La Germania allenta il “freno al debito”: prime considerazioni sulla svolta costituzionale
Diversamente da quanto sembrava pronosticabile durante la recente campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, CDU, CSU, Verdi e SPD hanno raggiunto un compromesso per riformare le norme costituzionali sul freno al debito (Schuldenbremse).
L’accelerazione del percorso di riforma delle regole di finanza pubblica è derivata dalla necessità di garantire rapidamente un nuovo governo di stampo centrista, che escluda una collaborazione anche sporadica con il partito di estrema destra Afd (sulla formazione del governo Merz, v. Raffeiner). La scelta obbligata per il primo partito (i cristiano-democratici) era la ricerca di un accordo con i socialdemocratici, ma si è reso evidente che il patto, per essere appetibile dalla Spd, avrebbe dovuto contemplare una manutenzione della costituzione finanziaria o, quantomeno, un’autorizzazione con legge costituzionale per la costituzione di fondi straordinari.
Il cambio di prospettiva sulle regole di bilancio deriva, altresì, dalla volontà di far fronte alle tensioni geopolitiche e alla stagnazione dell’economia tedesca degli ultimi due anni, anche per l’evidente impossibilità di seguire fedelmente le regole dell’articolo 115 della Legge fondamentale senza ricorrere allo scostamento di bilancio per “calamità naturali” o “situazioni eccezionali di emergenza che sfuggano al controllo dello Stato e compromettano gravemente le finanze pubbliche” (sulle vicende che sono seguite alla sentenza del 15 novembre 2023, se si vuole, v. Musso).
In seguito agli accordi di coalizione fra i tre partiti e all’assenso dei Verdi, quest’ultimo non facente parte della maggioranza governativa, il 18 marzo 2025 la plenaria del Bundestag ha approvato la riforma costituzionale in esame; poi, il 21 marzo il Bundesrat ha, a sua volta, dato il via libera al provvedimento. Il così denominato Schuldenpaket contiene tre modificazioni agli articoli 109, par. 3, e 115, par. 2, della Legge fondamentale.
In primo luogo, si stabilisce un’esenzione dal freno al debito delle spese del Bund per la difesa, per la protezione civile, per i servizi di intelligence, per la protezione dei sistemi informatici e per l’assistenza agli Stati aggrediti in violazione del diritto internazionale (si tratta di un chiaro riferimento agli aiuti per l’Ucraina), le quali superino l’1% del PIL. In altre parole, le spese eccedenti la citata soglia non sono considerate nell’ammontare dell’indebitamento federale. È da notare che la casistica delle spese ammesse all’esenzione è aumentata nel corso dell’esame parlamentare, in quanto la proposta originaria presentava il solo riferimento alle spese per la difesa.
In secondo luogo, resta la possibilità di indebitarsi nella misura dello 0,35% del PIL per la federazione, ma questa opzione è estesa anche ai Länder. La medesima norma afferma che la distribuzione fra i singoli stati del volume del debito autorizzato avviene con una legge federale, approvata dal Bundesrat. La parificazione tra Bund e Länder in materia di indebitamento risolve una disparità sorta con la Föderalismusreform II nel 2009, già criticata negli anni passati per la penalizzazione di enti che non sono assimilabili alle regioni, godendo i Länder della Landesstaatlichkeit, ossia della statualità (sulla compatibilità fra la riforma del freno al debito del 2009 e il principio dello Stato federale, v. le riflessioni di Losurdo).
In terzo luogo, si consente, con l’inserimento nel testo del Grundgesetz del nuovo articolo 143h, la creazione di un fondo speciale per finanziare gli investimenti nelle infrastrutture, anch’esso escluso dalla Schuldenbremse. Il fondo potrà essere dotato di autorizzazioni di credito per un ammontare massimo di 500 miliardi di euro, la cui durata non potrà superare i dodici anni. La disposizione specifica, inoltre, che vige il principio di addizionalità, quindi gli investimenti sono finanziabili dal fondo solo se nel bilancio ordinario, nell’anno finanziario di riferimento, “viene raggiunta una quota di investimento adeguata”. Nel nuovo articolo 143h, inoltre, la riforma aggiunge che è possibile trasferire 100 miliardi per finanziare il fondo per il clima e la trasformazione ecologica (Energie- und Klimafonds, EKF), per superare i problemi di finanziamento sorti in seguito alla sentenza del 15 novembre 2023 (per approfondimenti sulla sentenza, volendo, v. Musso). Da ultimo, si stabilisce che altri 100 miliardi potranno essere utilizzati dai Länder per investimenti nelle loro infrastrutture.
Le novità introdotte e il modo con cui la riforma è stata votata inducono a sviluppare alcune considerazioni sul tema.
Le modalità di approvazione della modifica costituzionale sono state insolite poiché il voto parlamentare è avvenuto dopo le elezioni federali del 23 febbraio 2025, ad opera del Bundestag precedente al rinnovo (per un focus sugli snodi politici dell’approvazione della riforma, v. De Petris). Dalle dichiarazioni di rappresentanti del mondo politico, emerge che la scelta di votare immediatamente la riforma è dipesa da ragioni di politica costituzionale perché nel nuovo Bundestag, entrato in funzione il 25 marzo 2025, opererebbe una minoranza di blocco, superiore a un terzo dei voti, composta dalle estreme di destra (Afd) e sinistra (Die Linke). L’obiezione che ha mosso i critici di questa operazione si rifà alla tesi della deminutio dei poteri degli organi in prorogatio derivante dalla perdita di legittimità dei membri dell’organo rinnovato. In tale senso, il principio di continuità non giustifica l’adozione di decisioni prese a maggioranze rafforzate che vincolino il Parlamento in entrata (Bella). Tale tesi, però, non ha convinto il Bundesverfassungsgericht – chiamato ad esprimersi sulla convocazione del “vecchio” Bundestag da vari ricorsi d’urgenza presentati da membri del Parlamento del 20° e del 21° Bundestag, nonché dai gruppi parlamentari Die Linke e Afd, contrari alla riforma – il quale ha riconosciuto la piena titolarità delle funzioni del Bundestag eletto nel 2021, in virtù del principio di continuità, fino all’insediamento del nuovo, salvo affermare che i parlamentari eletti nella nuova legislatura avrebbero potuto interrompere l’attività dell’organo uscente, se almeno un terzo dei deputati neoeletti avesse richiesto una convocazione ufficiale del nuovo Parlamento, ai sensi dell’articolo 39, comma 3, Legge fondamentale; fatto che non è avvenuto nel caso in esame (Decisioni del 13 marzo 2025 – 2 BvE 2/25, 3/25 e 5/25). Secondo alcuni commentatori, tuttavia, la posizione espressa dal Tribunale costituzionale sul quorum di un terzo dei membri del Parlamento (v., nella specie, nella decisione 2 BvE 2/25) per richiedere la convocazione della sessione al Presidente del Bundestag non sarebbe convincente, essendo il diritto di autoconvocarsi soggetto alla regola generale della maggioranza semplice (articolo 42, par. 2, Legge fondamentale; sulla questione, v. Menéndez).
A parte le questioni procedurali, le nuove norme costituzionali sanciscono de jure l’allontanamento della Germania da una visione forte del principio di pareggio del bilancio, ritenuto inadatto alla nuova realtà economica internazionale. Se negli anni passati l’“ossessione” della Germania per la Schuldenbremse poteva illudere che le regole fiscali potessero essere considerate parte dell’identità costituzionale della Germania – tra i sostenitori di questa posizione vi è Menéndez, secondo il quale il freno al debito “became part of the material constitutional identity of the German state in the Merkel years” -, la riforma del marzo 2025 è una conferma che i principi della costituzione finanziaria sono soltanto uno strumento dei fini dello Stato, questi sì considerabili come costitutivi dell’identità costituzionale, fra i quali risultano per lo stato tedesco il principio dello Stato sociale e dello Stato federale, ai sensi dell’articolo 79, par. 3, della Legge fondamentale. Lo stesso susseguirsi delle riforme della Finanzverfassung nella storia costituzionale tedesca (su cui, Saitto, Raffiotta) dimostra che il pareggio di bilancio assume declinazioni diverse in armonia con le diverse visioni dell’economia e degli obiettivi che le classi dirigenti intendono perseguire.
Quanto agli obiettivi, la riforma costituzionale non può leggersi disgiuntamente dal contesto europeo. Negli ultimi mesi è emersa la volontà dei Paesi membri della Ue di incrementare le capacità di difesa dei propri eserciti, nello scenario di un possibile ritrarsi della Nato e degli Usa nella difesa del continente europeo (sul piano soprannominato Readiness 2030, v. Sammartino; in particolare sugli strumenti finanziari del piano v., criticamente, Volpi). Tra le risposte a livello eurounitario, vi è anche la comunicazione della Commissione europea (Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2025) con cui ha proposto l’attivazione della national escape clause del Patto di stabilità e crescita, che consente una deviazione dal percorso concordato di riduzione della spesa netta “nel caso in cui circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro abbiano rilevanti ripercussioni sulle sue finanze pubbliche, a condizione che tale deviazione non comprometta la sostenibilità di bilancio nel medio termine” (articolo 26, Regolamento UE n. 2024/1263). Durante il periodo di vigore della clausola di salvaguardia, il Consiglio e la Commissione potranno decidere di non portare a termine la procedura per deficit eccessivi se lo sforamento del rapporto deficit/PIL oppure la deviazione dal percorso di spesa netta derivi da un aumento delle spese militari, sia per investimenti sia per spese correnti. Il 29 aprile la Germania ha prontamente richiesto l’attivazione della clausola per il periodo 2025-2029 (Carli).
La riforma costituzionale recepisce a livello nazionale la maggiore flessibilità di bilancio in materia di difesa, anche se in termini differenti. La “sfasatura” di linguaggio deriva dall’introduzione a livello eurounitario del nuovo parametro della spesa netta primaria (sulla riforma del PSC, v. Bartolucci, Chessa, Guazzarotti). Nulla quaestio dal punto di vista delle spese militari, dunque. Tuttavia, come notato dal centro di ricerca Bruegel, a causa delle menzionate fiscal rules europee, non è certo che la Germania possa usufruire dello spazio fiscale espansivo del fondo per le infrastrutture.