Partisan e racial gerrymandering: quattro recenti sentenze della Corte Suprema americana

Il 18 giugno la Corte Suprema ha deluso le aspettative dei molti che attendevano una chiara presa di posizione nei confronti del partisan gerrymandering, sfuggente pratica che, stante la sua incertezza definitoria, viene utilizzata al fine di rafforzare artificialmente il peso elettorale di un determinato partito tramite il disegno dei collegi elettorali. La massima istanza giurisdizionale americana ha infatti evitato di pronunciarsi su due casi aventi ad oggetto la costituzionalità o meno del ridisegno delle mappe elettorali del Wisconsin e del Maryland. Nel primo caso, Gill v. Whitford, No. 16 – 1161, il Chief Justice Roberts ha definito questa tipologia di gerrymanderingan unsettled kind of claim”, rimettendo la questione della sua individuazione alle corti inferiori.  La Corte ha statuito all’unanimità che gli attori originari, i quali avevano contestato la legittimità costituzionale del redistricting plan messo a punto dalla State Assembly e dal Senate del Wisconsin (entrambi a maggioranza repubblicana), non avevano provato la lesione diretta del diritto di voto, condizione questa che li avrebbe legittimati ad agire in giudizio. I giudici hanno rinviato il caso alla corte distrettuale per permettere ai soggetti asseritamente lesi di provare l’effettivo depotenziamento del loro diritto, legandolo causalmente al modo attraverso cui il legislativo di livello statale è intervenuto nel delineare i confini dei voting districts (per una ricostruzione più dettagliata del caso e dei precedenti della Corte sul partisan gerymandering si veda Redistricting plans e partisan gerrymandering: osservazioni e precedenti in attesa della Corte Suprema sul caso Gill v. Whitford, 20 dicembre 2017, www.diritticomparati.it).
Nel secondo caso, Benisek v. Lamone, No. 17 – 333, la Corte ha unanimemente statuito a sfavore dei votanti di area repubblicana che lamentavano l’illegittimità costituzionale del piano di ridisegno del congressional district del Maryland, affermando che i ricorrenti avevano aspettato troppo a lungo per avere una statuizione che intervenisse sulla configurazione del distretto, disegnato nel 2011.
A distanza di una settimana, il 25 giugno, la Corte Suprema si è invece occupata di racial gerrymandering, categoria questa che, al contrario della precedente, poggia su solide basi giurisprudenziali e dottrinali, gettate già negli anni ‘60. Nella sentenza riguardante i due casi consolidati, Abbott v. Perez, No. 17 – 586 ed Abbott v. Perez No. 17 – 626, la maggioranza, riconducibile ai 5 giudici di area conservative, ha determinato il ribaltamento della pronuncia della corte distrettuale. Stando ai giudici di Washington, nella configurazione del congressional district e dello state legislative district del Texas, non è riscontrabile la violazione della Costituzione né del Voting Rights Act, non sussistendo alcuna discriminazione dei votanti basata sull’appartenenza etnica.
Il 28 giugno invece, nel caso North Carolina v. Covington, No. 17-1364, la Corte Suprema ha in parte confermato la decisione della corte inferiore, condividendo le censure da quest’ultima mosse alle remedial maps predisposte dallo Stato per far venir meno il già giudizialmente accertato racial gerrymandering, che penalizzava gli elettori afro – americani in alcuni distretti.
Osservando la prima pronuncia fra quelle in oggetto, Gill v. Whitford, nata dall’appello da parte del Wisconsin avverso la sentenza di una corte distrettuale federale, che aveva censurato la mappa dei collegi (disposta dopo la schiacciante vittoria dei Repubblicani nel 2010), disegnata dal legislativo. La decisione della district court era stata la prima di una corte federale in più di trent’anni a censurare una mappa a causa dell’individuazione di un incostituzionale partisan gerrymandering. Tuttavia, nella sentenza della Corte Suprema, l’attenzione si concentra sul profilo squisitamente procedurale dell’instaurazione del giudizio, come si evince dall’affermazione del giudice Roberts, secondo cui la Corte non aveva il potere di valutare o meno la sussistenza del partisan gerrymandering.
Ciò in quanto, ad un’analisi dei risultati emersi nei distretti di appartenenza, i ricorrenti originari non erano riusciti a dimostrare che il loro voto era stato intenzionalmente ed abusivamente “diluito”. Il Chief Justice ha infatti posto l’accento sul fatto che proprio il lead plaintiff viva in un “heavily democratic district”, facendo altresì valere la natura individuale del diritto tutelato: “this Court is not responsible for vindicating generalized partisan preferences (…) the Court’s constitutionally prescribed role is to vindicate the individual rights of the people appearing before it”.
Ha inoltre aggiunto che i diversi brief allegati a sostegno della lesione procurata al diritto di voto, basati su articolati modelli statistici, devono essere calibrati sull’intero Stato e non sul singolo voting district. Gli studi allegati dagli attori hanno infatti permesso l’analisi delle sole contestazioni distretto per distretto: “the plaintiffs’ partisan  gerrymandering claims turn on allegations that their votes have been diluted (…) that harm arises from the particular composition of the voter’s own district, which causes his vote – having been packed or cracked – to carry less weight than it would carry in another, hypothetical district. Remedying the individual voter’s harm, therefore, does not necessarily require restructuring all of the state’s legislative districts.”
Possiamo dire che, ponendo l’attenzione su questioni attinenti ai profili strettamente procedurali, la Corte ha finito per glissare sui problemi centrali, evitando di prendere una chiara posizione sul se la Costituzione vieti il partisan gerrymandering e, nell’ipotesi in cui lo faccia, quale sia lo standard cui devono ricorrere le corti per parametrarne i confini costituzionali.
Nella sua concurring opinion, la giudice Kagan ha messo nero su bianco uno schema su come ricorsi del genere debbano essere strutturati e presentati. A lei si sono associati gli altri giudici di area liberal: Bader Ginsburg, Breyer e Sotomayor. La giudice Kagan ha inoltre auspicato che i tribunali riescano a limitare i danni provocati dal gerrymandering: “more effectively every day, that practise enable politicians to entrench themselves in power against the people’s will (…) and only the courts can do anything to remedy the problem, because gerrymanders benefit those who control the political branches”. Ed inoltre “the need for judicial review is at its most urgent in these cases. For here, politicians’ incentives conflict with voters’ interests, leaving citizens without any political remedy for their constitutional harms”.
In una seconda concurring opinion, il giudice Thomas, al quale si è affiancato il giudice Gorsuch, si è detto d’accordo relativamente alla mancanza di legittimazione processuale degli attori, aggiungendo che sarebbe anzi stato opportuno rigettare il caso completamente, piuttosto che rinviare ad una corte inferiore e dare agli attori la possibilità di presentare prove a sostegno della loro posizione. Ma come ha detto la maggioranza: “nothing in the Court’s opinion prevents the plaintiff on remand from pursuing an associational claim, or from satisfying the different standing requirement that theory would entail”.
Spostandoci in Maryland, la Corte sostiene, in una breve opinione non firmata, che i ricorrenti si sono attivati troppo tardi e che non c’è abbastanza tempo per arrivare ad un’analisi approfondita delle questioni poste, essendo imminente la tornata elettorale del 2018. Il caso è infatti stato presentato alla Corte Suprema ad uno stadio iniziale ed è allora stato rinviato per l’istruttoria e la decisione davanti alla corte distrettuale. In breve: i votanti repubblicani sostenevano che il legislatore statale democratico avesse ridisegnato il congressional district in modo tale da penalizzare coloro che avevano a lungo sostenuto il deputato della Camera dei Rappresentanti Roscoe G. Bartlett, un repubblicano. Tale ritaglio, sostenevano gli attori, violava il First Amendment diluendo il loro voting power. Gli attori avevano scritto nel loro appello alla Corte Suprema che “the 2011 gerrymander was devastatingly effective (…) no other congressional district anywhere in the nation saw so large a swing in its partisan complexion following the 2010 census.” Mr. Bartlett aveva vinto il suo seggio nel 2010 con un margine del 28%. Nel 2012 aveva invece perso contro il deputato John Delaney con un margine del 21%.
Per la seconda volta nello stesso giorno, i giudici di Washington hanno così evitato una pronuncia sulla sussistenza di un incostituzionale partisan gerrymandering, aggirando la questione della sua problematica definizione, per ora demandata alle corti inferiori.
Il lunedì successivo invece, la Corte ha depositato una sentenza su un caso di racial gerrymandering. La sentenza Abbott v. Perez ha disposto in senso contrario rispetto alla precedente pronuncia della corte distrettuale, secondo la quale il congressional district e lo state legislative district in Texas erano contrari alla Costituzione ed al Voting Rights Act, in quanto erano stati applicati, per la loro definizione, una serie di criteri che portavano ad un esito discriminatorio per i votanti appartenenti ad una certa etnia.
La decisione di maggioranza, determinata dalla presa di posizione dei 5 giudici di area conservative, trova espressione nelle parole del giudice Alito. Secondo la sua opinione, la corte distrettuale ha commesso “a fundamental legal error” richiedendo agli state officials di giustificare il loro uso delle mappe elettorali, in quanto, per la maggior parte dei distretti, erano state disegnate dalle stesse corti.
Nella sua dissenting opinion, la giudice Santomayor ha invece affermato che l’indirizzo espresso dalla maggioranza ha determinato un giorno oscuro per i voting rights. La Costituzione ed il Voting Rights Actsecure for all voters in our country, regardless of race, the right to equal participation in our political processes (…) those guarantees mean little, however, if courts do not remain vigilant in curbing states’ efforts to undermine the ability of minority voters to meaningfully exercise that right (…) the Court today does great damage to that right of equal opportunity (…) not because it denies the existence of that right, but because it refuses its enforcement.
Un panel di tre giudici della corte distrettuale federale di San Antonio aveva riconosciuto che il congressional district includente Corpus Christi era stato formato negando agli elettori ispanici “their opportunity to elect a candidate of their choice”.
La Corte Suprema, pur rilevando che in uno dei distretti posti alla sua osservazione era ravvisabile un inammissibile racial gerrymandering, non riscontra alcuna violazione costituzionale su base statale. Il caso ha questa particolarità: la corte di San Antonio aveva in precedenza approvato le mappe contestate nel 2012, dopo che la Suprema Corte aveva rigettato con rinvio un ricorso che denunciava l’incostituzionalità di una di esse. Il panel si era pronunciato nel senso che le mappe del 2012 non erano state valutate in modo sufficientemente approfondito vista la pressione causata dall’imminenza delle elezioni. Nel 2013, il legislativo del Texas aveva stabilito di non disegnare nuove mappe e aveva allora nuovamente adottato quelle messe a punto dalla corte di San Antonio. Dopo tre cicli elettorali regolati da quelle stesse mappe, la corte distrettuale aveva però statuito nel senso della loro irregolarità: “although this court had ‘approved’ the maps for use as interim maps, given the severe time constraints it was operating under at the time of their adoption (…) the approval was not based on a full examination of the record or the governing law” e sono state quindi “subject to revision”. La corte aveva poi affermato che l’adozione di tali mappe da parte del Texas era stata parte di una “litigation strategy designed to insulate the 2011or 2013 plans from further challenge, regardless of their legal infirmity”. Il giudice Alito invece nella majority opinion si dichiarerà in disaccordo anche a questo riguardo, affermando che “there is nothing to suggest that the Legislature proceeded in bad faith – or even that it acted unreasonably – in pursuing this strategy”.
La parte centrale della discussione ha però anche questa volta riguardato una questione procedurale, cioè se il caso poteva stare davanti ai giudici. Come riporta la giudice Sotomayor, la corte di San Antonio non aveva ingiunto allo stato di agire positivamente, ma aveva ordinato agli state officials del Texas di notiziarla immediatamente qualora avessero avuto intenzione di disegnare nuove mappe. Ciò significava quindi che non esisteva di fatto alcuna decisione di una lower court da riesaminare.
Ma il giudice Alito ha invece scritto che quella della corte distrettuale era effettivamente un’ingiunzione e che quindi la Corte Suprema aveva la giurisdizione sull’appello presentato dallo Stato, riportando che “the short time given the Legislature to respond is strong evidence that the three judge court did not intend to allow the elections to go ahead under the plans it had just condemned (…) the Legislature was not in session – which is no small matter”.
Il Chief Justice Roberts ed i giudici Kennedy, Thomas e Gorsuch si sono associati alla decisione di maggioranza. In dissenso, la giudice Sotomayor ha scritto: “the Court today goes out of its way to permit the State of Texas to use maps that the three – judge district court unanimously found were adopted for the purpose of preserving the racial discrimination that tainted its previous maps”. Tale dissenting opinion è stata condivisa dai giudici Breyer, Bader Ginsburg e Kagan. “This disregard of both precedent and fact comes at serious costs to our democracy”, scrive sempre Santomayor “it means that, after years of litigation and undeniable proof of intentional discrimination, minority voters in Texas – despite constituting a majority of the population within the state – will continue to be underrepresented in the political process”.
In North Carolina v. Covington, la Corte Suprema si è pronunciata sulla sussistenza di discriminazioni nei confronti degli elettori di origine afro – americana in sei distretti. Si premette che erano state predisposte, per via legislativa, delle remedial maps, in ottemperanza ad un precedente giudizio che ingiungeva di modificare i confini di quei distretti nei quali si riconoscevano gli elementi propri del racial gerrymandering. La difesa dello Stato si basava sul fatto che, per mantenere il più alto tasso di neutralità dell’operazione, non fossero stati usati “data identifying the race of individuals or voters”. I giudici di Washington si sono espressi nel senso che lo Special Master nominato per occuparsi delle procedure di redistricting, dovesse “consider data identifying the race of individuals or voters to the extent necessary to ensure that his plan cures the unconstitutional racial gerrymanders,” e conclude riconoscendo la sussistenza di un’incostituzionale pratica di diluizione del voto operata su base razziale in quattro distretti su sei.
A questo punto pare opportuno fare qualche breve considerazione su quanto avvenuto nella Suprema Corte nelle ultime settimane sul fronte delle gerrymandering claims. Per quanto riguarda i casi di partisan gerrymandering, entrambi i ricorsi erano posti in modo tale da consentire ai giudici di definire i limiti costituzionali di questa sfuggente e pericolosa pratica, ma ciò non è avvenuto, rimandando nuovamente il momento di dare una forma a tale condotta. Larga parte dell’opinione pubblica sperava che la Corte si sarebbe pronunciata, portando la democrazia americana nella direzione di un judicial scrutiny più pervasivo sulle modalità di ridisegno dei distretti, cercando così di arginare tale condotta, strumentalmente adottata per realizzare le ambizioni dei partiti che detengono la maggioranza in quel momento. Anche per quanto riguarda il racial gerrymandering, materia nella quale la Corte ha manifestato il suo attivismo già negli anni ‘60 (Carolina v. Katzenbach, 1966), ma anche di recente (Bethune – Hill v. Virginia State Bd. Of Elections, 2017), si registra una maggiore cautela nell’esprimere considerazioni di principio, mantenendo per lo più il focus su questioni processuali. Non che la procedura non sia importante, ma si ha l’impressione che in questo modo i giudici cerchino di evitare di intervenire in materie ad altissimo tasso di politicità, in un momento in cui l’opinione pubblica americana risulta già molto frammentata, nonché esacerbata in molti suoi settori per via dell’attuazione di politiche rispondenti a logiche di potere fortemente divisive ed incuranti dell’estremizzazione di conflitti latenti e manifesti. Tuttavia, c’è da aspettarsi che non passerà molto tempo prima che la Corte torni a confrontarsi con tale questione, soprattutto per quel che attiene al partisan gerrymandering: gli elettori dei diversi schieramenti vedono tale pratica come un serio rischio per la democraticità delle elezioni e l’enucleazione di un manageable standard che ne individui i confini costituzionali rappresenta la costruzione di un presidio necessario.