Il Tribunale costituzionale tedesco e il terzo genitore: a proposito di una recente sentenza in tema di impugnazione della paternità

1. Con una decisione del 9 aprile 2024 (1 BvR 2017/21), il Tribunale costituzionale tedesco ha sancito l’illegittimità di due disposizioni del codice civile, relative alla disciplina dell’azione di annullamento della paternità promossa dal padre biologico, onde rimuovere la filiazione in precedenza instauratasi tra il figlio e il padre legale, in quanto ritenute lesive di quel diritto fondamentale alla cura e all’educazione dei figli, e dunque all’assunzione della responsabilità genitoriale, che l’art. 6 II S. 1 GG garantisce anche ai genitori naturali.
Nel caso di specie, il ricorrente era padre biologico di un minore nato nel 2020 all’interno di una coppia di fatto (circostanza che aveva impedito che la sua filiazione potesse fondarsi sul rapporto di coniugio, ai sensi del § 1592 Nr. 1 BGB) e aveva convissuto con la madre e il figlio fino alla rottura dell’unione, avvenuta poco dopo la nascita. A seguito di tale evento, l’uomo, al cui atto di riconoscimento la donna non aveva prestato il proprio consenso, promuoveva l’azione per l’accertamento della paternità; senonché, poche settimane dopo, il nuovo partner della madre, stavolta col consenso della stessa, provvedeva al riconoscimento del minore, divenendone perciò il padre legale.
La successiva impugnazione della paternità avanzata dal ricorrente, ancorché accolta in primo grado, era poi stata respinta dalla Corte d’Appello sulla base del § 1600 II e III S. 1 BGB, ossia delle norme adesso censurate dal Bundesverfassungsgericht.
Tali previsioni, infatti, pur ricomprendendo tra i soggetti legittimati all’impugnazione della paternità anche il padre biologico che dichiari solennemente di aver intrattenuto rapporti sessuali con la madre del minore durante il periodo del concepimento, escludevano, tuttavia, l’accoglimento dell’azione allorquando tra il padre giuridico e il figlio si fosse consolidato un rapporto sociale-familiare caratterizzato dallo svolgimento, da parte del primo, dei compiti connessi alla responsabilità genitoriale, ossia una situazione di fatto di solito presunta sulla base (o del legame di coniugio con la madre, o, nelle famiglie non matrimoniali,) della prolungata convivenza col minore nel medesimo ambiente domestico.
Prima di richiamare le motivazioni che hanno indotto il Tribunale costituzionale a dichiarare illegittime le norme in questione, occorre peraltro ricordare come le stesse fossero state introdotte proprio sulla scorta di un precedente della medesima Corte, la quale, con una pronuncia del 9 aprile 2003 (1 BvR 1493/96, 1 BvR 1724/01), aveva appunto stigmatizzato il previgente regime delle azioni di stato in quanto non contemplava in alcun caso la possibilità per il padre biologico di contestare il vincolo giuridico di filiazione sorto tra il proprio figlio e un terzo. Il legislatore aveva quindi esteso anche al padre biologico la legittimazione all’impugnativa, subordinandola, tuttavia, agli stringenti requisiti di cui al § 1600 II e III S. 1 BGB, i quali erano inoltre rigorosamente interpretati dalla giurisprudenza di legittimità, che, da un lato, ricavava in via presuntiva, in assenza di prove o indizi contrari, l’intenzione del padre legale di seguitare a esercitare il proprio ruolo (BGH XII ZR 150/06), e, da un altro lato, negava che la paternità giuridica potesse essere rimossa quand’anche il padre naturale avesse, a sua volta, intessuto una sozial-familiäre Beziehung col minore e del pari vivesse con lui in una famiglia (BGH XII ZB 389/16).
A distanza di oltre vent’anni, il Tribunale costituzionale torna ora a esprimersi sul quadro normativo determinatosi a seguito della sua statuizione, ravvisandone l’incompatibilità con l’art. 6 II GG in ragione dell’eccessiva e ingiustificata compressione di quel “diritto naturale” dei genitori a crescere ed educare i figli che spetta anche ai genitori che siano tali solo in senso biologico, e non anche legale.

2. Per abbozzare una sintesi della corposa sentenza può intanto muoversi dalla constatazione della Corte secondo cui l’art. 6 II GG non specifica, nel dettaglio, chi siano i “genitori”, rimettendo al legislatore ordinario la disciplina della responsabilità genitoriale e dei modi per acquisirne la titolarità.
In particolare, al legislatore compete la regolazione sia dei rapporti tra genitori e figli, e tra questi ultimi e i terzi, sia l’individuazione di coloro che possono assumere la responsabilità genitoriale, la quale implica specifici doveri di accudimento sulla cui osservanza vigila lo Stato.
La discrezionalità del legislatore, però, non è sul punto assoluta, dovendo anzitutto essere esercitata nel rispetto dei caratteri strutturali di quel diritto fondamentale dei genitori (alla «Pflege» e all’«Erziheung» dei figli) che la norma costituzionale non crea, bensì semplicemente riconosce: sicché, per esempio, il legislatore non potrebbe privare i genitori, in generale o in casi specifici del tutto svincolati da loro inadempimenti, delle funzioni di cura ed educazione per assegnarle, invece, in via primaria ad organi dello Stato. Tra i caratteri strutturali di questo diritto rientra anche il nesso che lo lega alla responsabilità genitoriale, e che vale indipendentemente dalla circostanza che lo status parentale derivi da un vincolo di sangue oppure abbia fonte puramente legale.
Al di là poi delle regole costitutive della filiazione, la Corte sottolinea come i genitori naturali, ossia quelli che hanno concepito il figlio mediante rapporto sessuale, rientrino in ogni caso, a prescindere dal loro stato civile e dall’eventuale sussistenza in concreto di un rapporto sociale coi figli, nel concetto costituzionale di genitori, essendo le persone che “hanno dato la vita” al minore. Tale precisazione, nell’economia della pronuncia, è alquanto significativa, giacché ogni genitore “in senso costituzionale” può reclamare i diritti fondamentali che il Grundgesetz gli riconosce, e il cui esercizio comporta anche precisi doveri inerenti alla responsabilità per il benessere fisico, psichico e materiale dei figli, al fine di assicurarne il libero sviluppo della personalità.
Il legislatore è dunque tenuto a predisporre strumenti che permettano ai genitori “in senso costituzionale” di assumere ed esercitare la responsabilità genitoriale: e ciò pure quando quest’ultima, come nel caso di specie, sia rivendicata dal padre naturale e il minore abbia già due genitori parimenti titolari di analoghi diritti costituzionalmente protetti, quali la madre e il padre legale.
Detta affermazione dischiude una prospettiva inedita, che induce la Corte, nella ricerca di un punto di equilibrio tra le diverse posizioni parentali, a rimeditare quanto sostenuto in passato (1 BvL 1/11, 1 BvR 3247/09; 1 BvR 1493/96, 1 BvR 1724/01) e a mettere in discussione il radicato dogma secondo cui ogni persona dovrebbe avere due genitori soltanto: dogma che appunto – si sottolinea adesso – non deve più considerarsi costituzionalmente imposto.
D’altro canto, nemmeno il superamento del principio della bigenitorialità è ritenuto costituzionalmente necessario, sebbene tale soluzione si profili, invero, come quella più inclusiva, né a essa si opponga, di per sé, la direttiva generale della tutela dell’interesse del minore. Infatti, il rischio che l’attribuzione a un soggetto di tre genitori finisca per incrementare la conflittualità familiare può essere evitato, secondo la Corte, anche con una differenziazione delle loro prerogative, non essendo il legislatore tenuto a conferire agli stessi un’identica partecipazione ai diritti e ai doveri della responsabilità genitoriale.
Diversamente, qualora il legislatore preferisse, invece, mantenersi fedele al principio della bigenitorialità, egli dovrebbe in ogni caso offrire al padre biologico una procedura di impugnazione dotata di maggior effettività di quella che connota attualmente il § 1600 II e III S. 1 BGB.
In linea di massima, peraltro, il Tribunale costituzionale condivide l’idea che la legittimazione del padre biologico a impugnare la paternità del padre legale debba essere subordinata dalla legge a taluni requisiti, essendo siffatta limitazione tesa a presidiare apprezzabili esigenze di chiarezza e di stabilità dello status, oltre che l’interesse del minore a conservare il vincolo di filiazione con un soggetto (il padre legale) col quale abbia nel frattempo intessuto un solido rapporto sociale ed emotivo.
Tuttavia, il bilanciamento che il § 1600 II e III S. 1 BGB realizza tra queste esigenze e i diritti fondamentali del padre biologico risulta inadeguato, poiché non dà alcun rilievo alla sozial-familiäre Beziehung che col figlio naturale possa essersi instaurata fin dalla nascita o che possa in seguito essersi affiancata a quella già presente tra il minore e il padre legale.
La norma, infatti, non tiene in alcun conto né la frequentazione, per quanto assidua e prolungata, che possa esservi stata tra il minore e il padre biologico, né i tentativi di quest’ultimo – desumibili dalla disponibilità manifestata ad assumere la responsabilità genitoriale – di rivestire anche giuridicamente la qualità di genitore. Altri profili di criticità sono inoltre ravvisati rispetto alla benevolenza con cui, nella consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene valutata la sussistenza della sozial-familiäre Beziehung tra il minore e il padre legale, atteso che le norme in discorso, per un verso, non permettono di dare alcuna importanza, come anticipato, alla sopravvenuta dissoluzione materiale di tale rapporto, mentre, per altro verso, reputano sufficiente, onde respingere l’istanza del padre biologico, anche già il riscontro di un legame sociale-familiare col padre legale che si sia formato dopo l’avvio del procedimento di impugnazione ed entro la conclusione del giudizio di merito (le cui tempistiche, peraltro, rendono non rara una simile ipotesi).
In definitiva, le motivazioni della declaratoria di illegittimità sono dunque riconducibili all’impossibilità per il padre naturale, alla luce del quadro normativo vigente, di incidere, in qualche modo, sui presupposti di fatto da cui dipende l’accoglimento o meno della propria impugnazione, atteso che essi dipendono, spesso in maniera casuale, dalla successione degli eventi, dalla volontà della madre, dal coinvolgimento dello Jugendamt (l’Ufficio per la tutela dei minori) e dal carico di lavoro del tribunale della famiglia, ossia da fattori che sovente determinano, tra gli adulti interessati, una “corsa” per l’instaurazione legale della paternità.

3. A questo punto, toccherà dunque al legislatore riformare le norme censurate (che restano tuttavia in vigore fino al futuro intervento legislativo) e innovare la disciplina dell’impugnazione di paternità secondo le alternative dischiuse dal Tribunale costituzionale: ossia, modificandone i presupposti, sì da emendare i profili di illegittimità testé richiamati; oppure, superare il principio della bigenitorialità e consentire al padre naturale di stabilire a sua volta un (terzo) vincolo di filiazione col proprio figlio. Quest’ultima possibilità, per quanto sistematicamente più dirompente, sembra, a nostro avviso, da preferire, poiché evita di imporre un bilanciamento – tutt’altro che agevole e ineludibile – tra i diritti del padre biologico e quelli del padre legale, tantopiù che la rimozione della filiazione giuridica potrebbe poi, sotto vari aspetti, rivelarsi comunque pregiudizievole per il minore, non foss’altro perché in essa sono suscettibili di rispecchiarsi, nella realtà, contenuti pur sempre positivi per lo svolgimento della personalità del figlio. Più delicata, semmai, si presenta l’ipotesi di una diversificazione dei contenuti della responsabilità genitoriale dei due padri, non essendo neanche qui banale né scontata l’individuazione dei criteri che andrebbero a tal fine seguiti.
Ad ogni modo, deve evidenziarsi la portata innovativa della pronuncia in esame, la quale conferma la disponibilità della giurisprudenza costituzionale tedesca a ripensare – ove necessario – anche postulati profondi del diritto privato, mantenendosi fedele a una linea interpretativa che pone gli istituti giuridici al servizio della persona e dei suoi diritti, e non viceversa. Al contempo, la pur contingente apertura alla “multigenitorialità” compiuta dal Bundesverfassungsgericht rappresenta, anche nell’ottica del diritto europeo, un importante contributo alla riflessione su un tema, quello appunto della possibile struttura non dualistica del rapporto di filiazione, che altrove ha già conosciuto significative epifanie – si pensi all’esperienza nordamericana, a quella canadese, e segnatamente della British Columbia e dell’Ontario, o a quella cubana, a seguito della recente emanazione del Codice delle famiglie.