Elezioni tedesche 2017: la rupture di schemi al Governo e la cesura nel Parlamento

Pochi giorni dopo il lancio di Martin Schulz quale candidato cancellerie dell’Spd all’inizio dell’anno, il sondaggista Manfred Güllner criticò duramente in un’intervista alla radio di informazione Deutschlandfunk il tema messo al centro della campagna elettorale socialdemocratica. “Il tema dell’equità sociale (soziale Gerechtigkeit) non tira”, così il sondaggista, considerato vicino ai socialdemocratici, già allora sosteneva come la gente, pur percependo una disuguaglianza nella società in quanto tale, valutasse comunque positivamente la propria situazione economica e quindi non si ponesse il problema.

Del resto, la disoccupazione è ai minimi storici, i redditi reali sono in crescita, e grazie al pareggio di bilancio il governo federale pensa più a come distribuire le nuove entrate anziché ai tagli di spesa. Nonostante ciò la Merkel sembra aver ormai perso l’aura dell’invincibilità dopo la crisi dei rifugiati del 2015/16 che ha capovolto il paesaggio politico tedesco. È quindi vero che l’Spd avesse sbagliato tema? Sembrerebbe piuttosto che l’Spd si fosse trovato nel pieno di un vero dilemma sin dall’inizio. Perché sull’unico tema in grado di fare cadere la cancelliera, l’Spd non poteva attaccarla credibilmente. Era proprio l’Spd che infatti l’aveva sostenuta nella decisione di aprire le frontiere nel settembre 2015 con più convinzione di quanto non lo avesse fatto proprio il partito democristiano. Ed era l’Spd che, insieme ai Verdi – che sedevano al tavolo grazie al loro peso nella camera federale Bundesrat – continuava a frenare quando la Cancelliera Merkel, che pure continua a sostenere fino ad oggi di non aver mai cambiato opinione, di fatto cambiò idea, chiedendo al ministro dell’interno democristiano, più o meno apertamente, di chiudere le frontiere.

Non è un caso, quindi, se la questione rifugiati, tema tanto controverso da essere ancora oggi in grado di rovinare una festa in famiglia o tra amici, ma che nel Bundestag uscente – e stava lì l’anomalia rappresentativa – vedeva tutti i quattro gruppi parlamentari su una posizione unitaria, ha fatto entrare nel Bundestag del nuovo: cioè un partito liberale sensibilmente spostato a destra, l’Fdp, e un partito di destra populista, l’Afd. E così all’elettore deluso (democristiano) non restava che scegliere se rimanere all’interno (Fdp) o se uscire (Afd) da ciò che in Italia chiameremo l’arco costituzionale.

E tuttavia non è detto che gli strateghi della Merkel non abbiano alla fine realizzato un piano diabolico, sacrificando parte del partito democristiano sull’altare del governo senza alternanza. Casualmente il sistema elettorale tedesco con i suoi seggi in eccesso (Überhangmandate) e di conguaglio (Ausgleichsmandate), facendo passare il Bundestag da 631 a 709 seggi con un numero base di 598, ha comunque alleviato le perdite in termini di carriere politiche personali. Infatti, spostandosi a sinistra e di fatto mettendo all’angolo l’Spd, che pure nel governo uscente ha realizzato molto in termini di politiche sociali e con ministri valevoli, la Cdu è diventata ormai il perno del sistema di ogni possibile coalizione, in grado di radicarsi nel Kanzleramt alleandosi di volta in volta con tutti tranne con l’estrema sinistra (Linke) e destra (Afd).

Paradossalmente, infatti, l’unica opzione per ora realistica di mandare la Cdu sui banchi dell’opposizione con la formazione di un governo federale a guida socialdemocratica, una coalizione di centrosinistra allargata, è resa numericamente improbabile proprio dall’Afd. Pur drenando voti alla Cdu, l’Afd è l’unico partito a spostare un numero sostanzioso di voti da sinistra a destra grazie ai voti che nella ex Ddr passano dalla Linke all’Afd. E così mancano a una coalizione Spd-Verdi-Linke ben 66 seggi alla maggioranza nel nuovo Bundestag. Una ipotetica coalizione rosso-rosso-verde, al contrario, avrebbe potuto avere una maggioranza numerica, per quanto risicata e di soli quattro seggi nel Bundestag uscente. Resta solo da vedere se la personalizzazione della politica non cambi nuovamente le carte sul tavolo. Per ora, tuttavia, l’aritmetica elettorale rende difficilmente immaginabile per l’Spd recuperare il divario di 13 punti e diventare così primo partito, pur nell’ipotesi di un candidato socialdemocratico forte contro un candidato debole del dopo-Merkel nel 2021.

Quanto al tema della formazione del nuovo Governo, i problemi che si preannunciano sono di vario tipo. La probabile prossima coalizione Giamaica rompe infatti il classico schema democristiani-liberali verso socialdemocratici-verdi. Mettendo a confronto i programmi elettorali dei quattro partiti Cdu, il gemello bavarese Csu, liberali e Verdi, però, le distanze non sembrano insuperabili tranne che con riferimento alle politiche in materia di rifugiati. In merito i quattro cercheranno probabilmente di rinviare il confronto. Sugli altri temi, liberali e Verdi hanno più in comune di quanto sembrerebbe. È forse tra democristiani e liberali che ci sono più divisioni di quanto non appaia a prima vista. Non è da escludersi, in questa prospettiva, che i due piccoli non facciano fronte comune contro i conservatori su alcuni temi. In merito alle politiche europee, saranno però i liberali e la Csu i più attenti al contribuente tedesco.

Pur in un quadro altamente frammentato, non va comunque sottovalutato come la classe politica tedesca è naturalmente portata al compromesso, disciplinata e rispettosa di patti. Sarà pertanto il Koalitionsvertrag che costituirà l’áncora fondamentale del futuro programma di governo. È proprio per l’importanza che i quattro riconosceranno a questo accordo per il prossimo quadriennio che le trattative si preannunciano lunghe e complesse.

Scosse al Governo potrebbero tuttavia derivare dai conflitti interni ai quattro partiti: ai liberali manca il personale con esperienza di governo dopo la traversata del deserto extra-parlamentare; i Verdi sono da sempre in balia al conflitto tra l’ala di lotta e quella di governo – per riprendere un’altra terminologia italiana –; nella Cdu inizieranno i movimenti interni per la successione alla Merkel e la Csu bavarese, passata in Baviera dal 49,3 % al 38,8 %, temendo di perdere la maggioranza assoluta alle elezioni bavaresi fra un anno, si preannuncia molto riottosa. Sullo sfondo l’Afd nonché l’Spd e la Linke pronti a raccogliere i delusi a destra e sinistra.

Con l’avvento al Bundestag di un partito a destra dell’unione Cdu-Csu, la Merkel ha infranto – perlomeno con dolo eventuale –  il famoso diktat dello storico governatore bavarese e conservatore Franz Josef Strauß del ‘mai un partito a destra dei democristiani’. La perduta capacità di Cdu-Csu di chiudere il sistema parlamentare a destra, integrando l’elettorato nazional-conservatore che è probabilmente sempre esistito, segna una cesura nella storia della Bundesrepublik. E se la questione rifugiati sembra ormai alle spalle, il macrotema della migrazione con la miriade di questioni collegate nonché l’integrazione dell’eurozona con i suoi possibili meccanismi di trasferimenti diretti o indiretti continueranno molto probabilmente a dare adito a un partito che raccoglie il malcontento più radicale. Il genio ormai sembra fuori dalla bottiglia. E la politica tedesca ne risentirà.