Diversità culturali e secolarizzazione. A proposito di “Constitutional Secularism in an Age of Religious Revival” (a cura di S. Mancini e M. Rosenfeld, Oxford University Press, 2014)

Il bel volume curato da Susanna Mancini e Michel Rosenfeld (“Constitutional Secularism in an Age of Religious Revival”, Oxford University Press, 2014) offre l’occasione per riflettere sul rapporto tra evoluzione dello stato costituzionale contemporaneo e ruolo della dimensione religiosa nello spazio pubblico. Articolato in cinque sezioni, il volume unisce ad un’approfondita analisi del quadro teorico di riferimento (sezione I), l’esame di singole dimensioni del rapporto tra secolarismo e fattore religioso, quali la condizione femminile (sezione III), le sfide del costituzionalismo contemporaneo (sezione II), la libertà di espressione (sezione V); la sezione IV rovescia l’analisi, approfondendo il problema attraverso l’esame (dall’esterno) delle posizioni delle tre religioni monoteiste su alcuni profili specifici, come la disciplina del matrimonio (nell’esperienza israeliana), l’approccio al secolarismo da una posizione minoritaria (nel caso islamico) e l’uso della ragione in rapporto alla fede nel discorso pubblico (con riferimento alla Chiesa cattolica).

Con solide aperture comparative e multidisciplinari, il libro affronta trasversalmente molte delle tematiche che agitano, nell’attualità, le vicende del rapporto tra sfera civile e sfera religiosa, con particolare riferimento alle mutue implicazioni tra i nuovi orizzonti del pluralismo, il principio di neutralità dello stato e la protezione della libertà di coscienza. Il vasto orizzonte in cui si muove il libro, particolarmente ricco di stimoli, può essere qui ripercorso solo in parte: e tuttavia, possono essere tratteggiati alcuni dei “fili rossi” che percorrono il volume, e che interrogano in profondità la sensibilità del costituzionalista comparatista.

Anzitutto il metodo, che si segnala, come accennato, per le aperture multidisciplinari e per la particolare intelligenza dell’andamento della comparazione. I due tratti dell’opzione metodologica di fondo sono, peraltro, assai armonici e sembrano rinvenire la propria giustificazione in uno dei tratti fondamentali del volume, vale a dire la scelta di analizzare in profondità il legame tra diversità culturali e nuove prospettive del rapporto tra religione e sfera pubblica; ben al di là del tentativo di fissare i caratteri di tale rapporto attraverso una modellistica astratta, il volume affronta infatti la problematica questione del movimento parallelo di “de-secolarizzazione della società” e “ri-politicizzazione del fatto religioso” in una prospettiva particolarmente attenta alle declinazioni che il rapporto tra religione e sfera pubblica assume, nei diversi contesti culturali, almeno con riferimento alle tre religioni monoteiste, mentre è assente l’analisi di esperienze complesse, e pure assai rilevanti, come quella indiana.

Grazie alla sinergia tra comparazione e multidisciplinarietà, pertanto, l’analisi si caratterizza per un’attenzione profonda al rapporto tra gestione giuridico-costituzionale del conflitto tra fattore religioso ed istanza secolarista e premesse socio-culturali del ruolo della religione nella sfera pubblica, con particolare riguardo alle differenze tra i contesti di tradizione cristiana – ed in particolare, l’Europa e gli Stati Uniti – ed islamica, l’esperienza israeliana, con aperture assai affascinanti a realtà complesse, come quella sudafricana.

Problema comune alle diverse esperienze attraversate dall’analisi – con l’eccezione, parziale, del contesto di tradizione islamica – è, peraltro, il rapporto tra secolarizzazione e multiculturalismo. Da prospettive diverse, ad esempio, i contributi di Susanna Mancini e Dieter Grimm si interrogano sulle ragioni più profonde dell’attuale tendenza del fattore religioso ad assumere nuovamente un ruolo rilevante e attivo nella sfera pubblica, riconoscendo un intreccio tra indebolimento dell’omogeneità culturale e rivendicazione delle identità, intendendo quest’ultimo sia come fattore “eversivo” che, viceversa, come fattore di resistenza alle aperture multiculturali. Sullo sfondo, come dimostrano in modo particolare i contributi di Ladeur e Sajò, resta il problema della profonde ambiguità – che solo in parte è possibile sciogliere – del rapporto tra esperienza religiosa e sfera pubblica: la religione si pone infatti, a un tempo, come espressione di libertà e fattore di disciplinamento e tale intima contraddizione determina notevoli difficoltà, al momento di gestire e disciplinare i conflitti identitari tipici delle società secolarizzate. Tali difficoltà, peraltro, vanno molto al di là della classica polarizzazione tra ruolo del processo politico e attivismo delle Corti e non si esauriscono nella critica dei bilanciamenti (si veda a tale proposito, il contributo di Hirschl e Shachar). Esse investono, piuttosto – e lo dimostra molto bene il capitolo di Nadia Urbinati – le premesse culturali del ruolo della religione nella sfera pubblica e le concrete condizioni di sviluppo storico e sociale dell’esperienza di volta in volta considerata, una prospettiva ritenuta particolarmente utile per affrontare i complessi itinerari della traduzione degli argomenti di matrice religiosa nell’ambito del processo politico.

Così, i caratteri comuni alle tre religioni monoteiste – su tutti, la resistenza al relativismo ed il tentativo, ad essa connesso, di tradurre in termini universalistici, attraverso l’uso strategico della ragione, posizioni dogmatiche – finiscono per incidere in profondità sugli assetti dello spazio pubblico, determinando l’insorgenza di un conflitto apparentemente insolubile tra pluralismo e secolarizzazione, da un lato, e autodeterminazione spirituale e libertà religiosa, dall’altro. Il caso della Chiesa cattolica, magistralmente descritto da Gustavo Zagrebelsky, chiama in causa il legame tra tale conflitto e la distanza comunicativa tra il discorso civile e quello religioso: facendo riferimento, in particolare, all’evoluzione della dottrina sui rapporti tra fede e ragione durante il pontificato di Benedetto XVI, Zagrebelsky si sofferma sulle nuove forme assunte dalla pretesa di universalità ed esclusività, tipica della religione cattolica, con riguardo allo spostamento “strategico” dell’argomentazione dal piano fideistico a quello razionale.

L’evoluzione del secolarismo nel contesto dello stato costituzionale contemporaneo sembra dunque passare, nell’ottica del volume, per un profondo ripensamento del principio di neutralità dello stato rispetto al fattore religioso. Molto interessante in questo senso, pur con i limiti che vedremo, il contributo di Ladeur, almeno sotto il profilo della declinazione del concetto di neutralità nei termini evolutivi di un processo di neutralizzazione, continuamente rinegoziato; in tale processo, peraltro, assumono una rilevanza centrale gli strumenti di protezione dei diritti fondamentali, che si pongono come garanzia di differenziazione della società in sfere più o meno autonome, ciascuna caratterizzata da peculiari rivendicazioni identitarie e, al tempo stesso, come barriera rispetto alle tendenze totalitarie riscontrabili all’interno di tali sfere, e nei loro rapporti reciproci.

Proprio questo aggancio alla tutela dei diritti fondamentali introduce un ulteriore profilo di interesse del volume, vale a dire l’attenzione al rapporto tra secolarismo e tutela dei percorsi di autodeterminazione, anche spirituale. Se infatti, come si accennava, la stessa dimensione religiosa rivendica per sé – pur con inevitabili e pericolose ambiguità – lo spazio di riconoscimento e protezione dovuto agli altri percorsi di autodeterminazione personale, non si può dimenticare che la dialettica tra dimensione individuale e dimensione istituzionale della libertà religiosa pone problemi del tutto specifici, sia con riferimento alla posizione dei singoli, sia con riferimento alle forme di gestione del conflitto pluralistico.

In questo senso, il contributo di Andras Sajò si distingue per l’approccio ai problemi attuali del secolarismo sotto l’angolo visuale della protezione della libertà di coscienza, nell’ottica di un legame virtuoso – e quasi di una coessenzialità – tra secolarismo e libertà religiosa. Accanto a questo, il contributo di Karl Heinz Ladeur, quasi a controcanto, propone una critica del principio di autodeterminazione e, mettendo in relazione i percorsi del secolarismo con i processi di costruzione dell’identità, riconosce una notevole importanza alle precondizioni culturali di questi ultimi, con un debito profondo nei confronti del fattore religioso. Quest’ultimo – nella prospettiva di Ladeur – non può essere espunto dalle premesse culturali dello stato costituzionale, ed anzi deve essere considerato ed incluso, come positivo elemento di arricchimento culturale, nei processi educativi, anche se in un’ottica dialettica e processuale.

L’intero volume è dunque percorso da una attenzione profonda verso il rapporto tra dimensione religiosa, condizioni culturali dell’unità della comunità politica pluralistica e multiculturale e costruzione (e rivendicazione) delle identità. Il discorso sul secolarismo e sulla libertà religiosa si apre così alla considerazione del rapporto tra esperienza costituzionale e cultura, nell’ambito specifico della gestione del conflitto pluralistico e della costruzione dell’unità della comunità politica. E, senza dubbio, l’esplorazione così attenta e sensibile della dimensione culturale del fatto religioso – unita all’apertura metodologica alle diversità culturali e giuridiche – contribuisce a gettare nuova luce sul concetto e sui percorsi della secolarizzazione, dall’angolo visuale del rapporto tra dimensione individuale e dimensione collettiva dei processi di costruzione e negoziazione delle identità.