’indebitamento o al coordinamento di politiche economiche», ma dovrà estendersi a «obiettivi assai differenti, spesso opposti» (p. 282).

Sullo sfondo, restano dubbi, anche alla luce delle ultime sentenze del Bundesverfassungsgericht e in particolare della recentissima decisione sulle Outright Monetary Transactions, circa i limiti posti al programma di integrazione politica europea rispetto alla difesa delle diverse “identità costituzionali” nazionali, la dottrina dei “limiti” al processo di integrazione, il controllo sugli atti ultra vires e la declinazione del complesso principio di Integrationsverantwortung. Pare invece certo che, nel suo complesso, la strada di un sempre maggiore condizionamento del governo dell’economia da parte di attori diversi, in un contesto in cui lo Stato ha perso il monopolio della decisione politica in materia economica, appaia una chiave di lettura convincente che consente di ridefinire i termini del dibattito, rifiutando al contempo le letture più semplicistiche che si limitano ad annunciare la fine dello Stato-Nazione. E ciò perché, come viene sostenuto, «il “globale” non impone necessariamente “un nuovo sovrano”, piuttosto un differente modo di organizzazione del potere politico» (278). Questa, peraltro, sembra anche la tesi sostenuta in un recente lavoro monografico da Gianluigi Palombella nel suo È possibile una legalità globale? Il Rule of law e la governance del mondo (Il Mulino, Bologna 2012) in cui l’Autore, critico verso la prospettiva di un possibile governo mondiale, pare rievocare gli studi di McIlwain sul costituzionalismo antico e moderno. In questo lavoro, si prova ad applicare la Rule of Law, e la distinzione tra iurisdictio e gubernaculum come freno al potere arbitrario, al livello sovranazionle cercando di delineare un nuovo modo di concepire il “pubblico”, secondo una prospettiva, peraltro, che sembra in parte armonica anche con il lavoro di Pier Giuseppe Monateri (il riferimento è a Geopolitica del diritto, Laterza, Roma-Bari 2013) in merito alla concezione del “Politico” nei sistemi di civil law e di common law.

Il libro di Edoardo Raffiotta si inserisce in questo ampio dibattito, focalizzando la sua attenzione in particolare sul governo dell’“Economico”. Lo studio è suddiviso in sei capitoli: nel primo, a mo’ di introduzione, si pongono le premesse teoriche del lavoro e si inquadra nella prospettiva indicata lo studio del governo dell’economia dando ampio spazio al rapporto tra “globalizzazione” e “glocalizzazione” come chiave di lettura dei rapporti del governo dell’economia (1 ss.). Nel secondo, l’analisi si incentra in particolare sull’ordinamento europeo secondo una prospettiva diacronica che porta fino ai più recenti sviluppi e ai diversi meccanismi introdotti a livello euro-unitario sia dagli Stati nell’ambito di accordi siglati al di fuori dei Trattati, sia utilizzando i meccanismi vigenti per mezzo delle procedure già in essi predisposte (31 ss.). Il terzo capitolo, poi, approfondisce il caso italiano partendo dal dibattito originario sul “modello economico” da realizzare in Costituzione e dando spazio non solo alla pur centrale riforma dell’articolo 81 della Costituzione, ma anche, e molto opportunamente, alle competenza in materia di governo dell’economia tra Stato e Regioni nell’ambito del riformato Titolo V della Costituzione ponendo in rilievo l’impatto del diritto europeo nell’idea di “Costituzione economica” (81 ss.). Nel quarto capitolo viene approfondito il caso tedesco (173 ss.) e nel quinto quello spagnolo (219 ss.), seguendo per entrambi l’itinerario diacronico scelto per l’Italia e valorizzando i rapporti tra Stato centrale e livelli di governo regionali. Nel sesto, infine, l’Autore offre le sue conclusioni (267 ss.).

Al di là del dibattito sull’uso della nozione di “Costituzione economica”, sul significato di tale espressione e sulla sua declinazione in senso descrittivo o prescrittivo, le continue tensioni che, sin dalle critiche di Carl Schmitt alla Costituzione di Weimar, hanno avuto ad oggetto questo concetto dimostrano come esso sia stato costantemente sottoposto alle pressioni del dato fattuale in cui politica ed economia sembrano quasi rappresentare due facce della stessa medaglia: a periodi di maggiore deregolamentazione, infatti, si susseguono periodi di più stringente dirigismo o di interventismo pubblico, secondo gradi diversi per quantità e qualità. Ed oggi si va ridisegnando ancora una volta questo equilibrio, lungo direttrici che comunque vedranno gli Stati, e gli altri soggetti titolari del potere in senso lato “politico”, in una posizione centrale, per quanto probabilmente immersa in un contesto complessivo in gran parte mutato. In particolare, due recenti lavori, Capitalizing on Crisis. The Political Origins of the Rise of Finance (Harvard University Press, Cambridge (MA); London  2011), di Greta Krippner, e Il Capitalismo e lo Stato: crisi e trasformazione delle strutture economiche (Castelvecchi, Roma 2014) di Paolo Leon dimostrano come all’origine delle grandi trasformazioni delle decisioni in materia economica vi siano comunque scelte politiche e come, pertanto, anche la de-regolazione o, più in generale, l’ordine del mercato rappresentino il frutto di scelte che difficilmente possono essere considerate frutto delle forze del caso o di un ordine spontaneo. In questa prospettiva, cercare di delineare gli spazi di una rinnovata legittimazione politica all’intervento pubblico in economia che tenga conto della complessità e della molteplicità dei livelli normativi sul piano europeo sembra uno sforzo utile per consentire alla politica di riacquisire quella centralità tale da scongiurare il rischio che, come ha scritto Supiot nel saggio citato, l’Unione finisca per riprodurre una dimensione neo-feudale (secondo cui si starebbe assistendo a un passaggio «from sovereign to suzerain power» – p. 140) nei suoi rapporti di forza che, invece di favorire lo sviluppo della legittimazione democratica, arrivi ad esarcerbare le “asimmetrie” (così di recente C. Pinelli, La giurisprudenza costituzionale tedesca e le nuove asimmetrie fra i poteri dei parlamenti nazionali dell’eurozona, in www.costituzionalismo.it 2014) tra i vari Stati dell’Unione. Il libro di Edoardo Raffiotta, in questo senso, è un contributo significativo e propone una prospettiva che vede virtualità promettenti all’orizzonte nel sistema multilivello europeo di governo dell’economia. Per far questo, tuttavia, come emerge dallo studio, molte sono le sfide che il programma di integrazione deve vincere muovendosi con cautela in un contesto ad alta vischiosità e in cui le resistenze sembrano, nella crisi economica attuale, avere potenzialmente in sé anche la forza di pregiudicare molti degli sforzi già compiuti.