Il Presidente alla ricerca di una “maggioranza delle idee”. Un’intervista a Vincent Martigny sulla scena politica francese dopo le elezioni
Abbiamo chiesto al prof. Vincent Martigny, docente di Scienze Politiche nell’Università di Nizza e coordinatore del gruppo di ricerca Legis-2022, di analizzare con noi la recente tornata elettorale francese e l’attuale scenario istituzionale.
Prof. Martigny, prendendo in considerazione l’intera fase elettorale svoltasi da aprile a giugno, cosa la ha colpita maggiormente? Siamo di fronte a dei risultati elettorali certamente sorprendenti: per la prima volta da oltre vent’anni un Presidente in carica viene rieletto. Era accaduto in passato, con la rielezione di Chirac nel 2002, ma in un contesto di coabitazione, dunque caratterizzato da una maggiore condivisione dei poteri tra le forze politiche. Al contempo, per quanto paradossale possa sembrare, la posizione del Presidente non è mai stata tanto debole quanto oggi, a causa della sconfitta del partito del Presidente alle legislative. Anche Mitterrand, nel 1988, fu eletto senza che il partito socialista conquistasse una chiara maggioranza parlamentare, ma in quel caso si trattava di pochi voti di scarto; al contrario oggi En Marche ha subito una sconfitta molto severa in termini di seggi.
Come si spiega un calo tanto marcato del consenso elettorale di En Marche? Incide il logoramento prodotto da cinque anni di governo, o si tratta della naturale flessione della parabola di un partito personale, privo di radicamento territoriale? In effetti molto dipende dalla natura di questo partito, privo di radici, che non si è mai realmente dislocato sul terreno. Il partito è nato attorno alla figura di Macron, e ne dipende totalmente. Né Macron ha mai realmente lavorato, in questi anni, per consolidarlo e radicarlo nella società. Ciò dipende, innanzitutto, dalla personalità del Presidente, che preferisce assumere decisioni personali, non frutto di mediazioni con gli apparati. Ma non va dimenticato che il riallineamento della politica francese cominciato nel 2017 non è ancora terminato, e assisteremo a nuovi cambiamenti di attori politici.
Passando al lato dei vincitori, ha suscitato grande interesse l’operazione di Mélenchon, che ha avuto successo nell’impresa di unire le sinistre attorno ad un programma condiviso e connesso agli interessi della società. Si tratta di un mero cartello elettorale o è una strategia destinata a durare? L’unità delle sinistre è stata talmente vantaggiosa in termini di seggi guadagnati che tutto lascia pensare ad una prosecuzione dell’esperimento. D’altronde, le sinistre sono ora chiamate a svolgere il ruolo dell’opposizione: ciò permetterà loro di rafforzare l’unità nella critica al Governo. È vero, tuttavia, che nella storia delle forze politiche che fanno parte della coalizione esistono notevoli divergenze, specie con riferimento alle tattiche parlamentari: la tradizionale responsabilità dei socialisti è molto distante dagli approcci più radicali fin qui perseguiti da France Insoumise.
Rassemblement National ha raggiunto un risultato storico, segno anche di un consolidamento del suo consenso elettorale. È in corso un processo di normalizzazione dell’estrema destra, nella direzione di un suo coinvolgimento nell’arco repubblicano? Rassemblement National sembra in effetti orientato ad abbandonare la sua tradizionale strategia di opposizione radicale, per assumere piuttosto un atteggiamento costruttivo. Nelle sue prime uscite pubbliche dopo le elezioni legislative, Marine Le Pen ha dichiarato che intende ispirarsi a un approccio “repubblicano”. Nella prospettiva di un maggior riconoscimento istituzionale vanno d’altronde anche i recentissimi sforzi per raggiungere degli accordi sugli incarichi all’interno dell’Assemblea Nazionale. Se fosse così, significherebbe che davvero il partito ha tratto un insegnamento dagli errori del passato. Il risultato potrebbe essere quello di una de-demonizzazione dell’estrema destra.
Le strategie politiche delle due maggiori opposizioni ci portano inevitabilmente a ragionare sul percorso di formazione del Governo, che appare molto complesso. Per comprendere l’attuale scenario occorre muovere dal presupposto che Macron non è uomo incline ai compromessi e alle negoziazioni politiche. Questo, unito alle rigide chiusure che si sono registrate nelle consultazioni con i partiti, porta ad escludere l’ipotesi di un governo di coalizione in coabitazione con il Presidente.
Andiamo dunque verso un governo di minoranza, composto da esponenti del solo partito del Presidente? È l’ipotesi più probabile. Esistono, ovviamente, delle alternative: il Presidente potrebbe, per esempio, sciogliere l’Assemblea e indire nuove elezioni; ma tutto lascia pensare che questo non farebbe che rafforzare ulteriormente le opposizioni, e in particolare la destra.
Un governo del Presidente potrebbe tuttavia contare su un sostegno parlamentare limitatissimo. Esistono diverse strategie per aggirare il problema della debolezza del sostegno parlamentare. Il Presidente potrebbe per esempio governare tramite referendum, avvalendosi dei poteri che la Costituzione gli assegna. In questo modo, tuttavia, ci si espone al rischio di pesanti sconfitte: non dimentichiamoci che il referendum in occasioni recenti è stato un amplificatore dell’opposizione popolare. In Francia, ciò è avvenuto per esempio in occasione del referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale europeo. Si potrebbe, dunque, costituire un governo di minoranza che possa contare su un appoggio esterno di alcuni partiti più responsabili, come i verdi, i socialisti e i repubblicani. Anche questa ipotesi, tuttavia, sembra oggi impercorribile. L’idea di Macron è piuttosto quella di costruire convergenze puntuali tra le forze politiche in Parlamento, una “maggioranza delle idee” che possa consentire di varare riforme legislative condivise.
Lo scenario prospettato da Macron, tuttavia, sembra esporsi ad un paradosso: proprio nel momento di massima debolezza politica, il Presidente dovrebbe farsi carico di una faticosa opera di tessitura di accordi politici. Questo è il problema con cui Macron si dovrà necessariamente confrontare. La sua legittimazione politica è molto debole in questo momento: gli elettori lo hanno confermato alla presidenza principalmente per scongiurare il rischio di una vittoria di Marine Le Pen, e nelle legislative la crisi del suo consenso è emersa definitivamente. Gli elettori hanno dato un messaggio chiaro: vogliono ridurre l’iper-presidenzializzazione che ha caratterizzato gli ultimi anni di governo.
Non vede il rischio che l’indebolimento della posizione del Presidente si possa ripercuotere sulla coerenza e l’efficacia della linea politica francese sullo scacchiere internazionale, in un momento così critico? Lo escludo. La politica estera è un fronte di convergenza tra le forze politiche piuttosto che di divisione. È vero che sia a sinistra che a destra esistono posizioni critiche sul sostegno all’Ucraina, ma si tratta di minoranze limitate. La gran parte delle forze politiche sostiene la linea di Macron tanto con riferimento al conflitto in Ucraina quanto con riferimento alle politiche europee. E in politica estera alcune importanti decisioni possono essere assunte senza il necessario coinvolgimento del Parlamento: questo potrà aiutare il Presidente in contesti particolarmente critici.