Due pesi e due misure. La Corte Suprema USA si pronuncia sull’obbligo vaccinale rivolto ai dipendenti delle grandi aziende e ai sanitari

Il 13 gennaio scorso la Corte Suprema statunitense si è pronunciata su due misure di forte impatto per la campagna di vaccinazione contro il Covid-19 adottate dall’amministrazione Biden. In particolare, l’agenzia Occupational Safety and Health Administration (OSHA) aveva imposto l’obbligo di vaccinarsi – oppure di indossare la mascherina e sottoporsi settimanalmente a un tampone per accertare la negatività al virus – ai lavoratori delle aziende con almeno cento dipendenti, mentre la Secretary of Health and Human Services aveva previsto l’obbligo vaccinale per i sanitari afferenti a strutture che ricevono i sussidi federali dei programmi Medicare e Medicaid.
La Corte Suprema, con la decisione National Federation of Independent Business v. OSHA, ha sospeso l’efficacia del primo provvedimento, che avrebbe riguardato circa 84 milioni di cittadini statunitensi, con 6 voti contro 3. Di diverso orientamento invece la decisione Biden v. Missouri , che ha confermato, con 5 voti contro 4 (i due giudici conservatori Roberts e Kavanaugh si sono in questo caso allineati ai liberali), la previsione dell’obbligo vaccinale per 10,3 milioni di persone, la quasi totalità degli operatori sanitari del Paese, tenuti quindi a vaccinarsi entro la fine di febbraio.
Nelle due opinioni non firmate la Corte non si è pronunciata sulla costituzionalità o meno dell’obbligo vaccinale, concentrandosi invece sulla questione dell’individuazione del soggetto cui spetta imporre l’obbligo suddetto, facendo ricorso a una dottrina di creazione giurisprudenziale raramente utilizzata, che ha portato all’adozione di due decisioni dagli esiti non conciliabili.
La decisione NFIB si fonda sulla c.d. major questions doctrine, dottrina giurisprudenziale emersa nei casi MCI Telecommunications Corporation v. American Telephone & Telegraph del 1994 e FDA v. Brown & Williamson Tobacco Corporation del 2000, che pone limiti rigorosi al potere delle agenzie federali nell’esercizio di “poteri di vasta importanza economica e politica”, affermando che sia il Congresso a doverli esercitare, a meno che non ci sia una sua chiara, incontrovertibile, autorizzazione nei confronti delle agenzie suddette. La necessità di una chiara autorizzazione alle agenzie da parte del Congresso si pone nella prospettiva del promovimento della responsabilità democratica, della preservazione della struttura costituzionale e dell’intento di evitare il coinvolgimento del potere giudiziario in questioni politiche. In NFIB e in Missouri (sebbene in quest’ultima decisione non si trovi un riferimento espresso alla major questions doctrine) si ha però l’impressione che la dottrina sia utilizzata in modo strumentale: la Corte non riesce ad articolare un’argomentazione giuridica coerente che giustifichi i due diversi esiti.
In NFIB si sottolinea come l’imposizione del vaccino o del tampone settimanale a 84 milioni di americani costituisca una “questione di grande importanza economica”, la cui regolazione spetta pertanto al Congresso. A destare perplessità, ammessa la congruenza del ricorso alla dottrina delle c.d. major questions, è il diverso uso che ne fa la Corte in riferimento al personale sanitario, come emerge anche dalla dissenting opinion del giudice Thomas in Missouri: l’obbligo vaccinale imposto ai sanitari, sebbene riguardi una platea di soggetti meno estesa di quello rivolto ai dipendenti delle grandi aziende, riguarda comunque un numero cospicuo di cittadini statunitensi. Non è dato desumere dalle due decisioni in oggetto quanti soggetti debbano essere interessati da una previsione affinché possa definirsi come una questione di “vasta importanza economica e politica”.
In NFIB la Corte sottolinea inoltre che la legge attribuisce all’OSHA il potere di intervenire in materia di sicurezza sul posto di lavoro, in cui non è ricompreso quello di occuparsi di questioni di sanità pubblica. La Corte interpreta restrittivamente l’ambito di competenza dell’OSHA, cui si fa riferimento nella legge istitutiva, concernente le minacce alla salute cui si espongono i lavoratori. Ci si riferirebbe non ai pericoli cui si può andare incontro accidentalmente sul luogo di lavoro, ma a quelli strettamente collegati alla prestazione di lavoro. Nell’opinione di maggioranza si afferma: “il Covid si diffonde a casa, nelle scuole, durante gli eventi sportivi e ovunque le persone si riuniscano”. Questo rischio riguarderebbe infatti tutti e, permettere all’OSHA di intervenire in tale ambito, a ragione del fatto che la maggior parte dei cittadini statunitensi lavora, esponendosi al virus, porterebbe ad ampliare il suo potere senza una chiara autorizzazione del Congresso. I tre giudici liberali nella dissenting opinion ritengono invece che non sia chiaro perché l’OSHA, potendo regolare le minacce che si manifestano sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro, compresi i rischi di incendio, installazioni elettriche difettose e uscite di emergenza inadeguate, non possa intervenire per prevenire o limitare le infezioni da Covid.
Ulteriori elementi di perplessità sugli orientamenti della Corte sorgono guardando al tenore letterale delle previsioni oggetto dei giudizi. Nel caso NFIB, una legge federale, che in situazioni ordinarie richiede all’agenzia OSHA di seguire un procedimento molto articolato per approvare nuovi regolamenti sulla sicurezza sul lavoro, conferisce tuttavia all’agenzia il potere di stabilire uno “standard temporaneo di emergenza”, per proteggere i lavoratori dal “grave pericolo di esposizione a sostanze o agenti tossici o fisicamente dannosi”. In Missouri, una legge federale incarica invece i Centers for Medicare and Medicaid Services di adottare le misure che “ritiene necessarie nell’interesse della salute e della sicurezza degli individui che ricevono servizi” nelle strutture che accettano finanziamenti federali. Al di là del parzialmente diverso fondamento giuridico (nel primo caso si fa riferimento a uno specifico standard emergenziale, nel secondo a una disposizione più generale), di cui la Corte non tiene conto, ciò che emerge è il tenore letterale piuttosto simile delle due previsioni. Entrambe ricorrono a delle formule aperte, attribuendo una serie di poteri che potrebbero essere esercitati in un ampio spettro di situazioni, con la finalità di tutelare la salute, ed entrambe prevedono che le agenzie adottino solo le misure “necessarie” a proteggere la salute. Come visto, la Corte però tratta le due disposizioni in modo molto diverso. In NFIB si fa riferimento espresso alla c.d. major questions doctrine, affermando che il Congresso debba essere molto chiaro nell’autorizzare un’agenzia ad esercitare poteri di vasta portata economica e politica, citando altresì una decisione dello scorso agosto riguardante una moratoria sugli sfratti (Alabama Assn. of Realtors v. Department of Health and Human Servs.). Tuttavia, il problema in NFIB non è la “vaghezza” della legge federale: nell’opinione di maggioranza si legge che, dal momento che l’OSHA non è chiamata a svolgere un “esercizio quotidiano del potere federale” e i suoi interventi possono solamente riguardare il luogo di lavoro, e il pericolo di contrarre il Covid-19 non sarebbe legato, causalmente, al luogo di lavoro, la Corte utilizza un’altra strada per “bloccare” l’obbligo. A differenza dei precedenti, in cui la c.d. major questions doctrine si applicava quando non era chiaro se il Congresso intendesse consentire a un’agenzia di regolare un certo ambito, in NFIB questa dottrina si applica a qualsiasi disposizione di carattere aperto di una legge federale che conferisce a un’agenzia ampi poteri, anche se è evidente che il Congresso intendesse proprio affidare all’agenzia proprio quei poteri così ampi. Tuttavia, leggendo Missouri, si nota come i Centers for Medicare and Medicaid Services godano in realtà, in accordo alla legge federale, di un potere decisionale molto più esteso per agire nell’ “interesse della salute e della sicurezza degli individui” che ricevono assistenza sanitaria. In NFIB la Corte sottolinea inoltre che l’OSHA, in tutta la sua storia, non aveva mai adottato misure di questo tipo, così incidenti sulla salute pubblica. Nell’opinione di maggioranza di Missouri, si legge che la previsione dell’obbligo vaccinale ai sanitari oltrepassa tutte le azioni fino a quel momento intraprese dal Secretary of Health and Human Services per implementare il controllo delle infezioni, notando altresì che, storicamente, gli Stati, e non il CMS, avevano in certi frangenti imposto obblighi vaccinali agli operatori del settore.
La decisione Missouri sembra non tenere in alcuna considerazione quanto statuito in NFIB: le due opinioni sono inconciliabili, fondate su argomentazioni completamente diverse, senza neanche un tentativo di spiegazione da parte della Corte sul perché una certa analisi si applichi in un caso e non nell’altro.I giudici di Washington, nel decidere i due casi del 13 gennaio, hanno adottato “due pesi e due misure”, giungendo ad esiti contrapposti.
Nonostante la decisione Missouri, il Presidente Biden ha espresso in una nota tutta la sua delusione per il “blocco” dimisure di buon senso e poste a tutela della vita”, concretizzate appunto dalla previsione dell’obbligo vaccinale, scientificamente e giuridicamente fondato, per i lavoratori delle grandi aziende. Come sottolineato da Biden, spetterà ora ai singoli Stati e ai datori di lavoro decidere se richiedere ai residenti e ai propri dipendenti di “fare il piccolo ed efficace sforzo di vaccinarsi”, con l’obiettivo di “proteggere la salute degli americani e l’economia”.