Cumuli sanzionatori e ne bis in idem europeo: movimenti esegetici per uno statuto derogatorio purché proporzionato

Alla base di ogni movimento interpretativo sul divieto di bis in idem, nelle sue declinazioni e peculiarità, sta sempre il protagonismo nazionalistico nell’esercizio della potestà punitiva, ormai obsoleto e privo di ragion d’essere dinnanzi all’obiettivo primario e condiviso del principio, che è quello di tutelare l’individuo da un doppio processo e da una doppia punizione.
Forse è persino superfluo ricordare come con la Convenzione di Schengen si sia consolidato il riconoscimento dell’effetto del ne bis in idem ad un livello superiore a quello nazionale, sul presupposto di una comune e reciproca fiducia tra gli Stati europei: per effetto del suo art. 54 è stata attribuita al giudicato nazionale un’efficacia preclusiva in ordine all’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto in qualunque altro Stato membro ed è stata, pertanto, realizzata la sostanziale equiparazione tra le sentenze definitive pronunciate dagli Stati contraenti. Con il riconoscimento del divieto di un doppio processo in idem nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si è prodotto, poi, un consolidamento ulteriore del divieto nella sua dimensione europea, configurandosi ormai come un vero e proprio diritto a tutela individuale contro una doppia punizione per lo stesso fatto. Il ne bis in idem assurge allora a garanzia generale nello spazio giuridico europeo, ed il suo inserimento nella Carta di Nizza, tra i diritti fondamentali dell’Unione, gli assicura il valore di principio generale nell’ambito del diritto europeo.
Il campo di applicazione europeo del divieto è più ampio rispetto alla protezione accordata dall’art. 4, Protocollo 7 CEDU, stante anche la natura delle norme convenzionali e la portata interna assicurata al principio da ciascuno Stato firmatario. Più in generale la Convenzione dei diritti umani presuppone, per la violazione, che sia la giurisdizione dello Stato ad avviare due procedimenti (anche natura diversa, nei confronti dello stesso soggetto, per lo stesso fatto). Mentre per il ne bis in idem nel quadro dell’Unione europea il vincolo è posto alle istituzioni europee e agli Stati membri, nella misura in cui questi diano attuazione, anche in diversi territori, al diritto dell’Unione.
In tale contesto di protezione integrato, si staglia un virtuoso dialogo tra Corti europee che, nel corso degli anni, ha portato inizialmente ad allargare il raggio di protezione del divieto, sebbene con movimenti ondivaghi, superando la vecchia concezione del principio, che da mero strumento atto a garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie divenute irrevocabili, ha assunto quella fisionomia di diritto al quale appellarsi dinnanzi ad una molteplicità di situazioni che, sulla scorta delle legislazioni interne, possono portare ad un cumulo sanzionatorio, di varia natura. Ed è proprio questo il tratto evolutivo che, negli ultimi anni, ha posto in discussione la legittimità – europea e convenzionale – dei doppi binari sanzionatori a vario modo strutturati attorno ad un doppio binario di tutela.
Uno dei maggiori contributi forniti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alla costruzione di uno statuto per accertare la violazione del ne bis in idem è rintracciabile, lo si ricorderà, nell’estensione della garanzia penalistica anche alle sanzioni amministrative di natura “sostanzialmente penale”: ciò che conta è, insomma, che il secondo procedimento abbia ad oggetto fatti che sono nella sostanza i medesimi che hanno costituito l’oggetto di un pregresso procedimento, già conclusosi con un provvedimento definitivo con effetti penali (CEDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia), malgrado quel ripensamento successivo (CEDU, Gr. Ch., 15 novembre 2016, A & B c. Norvegia) con cui la Grande Chambre ha riaperto le porte al doppio binario sanzionatorio, introducendo il vago criterio – di matrice compromissoria – dell’esistenza di una «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta» tra i due livelli di repressione.
Il revirement di Strasburgo ha incontrato solo parziali critiche da parte della Corte di Giustizia UE, proprio in virtù dell’indeterminatezza della regola di connessione (cfr. Corte GUE, 20 marzo 2018, Menci, C-524/15; Corte GUE, 20 marzo 2018, Garlsson, C-537/16; Corte GUE, 20 marzo 2018, Di Puma e Zecca, C-596/16 e C-597/16) sebbene nella sostanza, poi, anche da Lussemburgo siano pervenuti ripensamenti sull’assolutezza del divieto di procedere in idem nelle ipotesi di binari sanzionatori di diversa natura.
In linea di principio, la Grande Sezione ha affermato che il ne bis in idem europeo non è di per sé ostativo a un doppio binario qualora ciò sia previsto dalla legge ed essa persegua obiettivi di interesse generale che giustificano la duplicazione procedimentale e sanzionatoria. Il contrappeso dovrebbe individuarsi in meccanismi di coordinamento tali da ridurre entro allo stretto necessario lo “svantaggio” di un secondo giudizio e, quindi, di una seconda sanzione e da assicurare che il trattamento sanzionatorio complessivo sia proporzionato alla gravità dell’offesa.
Da ultimo, con un sforzo teorico tutto teso a salvaguardare, ancora una volta, i doppi binari sanzionatori e, pertanto, ad allargare troppo le maglie delle eccezioni al divieto, la Grande Sezione (Corte GUE, 22 marzo 2022, BPOST SA, C-117/20) ha affermato l’idoneità delle norme nazionali che prevedono cumuli sanzionatori a realizzare legittimi obiettivi di interesse generale, spettando al giudice interno valutare se il cumulo di sanzioni di natura penale possa essere giustificato, nella controversia di cui al procedimento principale, dal fatto che i procedimenti avviati da tali autorità riguardino scopi complementari vertenti su aspetti differenti della medesima condotta illecita.
Il riferimento alla medesima condotta illecita dissimula, in realtà, l’intento di graduare il divieto di procedere dinnanzi ad un’ipotesi di double jeopardy, rimettendo al sindacato giudiziale e alla normativa interna la possibilità di derogarvi. Il rischio, allora, che le eccezioni diventino regola, è assai alto.