Primavera d’autunno? Una lettura personale del pre e post elezioni in Tunisia

Approdo per la terza volta a Tunisi in piena campagna elettorale. Il clima che si respira è ambivalente. Da un lato, il tassista che mi accoglie all’aeroporto risponde alle mie domande di giovane italiana che guarda alla transizione, con un misto di scherno e rassegnazione: «In questi tre anni nulla è cambiato». Un ritornello che mi sentirò ripetere diverse volte durante il mio soggiorno tunisino. Al contempo, si coglie un sentimento di grande attesa per le imminenti elezioni e si comprende che la transizione in corso da ormai tre anni rappresenta un momento unico della storia del Paese. Incontro, infatti, professori universitari che hanno temporaneamente abbandonato il proprio mestiere per servire la politica, militando nei partiti o assumendo un ruolo di spicco nelle istanze provvisorie, come l’istanza per il settore delle comunicazioni audiovisive o quella per le elezioni, oppure per impegnarsi a titolo personale in attività di osservazione della transizione in corso. La ragione è ben espressa da Chawki Gaddes, Segretario generale dell’Associazione tunisina di diritto costituzionale, il quale accogliendomi nel suo studio alla Faculté de Sciences Politiques et Juridiques de l’Université de Carthage mi dice: «Non è tempo per la produzione accademica, è tempo di impegnarsi concretamente per il Paese ».

I primi giorni della settimana precedente alle elezioni sono stranamente calmi e la vita a Tunisi scorre normalmente. La campagna elettorale è altrove: nella capitale giunge solo l’eco della partita giocata dal movimento di matrice islamica Ennhada e dalla coalizione secolarista Nidaa Tounes, fondata nel 2012 da Beji Caid Essebsi, mano destra di Habib Bourguiba, per contrastare l’Islam politico. La due fazioni si sfidano infatti in un testa a testa scandito dai numerosi comizi elettorali convocati nelle principali città del Paese.

Mano a mano che si avvicina il giorno delle elezioni, l’Avenue Bourguiba, arteria principale della Tunisi moderna, si anima di stand elettorali delle varie formazioni: venerdì 24, in occasione della giornata conclusiva della campagna elettorale, il viale ospita alcuni comizi a distanza di pochi metri l’uno dall’altro. Ad un estremo, in Place du 14 Janvier 2011, intitolata così per ricordare il giorno della fuga di Ben Ali, Ennhada dà sfoggio della sua abilità organizzativa e della sua forza, riuscendo nel giro di poche ore ad allestire un palco e due mega schermi e richiamando migliaia di sostenitori. All’altro capo della via, al teatro Colisée, il Front Populaire, un partito di stampo marxista guidato da Hamma Hammami, riunisce i suoi elettori, presentando ancora una volta il suo programma politico, l’unico a non voler imprimere una svolta liberista all’economia tunisina. Al centro dell’Avenue si collocano invece alcune formazioni politiche minori, come il Congrès pour la République e l’Union pour la Tunisie, che non sembrano però in grado di rivaleggiare coi partiti più grandi. Nidaa Tounes si riunisce invece in periferia, una scelta che si può leggere come un estremo tentativo di conquistare qualche voto nei milieu più poveri, dove si raccoglie il tradizionale bacino elettorale di Ennhada. Il successo del partito islamico, infatti, dipende in larga parte dalla sua capacità di condurre attività caritatevoli e assistenziali fra gli strati più bassi della popolazione. La vigilia elettorale è caratterizzata da grande incertezza: c’è chi prevede che sarà Ennahda, il partito dei Fratelli Musulmani tunisini a conquistare la maggioranza relativa dei votie c’è chi invece propende per la coalizione guidata dall’anziano Essebsi (88 anni). I pronostici circa la terza forza del Paese sono ancora più fumosi: chi sarà a collocarsi dietro alle due formazioni politiche maggiori? L’Union patriotique libre (UPL) del ricco magnate delle televisioni Slim Rihai, il cui programma è costellato di promesse di grande effetto, ma di difficile realizzazione(come quella di sradicare totalmente la povertà)? O sarà invece, il Front populaire, schierato dalla parte dei lavoratori? Oppure ancora il Mouvement destourien, che rappresenta una versione ammodernata del vecchio regime?

Tutti questi interrogativi hanno trovato risposta solo giovedì 30 ottobre, quando l’Istanza indipendente per le elezioni, l’organo costituzionale incaricato di organizzare e monitorare le elezioni (art. 126 Cost.), ha annunciato i “risultati provvisori definitivi” (un’espressione che fa riferimento all’eventualità che, sulla base di successivi ricorsi, l’esito venga modificato).

Nidaa Tounes si attesta al primo posto, conquistando 85 dei 217 seggi di cui si compone l’Assemblea dei rappresentanti del popolo, seguito da Ennahda, che ottiene 69 seggi, e dall’UPL che conquista 16 seggi. Quest’ultimo deve tuttavia dividere il terzo posto, in pratica, col Front Populaire, il quale con i suoi 15 seggi dispone di un peso politico quasi equivalente in Parlamento. Seguono delle formazioni minori, come Afek Tounes (8 seggi), Congrès pour la république (CPR, 4 seggi), Al Moubadara (3 seggi), Courant démocratique (3 seggi), Al Mahabba (2 seggi), Achaab (2 seggi), e altre che hanno ottenuto un solo seggio in Parlamento, come Al Jamhouri, Alliance démocratique e Ettakatol. Quest’ultimo partito in particolare ha visto un netto ridimensionamento rispetto alle elezioni del 2011, in cui aveva ottenuto 20 seggi, tanto da diventare un partner di Ennhada nella c.d. “troika”, la coalizione composta dal partito di matrice islamicae dal CPR.

I risultati elettorali confermano quindi solo in parte le previsioni della vigilia elettorale e la vittoria di Nidaa Tounes va letta in primis come un segnale del sentimento di delusione circa la direzione politica assunta in questi tre anni di transizione. Ennhada e i suoi alleati non sono stati infatti in grado di soddisfare le rivendicazioni economiche e sociali alla base della c.d. “rivoluzione dei gelsomini” e la coalizione guidata da Essebsi si è presentata agli elettori come l’unica forza politica capace di scalfire il potere degli islamisti.

La maggioranza relativa dei tunisini ha così deciso di sostenerla, non perché si senta particolarmente rappresentata dalla formazione politica fondata da Essebsi, ma nella speranza che essa riesca laddove Ennhada ha sicuramente fallito, cioè nel settore dell’economia e della sicurezza. Tale urgenza si evince anche dal fatto che la campagna elettorale si sia concentrata proprio su questi due temi, lasciando in secondo piano la questione dell’attuazione della Costituzione.

Il Legislatore tunisino si troverà ora a fare i conti con questioni assai complesse, ma prima occorrerà definire le alleanze politiche. La maggioranza relativa conquistata da Nidaa Tounes impedisce infatti al partito di governare da solo, costringendolo a formare una coalizione di governo più o meno ampia. A tal proposito i pronostici al momento sono abbastanza fumosi. L’accordo tra Ennhada e Nidaa Tounes non sembra essere all’ordine del giorno, soprattutto per l’opposizione di quest’ultimo, che avendo impostato la propria campagna elettorale sul contrasto con Ennahda non è al momento intenzionato a formare una coalizione con gli islamisti: così facendo rischierebbe infatti di perdere gran parte del suo elettorato. Tuttavia, è probabile che persino l’alleanza con una o due formazioni minori non conduca a una maggioranza stabile, tanto che si ventila l’eventualità di un governo di unità nazionale che riunisca tutte le forze politiche e garantisca la stabilità governativa.

Probabilmente le alleanze non verranno comunque definite fino alle elezioni presidenziali, che assumono ora una rilevanza particolare. Da un lato, Ennahda ha scelto di non presentare alcun candidato, una decisione che appare coerente con la preferenza espressa anche in sede costituente per la forma di governo parlamentare; ciò le permette di presentarsi come forza politica pronta a sostenere un candidato di un altro partito per il bene del Paese. Dall’altro, la nuova Costituzione prevede che, entro una settimana dalla proclamazione dei risultati definitivi, il Presidente della Repubblica conferisca l’incarico di formare il Governo al leader del partito o della coalizione che ha ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni legislative e qualora quest’ultimo non sia in grado di portare a termine tale missione, il Presidente nominerà la persona che egli considera più adatta per svolgere tale mandato (art. 89).

Alla luce della lettera costituzionale, la decisione dell’Assemblea costituente di convocare prima le elezioni legislative e poi quelle presidenziali profila all’orizzonte una violazione della Costituzione, che potrà essere di carattere procedurale o sostanziale. Qualora sia il nuovo Presidente della Repubblica a conferire a Essebsi l’incarico di formare il nuovo Governo, il limite temporale di una settimana previsto dall’art. 89 non sarà rispettato; qualora invece sia il Capo di Stato provvisorio ad incaricare il leader di Nidaa Tounes, si violerà la disposizione transitoria  contenuta all’art. 148 della Costituzione. Tale disposizione prevede che il Presidente della Repubblica provvisorio conferisca l’incarico di formare il nuovo governo al «candidato della formazione politica che ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni per l’Assemblea nazionale costituente» (corsivo aggiunto). In questo caso il vulnus risiede nel fatto che le elezioni che si sono appena svolte sono quelle legislative e non quelle per l’organo costituente.

Lo scenario più probabile al momento è la violazione del limite di una settimana dalla proclamazione dei risultati definitivi delle elezioni, prevista per fine novembre.

Oltre a questa difficoltà, si pongono numerosi interrogativi circa i prossimi passi del processo di transizione costituzionale.

Ci si chiede, ad esempio, se la vittoria di Nidaa Tounes comporterà l’insabbiamento del programma di giustizia di transizione avviato con grandi difficoltà all’inizio di quest’anno, ma non ancora decollato. L’Istanza verità e dignità, l’organo incaricato di esaminare le violazioni dei diritti fondamentali commesse durante la Presidenza di Bourguiba e di Ben Ali, così come previsto della legge organica n. 53/2013 approvata il 24 dicembre 2013, è stata creata infatti a giugno 2014, ma non ha ancora avviato i suoi lavori; secondo alcuni, ciò sarebbe dovuto a una precisa volontà politica in tal senso e la vittoria di Nidaa Tounes rischia di compromettere il progetto, poiché il partito non avrebbe alcun interesse a far luce sul passato, annoverando al suo interno rappresentanti del vecchio regime. Tale aspetto ha peraltro costituito il principale argomento utilizzato da Ennahda contro il suo rivale nella campagna elettorale, ma ha perso gran parte del suo peso, dal momento che singoli membri del Rassemblement Constitutionnel Démocratique (RCD) si trovano un po’ in tutti i partiti del panorama politico tunisino.

Si spera comunque che la giustizia di transizione faccia il suo corso, altrimenti alla delusione derivante dal mancato miglioramento della situazione economica, si sommerà l’amarezza per una transizione gattopardesca. Un tale scenario non è purtroppo affatto remoto, ma si sta anzi già delineando, come dimostra lo sdegno espresso dalle famiglie dei martiri della rivoluzione in corrispondenza delle pronunce emesse ad aprile 2014 dal tribunale militare, che non avrebbero comminato le giuste pene agli autori della repressione.

La transizione tunisina appare quindi contraddittoria e la ricerca sul campo è fondamentale per cogliere non solo le sue luci, ma anche le sue ombre.

Dall’“Occidente” la Tunisia appare come un pieno successo del paradigma della democratizzazione. Lo schema classico – scandito da caduta del regime in seguito a mobilitazione popolare, liberalizzazione politica, edificazione di un nuovo ordinamento da parte di una assemblea costituente direttamente eletta, elezioni democratiche che garantiscono l’alternanza – sembra infatti essere perfettamente rispettato. Tale immagine non corrisponde però esattamente alla realtà, e si limita piuttosto a rappresentare una proiezione delle nostre aspirazioni.

Toccar con mano il contesto tunisino permette invece di entrare in contatto con le persone che stanno contribuendo ad edificare il nuovo ordinamento e di cogliere le molte contraddizioni di questa transizione.

A distanza di qualche giorno dal mio rientro gioisco quindi al successo delle elezioni democratiche, ma cerco di mantenere un occhio critico sulle dinamiche in corso oltremare, consapevole del fatto che il processo costituente tunisino non ha finora adeguatamente affrontato alcune priorità di ordine politico (sviluppo economico, redistribuzione della ricchezza, ecc) e il dopo-elezioni si rivela dunque un momento fondamentale per la buona riuscita del percorso intrapreso tre anni orsono.