In difesa della libertà religiosa: la Corte Costituzionale e la legge lombarda sull’edilizia di culto

Per la seconda volta in poco più di tre anni la Corte Costituzionale torna a censurare alcune disposizioni relative all’edilizia religiosa della legge urbanistica della Regione Lombardia, l.r. n. 12/2005, così come novellata dalla l.r. n. 2/2015. Essa aveva introdotto, modificando gli artt. 70-72 della “Legge per il governo del territorio”, alcune norme che rendevano più gravoso la costruzione o la semplice apertura di luoghi di culto per le confessioni religiose prive di Intesa con lo Stato ex art. 8 c. 3 Cost.
Con la sentenza n. 63/2016 la Consulta aveva dichiarato incostituzionali alcune norme, tra cui ricordiamo innanzitutto quella che richiedeva che i destinatari della normativa sull’edilizia di culto che non fossero addivenuti alla stipula di un’Intesa con lo Stato fossero in possesso di una serie di requisiti aggiuntivi concernenti la presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale, un significativo insediamento nell’ambito del Comune, l’essere dotati di statuti che esprimessero il carattere religioso dell’organizzazione e l’avvenuta stipula di una convenzione ai fini urbanistici con il Comune interessato; l’istituzione di una “Consulta regionale delle religioni” con lo scopo di esprimere un parere preventivo e obbligatorio proprio sui requisiti aggiuntivi citati; l’obbligo di dotarsi di un impianto di videosorveglianza che monitorasse gli ingressi degli edifici di culto (per un commento si veda, tra i tanti, F. Oliosi, “La Corte Costituzionale e la legge regionale lombarda: cronaca di una morte annunciata o di un’opportunità mancata?”, in www.statoechiese.it, 24 ottobre 2016; M. Croce, “L’edilizia di culto dopo la sentenza n. 63/2016: esigenze di libertà, ragionevoli limitazioni e riparto di competenze fra Stato e Regioni”, in www.forumcostituzionale.it, 3 maggio 2016).
La seconda sentenza della Corte Costituzionale che censura disposizioni relative all’edilizia di culto contenute nella Legge lombarda per il governo territorio così come modificata dalla l.r. n. 2/2015 è la n. 254/2019 dello scorso 5 dicembre.
I fatti che portano alla pronuncia in commento afferiscono a due diversi procedimenti dinanzi al TAR Lombardia. Nel primo l’Associazione Culturale Madni impugna l’atto del Comune di Castano Primo (MI) che annulla il permesso di costruire al fine di adibire un complesso immobiliare ad attività di culto. Il provvedimento è motivato dalla necessità della preventiva approvazione da parte del Comune del Piano di Attrezzature Religiose (PAR), così come stabilito dall’art. 72 c. 1 e 2 della citata legge per il governo del territorio così come modificati dalla l.r. n. 2/2015. Tuttavia il Comune decideva di non dotarsi del PRA, e quindi all’associazione islamica veniva di fatto vietato di procedere con i lavori necessari all’apertura di un luogo di culto.
Il secondo procedimento ha origine nel 2011, nel corso dell’elaborazione del Piano di Governo del Territorio del Comune di Sesto Calende (VA). Nel corso di tale procedura amministrativa, l’Associazione Culturale Islamica Ticinese, formata da circa trecento persone di religione islamica residenti prevalentemente in quel Comune, chiedeva che fosse prevista un’area per il culto islamico. Il successivo diniego veniva impugnato dall’Associazione dinanzi al TAR che nel 2013 accoglieva le doglianze e successivamente nel gennaio 2015, a causa dell’inerzia del Comune, indicava le modalità per l’esecuzione della precedente pronuncia. Ma l’intervento delle novelle previste dalla l.r. 2/2015 subordinava di fatto il diritto dell’Associazione ad avere spazi per il culto all’approvazione del Piano di Attrezzature Religiose che ai sensi del nuovo art. 72 c. 5 doveva essere approvato obbligatoriamente insieme al PGT oppure singolarmente ma solo entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della l.r. 2/2015. Tale scadenza spirava senza che il Comune di Sesto Calende intervenisse, e quindi l’Associazione islamica rimaneva senza spazi per il culto.
Il giudizio della Corte Costituzionale ha quindi ad oggetto l’art. 72 c. 2 della l.r. 12/2005 così come novellato dalla l.r. 2/2015, che stabilisce l’obbligatorietà del PAR per l’installazione di nuove attrezzature religiose.
Parimenti, ha ad oggetto l’art. 72 c.5 della stessa l.r., anch’esso novellato nel 2015, che prevedeva l’obbligo di approvare il PAR congiuntamente al PGT oppure singolarmente ma solo entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della l.r. 2/2015.
Il ragionamento della Corte parte dall’affermazione che la libertà religiosa garantita dall’art. 19 Cost. è “un diritto inviolabile tutelato al massimo grado dalla Costituzione”. Viene richiamato quindi il principio enucleato da consolidata giurisprudenza della Consulta, secondo cui lo Stato non è indifferente di fronte all’esperienza religiosa dei cittadini, ma ha il dovere di tutelare il pluralismo, “a sostegno della massima espansione della libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità” (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale nn. 203/1989; 440/1995; 329/1997; 508/2000; 63/2016; 67/2017).
A nostro modesto parere, la definizione “laicità dello Stato”, seppur usata dalla Consulta fin dalla sentenza n. 203/1989, potrebbe essere facilmente fraintesa. Tale termine, infatti, non è mai usato dalla Costituzione e potrebbe alludere alla Laïcité francese, che tende a sterilizzare lo spazio pubblico da ogni presenza religiosa rinchiudendola quanto più possibile nella sfera privata. Sarebbe forse meglio definire questo principio “tutela della libertà religiosa”. È una questione di mera nomenclatura, al solo fine dir non creare confusione e infondere nell’opinione pubblica convinzioni estranee – se non contrarie – al nostro ordinamento costituzionale, come il dovere di indifferenza dello Stato dinanzi all’esperienza religiosa.
La Corte dunque afferma che il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà religiosa, garantito specificamente dall’art. 19 Cost. Da ciò consegue il diritto delle comunità religiose di disporre di spazi adeguati per poter concretamente esercitare il culto pubblico, che altrimenti sarebbe impossibile. Le autorità pubbliche a cui spetta di regolare l’uso del territorio hanno quindi un duplice dovere: in positivo esse devono prevedere e mettere a disposizione spazi pubblici per attività religiose; in negativo non devono frapporre ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e che non discrimino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici.
Tale divieto di discriminazione non comporta l’obbligo di garantire a ogni singola confessione presente su un determinato territorio la stessa quota di contributi, spazi o altre risorse limitate disponibili; si dovranno invece valutare tutti i pertinenti interessi pubblici dando adeguato rilievo alla presenza, alla consistenza, all’incidenza sociale della singola confessione religiosa e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione.
Alla luce dei principi citati, appare chiaro che il Piano per le Attrezzature Religiose possa essere in astratto uno strumento legittimo per perseguire le finalità urbanistiche proprie dei Comuni – che devono tendere al corretto insediamento nel loro territorio delle attrezzature religiose – tenendo adeguatamente conto della necessità di favorire l’apertura di luoghi di culto destinati alle diverse comunità religiose.
Tuttavia la previsione del citato art. 72 c.2 subordina l’installazione di qualsiasi attrezzatura religiosa all’esistenza del PAR. Tale disposizione appare assoluta e tale da comprendere indistintamente tutte le nuove attrezzature religiose, indistintamente dal loro impatto urbanistico che può essere potenzialmente irrilevante: persino la destinazione di una piccola sala alla preghiera privata di una comunità religiosa dovrebbe essere prevista dal PAR.
Al contrario, tutte le attività di un’associazione non religiosa potrebbero essere svolte in un immobile liberamente localizzabile sul territorio comunale nel solo rispetto delle generali previsioni urbanistiche. Similmente, le altre opere di urbanizzazione secondaria come le scuole, gli ospedali o le palestre non sono vincolate da una specifica e preventiva pianificazione, pur potendo presentare un impatto urbanistico rilevante.
È chiaro, quindi, che le finalità perseguite dall’obbligo di previsione da parte del PAR di ogni tipo di attrezzatura religiosa sono diverse da quelle meramente urbanistiche, ma mirano a limitare e controllare l’insediamento di nuovi luoghi di culto, in netto contrasto con il dovere costituzionale posto a capo dell’autorità pubblica di favorire il pluralismo religioso.
L’obbligo di approvare il PAR con il PGT, ex art. 72 c.5, renderebbe tale limitazione molto più stringente visto che l’approvazione di questi atti dipende esclusivamente dalla volontà politica, essendo quindi incerta sia riguardo all’an che al quando: un Comune potrebbe non adottarlo mai e quindi impedire l’installazione di nuove attrezzature religiose, come avvenuto a Castano Primo (MI) nei fatti che hanno portato alla pronuncia in commento.
Proprio tale inscindibile legame tra PAR e PGT impedisce la realizzazione di un’attrezzatura religiosa persino con una semplice variante parziale – qualora essa sia necessaria – mentre la stessa l.r. 12/2005 prevede, all’art. 9 c.15, che le realizzazioni di attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale non comportino l’applicazione di variante ma siano autorizzate con deliberazione motivata del consiglio comunale.
Ancora una volta sono trattate con sfavore l’installazione di attrezzature che, per loro natura, dovrebbero essere favorite dalle autorità pubbliche che regolano l’uso del territorio.
Per queste ragioni sia l’art. 72 c. 2 che l’art. 72 c. 5 – nella sola parte in cui prevede che PGT e PAR siano approvati obbligatoriamente in modo congiunto – vengono ritenuti contrari al principio di libertà religiosa stabilito dall’art. 19 Cost., nonché agli art. 2 e 3 Cost. dato che impongono alle confessioni religiose gravami superiori a quelli prescritti alle altre organizzazioni per l’edificazione di strutture destinate alle loro finalità proprie.
Con la sentenza n. 254/2019 la Corte ha ribadito la rilevanza pubblica del fenomeno religioso, riaffermando l’obbligo dello Stato di favorire l’apertura di luoghi di culto destinati alle diverse comunità religiose e precisando che il compito delle autorità locali è esclusivamente quello di perseguire finalità urbanistiche e non selezionare le comunità religiose che possono liberamente esercitare il loro culto.