Due dottrine dei diritti?

Su sollecitazione dell’amico Andrea Buratti colgo, dopo qualche reticenza, l’invito a dare seguito al suo bel post, che ha il merito di insistere sulle problematicità dell’attuale fase, fra tutte la mancanza di centralità parlamentare (specie nelle prime settimane della crisi), una certa dose di paternalismo e l’evidente limitazione di alcune libertà fondamentali. Il tutto, per altro, combinato con una gestione mediatica dell’emergenza che si conferma a tratti populista.
Il post di Buratti ripristina, per così dire, il “tono costituzionale” dei richiami della Presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, che nello scadimento del dibattito politico attuale, si è pensato di ridurre al livello di polemiche interistituzionali. Da ultimo, si tratta di un invito alla riflessione e a un dibattito di teoria costituzionale. Il mio intervento è sulle sfumature, niente di più e niente di meno.
Tuttavia, l’obiettivo del post è quello di riflettere, accademicamente più che politicamente, sulla tenuta della contrapposizione proposta da Andrea nel suo intervento, offrendo spunti di riflessione soprattutto teorica.
Notazione generale: procedere per dicotomie può essere rischioso, perché si finisce per leggere in maniera antitetica interventi che presentano anche punti di contatto. Inoltre, mi pare eccessivo scorgere contrapposizioni tenendo conto che uno dei due interventi fa del costante richiamo alla leale collaborazione – non solo fra Stato e Regioni – uno dei pilastri del messaggio proposto.
Tuttavia, ciò che mi lascia più perplesso è il voler scorgere negli interventi di Marta Cartabia e Giuseppe Conte due dottrine dei diritti diverse – una che invoca il bilanciamento tra principi e l’altra che in ultima analisi lo esclude -, mettendo sullo stesso piano due figure (istituzionali ed accademiche) profondamente diverse.
Detto ancora meglio, risponde sicuramente a una chiara teoria dei diritti l’intervento della Presidente Cartabia, ed è sapiente il rimando effettuato da Buratti alla giurisprudenza costituzionale sul caso ILVA e in particolare quello al felice passaggio sull’inesistenza di una tirannia dei diritti. Ho qualche dubbio però sulla possibilità di scorgere un’alternativa teorica nel pensiero del Presidente del Consiglio (e lo scrivo senza ironia) con il suo costante riferimento al principio di precauzione e il richiamo al concetto delle “scelte tragiche”.
A prima vista queste due posizioni potrebbero ricordare la distinzione fatta da Vermeule fra “precautionary constitutionalism” (richiamato da Buratti nel post) e “optimizing constitutionalism”.
Mentre per il primo “constitutional rulemakers and citizens design and manage political institutions with a view to warding off the worst case”, il secondo “trades off all relevant political risks, giving them their due weight in the circumstances, without any systematic skew or bias against any particular type of political risk”. Se il c.d. “optimizing constitutionalism” fa della flessibilità il suo punto forte, puntando sul bilanciamento caso per caso, il “precautionary constitutionalism” implica l’esistenza di una gerarchia di diritti e, quindi, conosce eccezioni al bilanciamento stesso. Partiamo dalle premesse seguite nella gestione dell’emergenza: per quanto problematica, non mi pare che la serie di provvedimenti adottati abbia prodotto una rottura della catena di validità o una rivoluzione in senso tecnico. La speranza è ovviamente che ciò non accada e bisogna rimanere vigili, ma l’operato del governo (con tutte le debolezze e ambiguità riportate in apertura) è in effetti avvenuto, questo sì, tenendo in considerazione il “worst case scenario”, in una situazione di incertezza evidente e nel tentativo di preservare la salute di tutti, inclusi i più vulnerabili. Questo mi pare pacifico, a meno di non volere contestare la narrazione dell’emergenza e cadere in complottismi.
Tuttavia, a ben vedere, fra bilanciamento e precauzione non vi è necessariamente opposizione, visto che in entrambi i casi un ruolo essenziale può essere giocato dal concetto di proporzionalità, come gli studi sul diritto ambientale dimostrano. Inoltre, a mio avviso sarebbe errato fare di questa distinzione una dicotomia in senso proprio: come ha ricordato Stone, infatti, essa acquisisce significato solo dando per scontata la definizione delle costituzioni come “strumenti di gestione dei rischi politici”. Inoltre, si tratta di una distinzione innestata nella particolare idea statunitense del diritto pubblico, in altre parole ha valenza euristica solo accettando l’idea di Vermeule che così spiegava la sua definizione di costituzione come:

Why focus on political risks, rather than risks to health, safety, the environment, and other goods? And what counts as a “political” risk anyway? The ordinary risks addressed by administrative risk regulation may be called first-order risks, which are dealt with by substantive governmental policies… By contrast, constitutional law addresses second-order risks that arise from the design of institutions, from the allocation of power across institutions to make first-order decisions, and from the selection of officials to staff institutions. Constitutional law structures the power of government and allocates it in complex ways to a set of institutions, themselves constituted by the same law. Any such structure creates the chance of various good or bad political consequences, just as any policy for regulating nuclear power creates the chance of various good or bad environmental and economic consequences. Constitutional rulemakers will have to assess and then somehow compare and balance the goods and bads that might arise from various institutional designs and allocations of power across institutions – precisely the sort of decision that risk analysis addresses”.

Questa distinzione di compiti fra diritto amministrativo e diritto costituzionale a me pare molto americana (si pensi al dibattito, bellissimo per altro, sulla “Dubious Morality of Modern Administrative Law”), e inevitabilmente presenta forti limiti di esportabilità, anche se nella stessa opera, poco dopo, lo stesso Vermeule si affrettava a ricordare che “some constitutions have inscribed principles of health and safety regulation in the fundamental laws of their polities”, citando l’esempio francese. La stessa idea di gestione del rischio non è comune nel linguaggio delle costituzioni (le eccezioni sono forse la Costituzione brasiliana e, da noi, l’Art. 7 TUE, volendo considerare i Trattati europei come documenti costituzionali), che tutt’al più, parlano a volte di emergenza (declinata, come nel caso spagnolo all’Art. 116 della Costituzione, in “Estado de alarma, “Estado de excepción” e “Estado de sitio”).
Un’altra ragione che mi fa dubitare dell’esistenza di due dottrine antitetiche dei diritti riguarda il richiamo effettuato dal Presidente del Consiglio a Calabresi (e Bobbitt). La scelta tragica può essere vista come eccezione al bilanciamento? Sicuramente sì per alcune scelte tragiche, quelle in cui non è possibile minimizzare la tragedia (si veda la terza parte di quel volume volume). Detto in altro modo, questo vale per quei tipi di tragedie costituzionali prese in considerazione dai critici del bilanciamento à la Zucca, secondo cui dietro il bilanciamento si cela talvolta una scelta solo apparentemente tecnica e procedurale. Del resto, non tutti i cultori delle scelte tragiche le ipotizzano partendo da gerarchie costituzionali prestabilite e, soprattutto, non tutte le scelte tragiche di cui scrivevano Calabresi e Bobbitt possono essere considerate veri e propri dilemmi costituzionali. Questo meriterebbe un ulteriore approfondimento, ma in effetti nell’idea di scelta tragica un ruolo essenziale è giocato dalla “scarsità di risorse” come ricordano Calabresi e Bobbitt in apertura, mentre per Zucca “genuine conflicts of fundamental rights exist despite scarce resources, or other external elements”.
Del resto, mi pare che nel costituzionalismo europeo raramente si ragioni di gerarchie, con (forse) l’eccezione tedesca della c.d. “democrazia militante”. In questo il mondo delle scelte tragiche si apre a una varietà di posizioni. La stessa idea di “constitutional dilemma” di Zucca non implica necessariamente un equilibrio prestabilito nella scelta tragica, o detto nel suo linguaggio, nella “fundamental loss”;

Whichever way you look at it, you are going to lose something fundamental. A constitutional dilemma typically involves two elements: a choice between two separate goods (or evils) protected by fundamental rights; a fundamental loss of a good protected by a fundamental right no matter what the decision involves”.

Tuttavia, siamo sicuri che il Presidente del Consiglio si riferisse a delle eccezioni al bilanciamento o addirittura a situazioni di vera e propria eccezione?
Come viene riconosciuto anche da Buratti, non vi è bisogno di essere schmittiani per ammettere che possano esistere eccezioni al bilanciamento, basti guardare alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e all’Art. 15 della stessa Convenzione europea, con la distinzione fra diritti assoluti e relativi, o a quella della Corte di giustizia dell’Unione europea in casi come Schmidberger.
Perché si insiste su questo? Perché credo che un altro elemento di confusione nell’attuale dibattito consista nel rapporto fra eccezione ed emergenza, come ricordava qualche settimana fa l’ex Presidente della Corte costituzionale Silvestri:

“Lo stato di eccezione schmittiano – di questi tempi spesso evocato – presuppone invece uno spazio vuoto, deregolato e riempito dalla volontà del sovrano, inteso come potere pubblico liberato da ogni vincolo giuridico e capace di trasformare istantaneamente la propria forza in diritto. Tutto ciò non è ipotizzabile nell’Italia repubblicana e democratica, mentre sarebbe ben possibile sul piano dell’effettività storica se, anche sulla base di equivoci non chiariti, si accedesse all’idea di un salto extra-sistematico verso un ordinamento giuridico-costituzionale opposto a quello vigente e paradossalmente introdotto da quest’ultimo”.

Ecco che allora si torna a quanto sostenuto dalla Presidente Cartabia, secondo cui, pur nell’assenza di una clausola costituzionale sull’emergenza, “la Costituzione (…) non è insensibile al variare delle contingenze, all’eventualità che dirompano situazioni di emergenza, di crisi, o di straordinaria necessità e urgenza”. La nostra Costituzione si può adattare a situazioni come questa garantendo “necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità”. A ben vedere, però, anche il Presidente del Consiglio Conte ha fatto più volte riferimento al principio di proporzionalità nei suoi interventi delle settimane precedenti e nello stesso testo dei suoi discorsi alla Camera e al Senato. Inoltre, nello stesso passaggio in cui si menzionavano le scelte tragiche si faceva riferimento anche al “bilanciamento”, ribadendo, in ultima analisi, un concetto, per esempio, presente nell’Art. 41 della nostra Costituzione, secondo cui l’attività economica privata non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Insomma, non mi pare che la posizione del Presidente del Consiglio sia da ergersi a controcanto teorico, a meno di non voler costruire una dicotomia artificiale, leggendo in maniera manichea due interventi diversi per contesto, occasione e interlocutori, perdendo, così, il piacere delle sfumature.