Le procedure “Paesi sicuri” tra potere politico e giurisdizionale. Note alle pronunce della Cassazione del dicembre 2024
Questo breve scritto intende commentare le decisioni della Corte di cassazione del dicembre 2024, che hanno affrontato il delicato tema del ruolo del giudice e della politica nella designazione dei c.d. Paesi sicuri (cfr. Cass., sez. I, sent. 19.12.2024, n. 14533; Cass., sez. I, ord. 30.12.2024, n. 22146).
Le sentenze sono state al centro del dibattito pubblico che ne ha proposto letture contradditorie e talvolta fuorvianti, ponendo in particolare l’accento sullo “scontro” tra il Governo e la Magistratura, accusata di intervenire al solo fine di contraddire le politiche della maggioranza in materia di immigrazione.
Al fine di fare chiarezza, prima di commentare le motivazioni delle decisioni, è opportuno delineare brevemente il quadro normativo e il contesto giurisprudenziale in cui si inseriscono.
Riguardo al contesto normativo, occorre ricordare che può essere considerato “sicuro”, ai sensi del diritto dell’UE, un Paese dove non vi siano «generalmente e costantemente persecuzioni» (art. 37 e allegato I, dir. 32/2013/UE, v. anche artt. artt. 61 e 62 del reg. 2024/1348/UE applicabile dal 2026). A livello interno, la designazione della lista dei Paesi sicuri, è stata prevista da un decreto interministeriale, almeno sino alla recente entrata in vigore del d.l. 158 del 2024 e del d.l. n. 145 del 2024 (conv. con l. n. 187 del 2024). La designazione di un Paese quale sicuro ha delle precise conseguenze procedurali. Le persone che provengono da un Paese sicuro possono essere, previa convalida, trattenute alle condizioni di cui all’art. 6 bis del d.lgs. 142/2015 sia in Italia, sia in Albania (art. 3, comma 3, l. 14/2024) e parallelamente soggette a procedure “accelerate” di riconoscimento della protezione (art. 28 bis, d.lgs. n. 25/2008), contraddistinte da una presunzione di non fondatezza della domanda e da termini ridotti, sia nella prima fase amministrativa (dove non è prevista la presenza di un legale), sia in quella giurisdizionale.
Per quanto riguarda il contesto giurisprudenziale, è utile sottolineare che le pronunce della Cassazione in commento rispondono a due precisi interrogativi già sollevati dai giudici ordinari – solo in parte risolti dalla sentenza della CGUE del 4 ottobre 2024 – che attengono all’ammissibilità del potere del giudice di sindacare la designazione, compiuta dal Ministero, di un Paese quale sicuro, nonché del giudice ordinario di disapplicare il D.M. contenente la lista dei Paesi sicuri, ove ritenga tale scelta illegittima.
Con la sentenza del 19 dicembre 2024 (Cass., sez. I, sent. 19.12.2024, n. 14533), la Cassazione risponde ad un rinvio pregiudiziale civile (art. 363-bis c.p.c.) promosso dal Tribunale di Roma che, alla luce della coesistenza di due orientamenti contrastanti tra le Sezioni specializzate domandava se «il giudice ordinario sia vincolato alla lista dei Paesi di origine sicura approvata con il D.M., o se il giudice debba (..) comunque valutare se il Paese incluso nell’elenco dei “Paesi di origine sicuri” sia effettivamente tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia» (Trib. Roma, ord. 01.07.2024, n. 22259).
Tale interrogativo si era posto alle Sezioni specializzate nel corso di giudizi concernenti prevalentemente richiedenti provenienti dalla Tunisia, Paese il cui livello di sicurezza è mutato nel corso degli ultimi anni. Alcune Sezioni hanno ritenuto la valutazione della sicurezza di un Paese una scelta strettamente riservata ai Ministeri competenti (Trib. Milano, decr. 1.12.2023 e 6.5.2024); al contrario, altri Tribunali hanno sindacato in giudizio la designazione ministeriale, disapplicando il D.M. alla luce della sussistenza di un contrasto tra la situazione della Tunisia e i canoni di sicurezza previsti dalla dir. 32/2013/UE (Trib. Firenze, decr. 20.9.2023 e 26.11.2023).
La Cassazione, con la sentenza in commento, ha risolto tale “contrasto” giurisprudenziale con argomentazioni solide ed equilibrate.
Anzitutto la Corte delinea i confini del potere giurisdizionale e di quello politico in materia.
La politica deve svolgere un ruolo «a monte»: il Ministro degli Affari esteri, di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia, ha «il potere di stilare una lista di Paesi di origine sicuri per richiedenti protezione internazionale», potere che ricomprende «la scelta di inserire o meno un determinato Paese, che soddisfi i requisiti previsti dal legislatore» (par. 13). Ciò non significa, tuttavia, che tale scelta non sia giustiziabile, poiché il D.M. che individua i Paesi di origine sicuri non è – secondo la Cassazione – un atto politico «fuori dal diritto e dalla giurisdizione» (par. 13). Di conseguenza i giudici, pur non potendo evidentemente sostituirsi alle valutazioni del Ministero, detengono il compito di verificare la sussistenza in concreto dei criteri, normativamente predefiniti, che consentono di qualificare un Paese come sicuro, quali «garanti dell’effettività, nel singolo caso concreto, dei diritti fondamentali» (par. 4).
L’ammissibilità del sindacato giurisdizionale in materia – precisa la Corte di cassazione – costituisce una soluzione che discende peraltro “de plano” (par. 15) dalla sentenza della CGUE del 4 ottobre 2024, la quale ha affermato il potere del giudice di sindacare, anche d’ufficio, la designazione di un Paese quale sicuro, in forza del dritto al ricorso effettivo (art. 47 CDFUE) e al dovere istruttorio (art. 46 della dir. 32/2013/UE) che impone al giudice di esaminare in modo completo ed ex nunc gli elementi di fatto e di diritto alla base della procedura.
La Corte di cassazione, tuttavia, non si ferma al richiamo dei principi espressi dalla CGUE, ma specifica ulteriormente i confini del sindacato del giudice sulla designazione di un Paese quale sicuro, distinguendo due ipotesi.
La prima ipotesi riguarda il caso in cui la sicurezza del Paese di origine è contestata per rilievi di ordine generale. In tal caso, le ragioni a sostegno della domanda non riguardano una situazione individuale, ma generale appunto, concernente intere categorie di cittadini o zone di quel dato Paese. Di fronte a questa prima ipotesi, il giudice può procedere alla disapplicazione del D.M. nel caso in cui dimostri un contrasto manifesto tra la designazione del Paese di origine quale “sicuro” e i criteri di cui all’allegato I della dir. 32/2013, nonché ritenga che tale designazione rivesta un carattere rilevante e decisivo nell’ambito della controversia, avendo un impatto sulla concreta tutelabilità del diritto invocato in giudizio (par. 21.1).
La seconda ipotesi concerne il caso in cui il richiedente abbia invocato in giudizio «gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la sua situazione particolare», come prevede il comma 5 dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 25/2008. Pertanto, come previsto dalla predetta norma, l’invocazione di elementi “individuali” e non relativi alla situazione generale del Paese determina di per sé il superamento della presunzione di sicurezza e «non richiede la disapplicazione del decreto ministeriale» (par. 21.2).
Qualche giorno dopo la sentenza appena commentata, la Cassazione è intervenuta nuovamente sul tema (Cass., sez. I, ord. 30.12.2024, n. 22146), pronunciandosi sul ricorso avverso l’ordinanza del 18 ottobre 2024 del Tribunale di Roma che non aveva convalidato i trattenimenti dei primi richiedenti diretti in Albania.
Pur decidendo di rinviare a nuovo ruolo con un’ordinanza interlocutoria, in attesa della decisione della CGUE sui numerosi rinvii pregiudiziali promossi dai giudici italiani su casi analoghi (ex multis Trib. Firenze, ord. 15.05.2024 e ord. 15.05.2024; Trib. di Bologna, ord. 24.10.2024; Trib. Roma, ord. 11.11.2024, n. 46690; Trib. Palermo, ord. 06.11.2024, nn. 763 e 764), la Cassazione non manca l’occasione di esprimersi su due aspetti molto discussi a seguito dell’ordinanza impugnata.
In primo luogo, la Corte chiarisce che anche il giudice della convalida (e non solo quello competente per le procedure di asilo) è titolare del «potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo Paese di origine tra quelli sicuri, ove esso contrasti in modo manifesto con la normativa europea e la legge italiana».
In secondo luogo, la Corte di cassazione affronta il tema della compatibilità con il diritto UE della designazione dei Paesi sicuri con eccezioni di categorie di persone. Secondo il Collegio tale aspetto, non essendo stato affrontato dalla CGUE del 4 ottobre 2024, non può dirsi di per sé contrario al diritto Ue. Un margine di sindacato giurisdizionale sulla designazione di Paesi di origine sicuri con eccezioni personali residuerebbe solo in «ipotesi limite» (par. 17.3), ovvero in casi in cui il giudice non si trovi di fronte a mere “eccezioni personali”, quanto piuttosto a «persecuzioni costanti, endemiche o generalizzate» (par. 17.2).
Si tratta di due punti di rilievo poiché numerose disapplicazioni sono avvenute e continuano ad avvenire proprio in giudizi di convalida di trattenimenti, in Italia e in Albania, nonché nei confronti di cittadini provenienti da Paesi, come il Bangladesh e l’Egitto, designati sicuri con eccezioni di categorie di persone (es. comunità lgtq+).
In sintesi, dalle sentenze commentate emerge che i giudici competenti per le procedure accelerate o per la convalida dei trattenimenti nell’ambito delle medesime procedure sono legittimati a disapplicare il D.M. “Paesi sicuri”, solo nel caso in cui la designazione:
- rilevi per motivi di ordine generale;
- abbia carattere rilevante (ovvero sia oggetto delle contestazioni del richiedente) e decisivo (ovvero sia tale da poter determinare il rigetto della domanda);
- contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione previsti dall’art. 2-bis del d.lgs. n. 25/2008 e dall’art. 37 della dir. 2013/32/UE e del suo allegato I e sia decisiva ai fini dell’esito del procedimento.
- metta in luce la presenza di persecuzioni endemiche, tali da costituire una ipotesi limite.
Queste precise indicazioni non sembrano essere state valorizzate nei giudizi successivi. Bisogna segnalare però che, nel frattempo, la lista dei Paesi sicuri è stata codificata in una fonte di rango primario (d.l. n. 145 del 2024, conv. con l. n. 187 del 2024), superando così il contesto normativo a cui facevano riferimento le sentenze della Cassazione.
I giudici che, a partire dal gennaio del 2025, si sono trovati a confrontarsi con il nuovo decreto-legge “Paese sicuri” non sembrano aver limitato il proprio sindacato a sole ipotesi limite, impegnandosi a dimostrare il contrasto manifesto con i criteri della direttiva, il carattere rilevante o decisivo della designazione. Piuttosto, i giudici hanno essenzialmente fondato le loro decisioni ancora una volta sui principi espressi dalla CGUE nella sentenza del 4 ottobre del 2024, agendo secondo i rimedi propri del rapporto tra diritto UE e fonti interne di rango primario: la disapplicazione, nei casi in cui hanno ritenuto di trovarsi di fronte ad un contrasto con i principi Ue ad effetto diretto (il diritto al ricorso effettivo), il rinvio pregiudiziale, nei casi di questioni interpretative del diritto UE (es. casi di designazione di Paesi sicuri con eccezioni personali), tralasciando invece – forse inopportunamente come si dirà – il rimedio della questione di costituzionalità.
Così, solo pochi giorni dopo le sentenze della Cassazione il Tribunale di Catania ha disapplicato il decreto legge in un caso riguardante un cittadino proveniente dall’Egitto (Trib. di Catania, 4 gennaio 2025, n. 60), mentre la Corte di appello di Roma non ha convalidato il trattenimento di 49 persone dirette in Albania, provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto, proponendo rinvio pregiudiziale alla CGUE (Corte app. Roma, 31.01.2024, n. 478).
Il sistema di garanzia giurisdizionale dei diritti è oggi «improntato a un concorso di rimedi» tra i quali «il sindacato accentrato di costituzionalità non si pone in antitesi con un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo, ma con esso coopera nella costruzione di tutele sempre più integrate» (C. cost. sent. 1 del 2025). Pertanto, i giudici ordinari, come la stessa Corte di cassazione, avrebbero ben potuto valutare, in luogo della disapplicazione e del rinvio pregiudiziale, un’altra strada, quella della proposizione di una questione di costituzionalità, trattandosi di questioni con chiaro «tono costituzionale» (C. cost. sentt. 181 del 2024, 1 del 2025), che coinvolgono diritti sanciti non solo dal diritto UE, ma anche dalla Costituzione italiana, come il diritto al ricorso effettivo (art. 47 CDFUE, art. 24 Cost.) o il diritto d’asilo (art. 18 CDFUE, art. 10, comma 3 Cost.).
Tale strada avrebbe avuto il vantaggio di andare “oltre” alla soluzione del singolo caso concreto, ed eventualmente, di ottenere, in caso di declaratoria di incostituzionalità, una pronuncia della Corte costituzionale con efficacia erga omnes; non solo, tale strada avrebbe potuto consentire alla stessa Corte costituzionale «di disporre eventualmente, essa, il rinvio pregiudiziale, in caso di rilievo costituzionale assoluto» (N. Zanon, 2024), uniformando e rafforzando i vari e non sempre efficaci quesiti pregiudiziali posti dai giudici ordinari.
Qualche certezza in più sui confini del sindacato del giudice in materia si potrà sicuramente cogliere grazie all’imminente decisione della CGUE sui plurimi rinvii pregiudiziali dei tribunali italiani (e non solo), che sarà discussa nell’udienza fissata per il 25 febbraio 2025.
Con tutta probabilità nemmeno l’attesa sentenza della CGUE costituirà l’ultimo tassello di questa vicenda, visto che il Governo ha già palesato l’intenzione di presentare un nuovo decreto legge volto, fra l’altro, ad abrogare ogni riferimento alle procedure “Paesi sicuri” dalla legge di ratifica del protocollo Italia-Albania (l. 14 del 2024, cfr. Intervento del 12 febbraio 2015 del Ministro Piantedosi alla Camera dei Deputati), rendendo così (non dis)“applicabile” la disciplina e consentendo, una volta per tutte, l’avvio del progetto albanese. Vedremo se vi sarà ancora spazio per una questione di costituzionalità.