Parlamento Europeo v. Commissione sul caso Ungheria. Le prospettive di una tutela integrata dello stato di diritto attraverso la leva del bilancio UE

1. Lo scorso marzo il Parlamento europeo ha proposto un ricorso contro la decisione della Commissione di procedere allo sblocco di una parte dei fondi di coesione destinati all’Ungheria. Si tratta di 10,2 miliardi di euro che erano stati negati originariamente allo Stato membro per la carente tutela dello stato di diritto. Rispetto a tale decisione, lo scorso dicembre la Commissione ha ritenuto di poter procedere allo sblocco di una parte dei fondi in virtù dell’approvazione di una riforma tesa a rafforzare l’indipendenza giudiziaria e a diminuire le possibilità di interferenza politica nei tribunali, ritenuta conforme alle richieste dell’Unione allo Stato ungherese sulla materia. Ad avviso dei deputati, tali interventi normativi sarebbero ampiamente insufficienti e la decisione avrebbe configurato una forma velata di scambio, data la contestuale minaccia da parte del primo ministro Orbán di porre il veto sugli accordi chiave sull’Ucraina. La Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha proceduto nella direzione indicata dal Parlamento, presentando il ricorso entro il termine del 25 marzo, secondo la procedura dell’articolo 149 del Regolamento del Parlamento europeo.

2. L’azione riguarda lo sblocco di circa un terzo dei finanziamenti UE (provenienti dai canali dei fondi di coesione e da quelli attivati in risposta alla crisi pandemica) che erano stati originariamente congelati per la violazione da parte dell’Ungheria dello stato di diritto, con particolare riguardo all’indipendenza del giudiziario, al trattamento degli immigrati irregolari e alle norme discriminatorie legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Nella prospettiva della presidente della Commissione europea lo sblocco parziale sarebbe stato giustificato dalle riforme parzialmente compiute, mentre l’erogazione dei restanti 20 miliardi risulterebbe subordinata alle riforme necessarie a risolvere i residui profili di violazione.
A partire dal 2021 il bilancio dell’Unione Europea ha una protezione nei confronti di violazione dello stato di diritto o di azioni che possano mettere a rischio l’interesse finanziario dell’Unione. Si tratta di un regolamento sulla condizionalità che consente all’Unione di adottare delle misure, quali la sospensione dei pagamenti o la rimodulazione finanziaria a protezione dei propri stanziamenti.
Il finanziamento complessivo congelato all’Ungheria si divide in tre macro-aree: 5,8 miliardi per l’implementazione nazionale del Recovery and Resilience Fund, 22,6 miliardi dei fondi di coesione e 223 milioni di euro degli Home Affairs Fund. La peculiarità della sospensione è che ognuno di questi canali prevede delle procedure diverse per la concessione o il blocco del finanziamento. Quanto ai primi, gli stessi sono stati sospesi sulla base delle 27 milestones individuate dalla Commissione Europea il 30 novembre 2022 da conseguire prima che possa essere concesso il finanziamento dell’Ungheria attraverso il RRF. Maggiormente complesso è il caso dei fondi di coesione. Difatti, tra questi è necessario operare ulteriori distinzioni. Una parte di questi (6,3 miliardi di euro) sono stati bloccati dal Consiglio nel dicembre del 2022 attraverso una decisione che ha applicato il rule of law conditionality mechanism introdotto da Regolamento appena menzionato. Con tale decisione sono stati bloccati la maggior parte (55%) dei finanziamenti attribuiti all’Ungheria all’interno di tre programmi dell’Unione, “Environmental and Energy Efficiency Plus”, “Integrated Transport Plus” e “Territorial and Settlement Development Plus”. Come nei precedenti relativi all’RFF, anche questi stanziamenti sono tutt’ora bloccati. Delle restanti assegnazioni relative alle politiche di coesione, 3,4 miliardi sono bloccati per violazioni di tre condizioni abilitanti sollevate in altrettante controversie tra la Commissione e l’Ungheria. Sono ipotesi di mancato rispetto di requisiti essenziali della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea relativamente alla protezione dei bambini (determinata dalle norme ungheresi anti-Lgbtq+), alla tutela dell’indipendenza universitaria e al trattamento riservato ai richiedenti asilo. L’assenza di ognuno di questi requisiti blocca una percentuale del finanziamento differente e potrebbe essere sanato solo attraverso interventi specifici destinati a risolvere le singole questioni. Infine, uno stanziamento di 12,9 miliardi dei fondi era collegato esclusivamente all’implementazione di riforme del sistema giudiziario ed è quello su cui la Commissione è intervenuta maggiormente nella decisione di “sblocco” del dicembre 2023 (oltre ad una parte degli Home Affairs Funds di complessa individuazione).

3. I parlamentari europei hanno ritenuto che gli interventi sul sistema giudiziario ungherese siano da considerare ampiamente insufficienti al ripristino dello stato di diritto, derivandone l’illegittimità della decisione di sbloccare. Da un punto di vista della domanda giudiziaria, i ricorrenti perseguono l’obiettivo di ottenere una decisione da parte della Corte di revoca della decisione di dicembre di concedere i finanziamenti. Il ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sembra, tuttavia, dare a tale organo un’opportunità di chiarire il legame tra i finanziamenti europei e la tutela del principio democratico.
La risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 18 gennaio 2024, con cui è stato avviato l’iter della causa, considera come assodate le multiple violazioni da parte dell’Ungheria dei valori racchiusi nell’articolo 2 TUE. Questa è ritenuta sussistente in relazione a molteplici profili: la tutela legale di diversi gruppi di persone vulnerabili (donne, LGBTIQ+, Rom, immigrati, richiedenti asilo e rifugiati) è considerata come peggiorata negli ultimi anni, configurandosi una violazione di diritti fondamentali aggravata dall’assenza di istituzioni indipendenti capaci di garantirne la tutela. A tale profilo, la violazione dello stato di diritto è riscontrata anche nell’assenza di autonomia dei media (aggravata dalla riforma adottata nel Dicembre 2023), nella legislazione lavoristica e nell’adozione di norme che contribuirebbero al degrado ambientale del Paese. Rispetto al profilo dell’indipendenza giudiziaria, la riforma adottata nel maggio 2023 è considerata insufficiente, anzitutto perché non interviene nelle possibilità di designazione politica dei più alti livelli del sistema giudiziario del Paese. Un giudizio critico sul rispetto dei valori dell’UE che è stato ribadito nella risoluzione approvata lo scorso 24 aprile. Ad essere oggetto di tale ultima censura sono la recente legge sulla protezione della sovranità nazionale e, in particolare, l’istituzione di un Ufficio per la protezione della sovranità, dalla stessa disposto, cui sono attribuiti poteri ritenuti inconciliabili con il normale funzionamento dello stato di diritto nei contesti democratici.
A sostegno di tali considerazioni si rammentano alcune delle recenti decisioni della Commissione che nel dicembre 2023 è intervenuta a rivalutare, protraendo il blocco dei finanziamenti, sia la decisione di applicare il rule of law conditionality mechanism, sia i residui profili di insussistenza delle condizioni abilitanti, con l’eccezione di quello relativo all’indipendenza del giudiziario. A fronte di una crescente trasformazione dell’Ungheria in un “regime di autocrazia elettorale”, la decisione di concedere questo parziale finanziamento da parte della Commissione è ritenuta, nella prospettiva del Parlamento, contraddittoria. Questo, anzitutto, per la debolezza della riforma adottata nel garantire tutele del sistema giudiziario rispetto all’influenza politica, con particolare riguardo alla presenza di ostacoli alla presentazione di rinvii pregiudiziali e all’allocazione dei casi e alla nomina del Presidente della Kúria. Profili che, ad avviso del Parlamento, la Commissione avrebbe dovuto considerare attraverso una valutazione approfondita degli effetti della riforma del sistema giudiziario così come di fatto operante nel corso di un ragionevole tempo. Inoltre, la natura stessa del governo del Paese impedisce l’adozione di adeguati meccanismi di assegnazione e distribuzione dei finanziamenti europei, rendendo impossibile una gestione di fondi UE adeguata ai parametri richiesti dalle norme sul bilancio dell’Unione. I profili discriminatori e le legislazioni diffusamente censurate renderebbero impossibile la garanzia di un’equa distribuzione dei finanziamenti tra i potenziali beneficiari, così come l’assenza di organismi indipendenti e le limitazioni all’indipendenza dei media ostacolano forme credibili di controllo nella loro gestione.
Proprio in virtù di tale nesso, il Parlamento considera come necessario che le decisioni relative alla concessione di finanziamenti europei in rapporto alla tutela dello stato di diritto nel Paese beneficiario siano, nonostante la pluralità dei canali precedentemente sottolineata, trattate in maniera integrata. Difatti, l’assenza delle condizioni minime valide ad assicurare in uno Stato membro la tutela dello stato di diritto in una singola delle aree interessate risulta determinare una carenza complessiva del sistema, rendendo impossibile un adeguato superamento dei residui profili.

4. L’esito della procedura risulta essere di complessa prognosi per gli stessi ricorrenti. Questo, anzitutto, per la limitatezza della casistica relativa all’applicazione del rule of law conditionality mechanism, specie se collegata ad un ricorso tra istituzioni europee. L’unico precedente direttamente applicabile riguarda l’azione proposta nell’ottobre del 2021 dal Parlamento Europeo avverso la Commissione per la mancata applicazione del meccanismo nei confronti della Polonia e dell’Ungheria. In tale caso, tuttavia, la Commissione Europea, ancor prima delle pronunce della CGUE (C-156/21 e C-157/21) sulla regolarità del regolamento istitutivo, aveva adottato azioni volte a verificare il rispetto dello stato di diritto nei Paesi interessati ed il ricorso era stato, conseguentemente, superato.
Il meccanismo di condizionalità si fonda sullo stato di diritto come valore comune agli Stati Membri, così come concepito dall’art. 2 del TUE. Il contenuto di tale principio è derivabile, in assenza di una catalogazione esplicita dei parametri utili a comporlo nei Trattati, attraverso le sentenze sulla materia della Corte di Giustizia e della Corte EDU, oltre che attraverso la documentazione preparatoria del Consiglio d’Europa. Il collegamento con il bilancio dell’Unione era stato parzialmente introdotto già nel percorso di approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale del 2018. Il Regolamento sulla condizionalità in seguito adottato, innova anche nel fornire una definizione della “rule of law” sulla base dei suoi contenuti essenziali (art. 2): “In esso rientrano i principi di legalità, in base alla quale il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico; certezza del diritto; divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; tutela giurisdizionale effettiva, compreso l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali; separazione dei poteri; non- discriminazione e uguaglianza di fronte alla legge”. Soprattutto, è esplicito nell’affermare come la valutazione circa il rispetto dello Stato di diritto debba necessariamente essere effettuata alla luce di una valutazione complessiva degli altri valori e principi dell’Unione contenuti nell’art. 2 TUE. Da tale definizione sono, quindi, derivate (art. 3) alcune situazioni e circostanze da considerarsi come “indicative” della sussistenza di una violazione, ipotesi che per stessa definizione sono da considerarsi non esaustive delle modalità di infrazione configurabili.
Lo strumento è complementare rispetto alle altre procedure già presenti nella gestione delle voci di bilancio dell’Unione. L’adozione delle misure restrittive deve avvenire secondo il principio di proporzionalità e la valutazione da parte della Commissione deve considerare la natura, durata, gravità ed ampiezza delle violazioni dello stato di diritto. Il Regolamento sulle disposizioni comuni che disciplina le modalità di gestione ordinaria dei fondi di coesione contiene delle ipotesi di intervento da parte dell’Unione sul finanziamento, ma non è specificamente destinato alle ipotesi di violazione dello stato di diritto. Tuttavia, un collegamento può essere ravvisato nella configurazione del rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea come condizione abilitante l’accesso ai finanziamenti, comprensiva del rispetto dei principi sovra esposti, così come degli strumenti di tutela del sistema giudiziario, esplicitati nell’articolo 47 della stessa.
L’azione proposta dal Parlamento Europeo richiama, inoltre, l’idea dello stato di diritto come struttura portante di ogni sistema democratico. La concezione della rule of law proposta si colloca in linea con il modo in cui la CGUE ha concepito la tutela del principio democratico nel contesto dell’Unione (si v. ad es. C-502/19, Junqueras Vies). Una posizione che trova un riferimento proprio nelle sentenze con cui la Corte ha asserito la validità del rule of law conditionality mechanism rispetto alle contestazioni mosse dall’Ungheria e dalla Polonia ((C-156/21 e C-157/21).
Data tale ricostruzione, le motivazioni introdotte dal Parlamento per ritenere non sufficiente l’adozione della riforma giudiziario dell’Ungheria ai fini dello sblocco del finanziamento sembrerebbero collocarsi in una linea di difesa dello stato di diritto che trova delle fondamenta solide nel sistema del diritto UE. A prescindere dalla valutazione sull’adeguatezza della riforma in sé, il ricorso sembra meritoriamente sottolineare come il rispetto dello stato di diritto in quanto fondamento del sistema democratico non possa essere frutto di una valutazione per comparti separati, elemento che è esplicito nel Regolamento sul meccanismo di condizionalità, ma che deriva anche dalla natura di condizione abilitante che assume nel sistema dei fondi di coesione. La riforma giudiziaria copre, quindi, solo una parte delle problematiche sollevate dalla stessa Unione riguardo il rispetto del principio democratico in Ungheria. Né d’altronde, le stesse tutele giudiziarie possono essere assicurate in un contesto in cui i poteri di nomina delle principali istituzioni e degli organismi di garanzia sono concentrati nelle mani dell’esecutivo, privando l’ordinamento delle forme di pesi e contrappesi necessarie a garantirne la democraticità.
In un quadro di complessità politica e di un tentativo di messa in discussione delle istituzioni democratiche dell’Unione, il ricorso avanzato dal Parlamento Europeo, al di là dell’incerto esito giudiziario, ha, quindi, l’indubbio merito di rafforzarne la funzione di garante della democrazia dell’Unione.