Recensione a S. Ragone (ed.), Managing the Euro Crisis. National EU Policy Coordination in the Debtor Countries, Routledge, 2018
Il volume si discosta dai precedenti in primo luogo per il taglio dato all’analisi: anche nei contributi che avevano rivolto primario interesse ai Paesi che avevano sottoscritto dei Piani di Assistenza, l’attenzione era stata, anzitutto, rivolta al modo in cui tali strumenti sovranazionali interagissero con l’ordinamento nazionale (con una particolare attenzione al ruolo delle corti, si v. ad es. A. Baraggia, Ordinamenti giuridici a confronto nell’era della crisi: la condizionalità economica in Europa e negli Stati nazionali, Giappichelli, 2017). La prospettiva di un’analisi comparata riguardante primariamente le modalità con cui ciascuno Stato si interfaccia con l’ordinamento europeo e gli effetti della crisi economica su tale assetto, risultava quindi un elemento carente o affrontato solo in maniera tangente in alcuni contributi (si v. ad es. S. Ragone, La incidencia de la crisis en la distribución interna del poder entre parlamentos y gobiernos nacionales, Revista de derecho constitucional europeo, 24, 2015). La comparazione operata tra casi similari consente, anche rispetto ai precedenti, di cogliere in una dimensione di lungo termine le modifiche nelle modalità di governance (termine congruo allo stile interdisciplinare adottato dal volume) delle politiche europee, consentendo di rilevare sia i tratti comuni emergenti dalle nuove modalità di integrazione, sia i segnali di evoluzione autonoma che risulta possibile cogliere all’interno di ciascun ordinamento.
Il volume si inserisce in maniera soltanto tangente nel dibattito sulle modifiche introdotte negli ordinamenti statali ed europeo a seguito della crisi economica. I volumi di maggiore interesse nella materia si sono, difatti, occupati in particolar modo della ridefinizione della governance economica europea (sia con approccio primariamente giuridico, si v. ad es. A. Hinarejos, The Euro Area Crisis in Constitutional Perspective, Oxford Un. Press, 2015, sia con approccio più interdisciplinare, K. Tuori – K. Tuori, The Eurozone Crisis. A Constitutional Analysis, Cambridge Un. Press, 2014) e della ricostruzione delle evoluzioni costituzionali degli Stati membri, per stimolo o adattamento all’evoluzione del sistema sovranazionale (si v. ad es. X. Contiades, Constitutions in the Global Financial Crisis. A Comparative Analysis, Ashgate Pub., 2013; F. Fabbrini – E. Hirsch Ballin – H. Somsen (a cura di), What Form of Government for the European Union and the Eurozone?, Hart Pub. 2015). Il libro qui recensito opta invece per un taglio diverso: anzitutto opera una scelta dei casi sulla base di un criterio di similarità, analizzando i Paesi che sono stati affetti dalla crisi economica. In secondo luogo, il taglio prescelto è quello di un’analisi delle modalità di coordinamento delle politiche europee all’interno dei singoli Stati, per testare se e quali modifiche degli assetti esistenti siano riconducibili ai crescenti interventi in ambito di politiche economiche e di bilancio registrati durante la crisi.
Il capitolo introduttivo del volume sottolinea la prospettiva in cui sono analizzate le modalità di coordinamento nazionali delle politiche europee: quale angolo previlegiato per valutare le reciproche influenze tra Stati Membri ed Unione Europea, nelle fasi ascendenti e discendenti. Il volume si colloca quindi nel solco della letteratura di analisi delle modalità di coordinamento delle politiche europee, provando a rinvigorire una letteratura ferma all’approccio primariamente politologico di inizio anni 2000 (H. Kassim – B.G. Peters – V. Wright, The National Co-ordination of EU Policy.The Domestic Level, Oxford University Press, 2000) o contraddistinta da ridotte o differenti selezioni dei casi (si v. ad es. S. Baroncelli, Il ruolo del Governo nella formazione e applicazione del diritto dell’Unione europea. Le peculiarità di un sistema costituzionale multilivello, Giappichelli, 2008). Adottando una selezione dei casi focalizzata su Paesi che hanno attraversato gravi crisi finanziarie, l’intento del volume diviene quello di valutare quanto e in che modalità l’evoluzione istituzionale ed economica abbia influito sulle strutture di coordinamento, ridefinendole o conducendo all’introduzione di nuovi strumenti.
I capitoli seguenti sono strutturati secondo una struttura similare: (i) un’esposizione del coordinamento delle politiche europee in chiave diacronica, (ii) una sintesi delle caratteristiche della crisi economico-finanziaria che ha colpito il Paese e degli adeguamenti istituzionali che si sono resi necessari e (iii) un’analisi di come tali vicende abbiano influito sul quadro precedentemente esposto. Il primo Paese analizzato, nel secondo capitolo del volume, è la Grecia: l’autrice sottolinea come il quadro istituzionale fosse contraddistinto dal ruolo predominante svolto dal coordinamento delle azioni tra il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro degli Affari Economici nella materia. Al contempo, viene rilevato un debole coordinamento all’interno del governo, cui si è cercato di rimediare attraverso la creazione di strutture di supporto del Consiglio dei Ministri e del Primo Ministro in particolare, che non risultano aver avuto successo. L’autrice sottolinea come la crisi economica non abbia ridefinito in maniera radicale le modalità di coordinamento delle politiche europee ma avrebbe, piuttosto, contribuito ad un ruolo accresciuto del Ministro delle Finanze, sia nei rapporti con gli altri colleghi di governo, sia nell’espansione dei settori in cui esercita iniziative e ruoli di coordinamento in sede nazionale ed europea. Ad avviso dell’autrice, le esperienze dei MoU dovrebbero essere tenute distinte da quelle dell’ordinaria gestione delle politiche europee, in cui la crisi ha solo svolto un ruolo di accentuazione di alcune tendenze e parziale ridefinizione in ragione della centralità assunta dalle decisioni finanziarie negli anni trascorsi.
L’analisi del coordinamento delle politiche europee in Irlanda sottolinea la struttura assai complessa creata nell’esecutivo nazionale in tale materia: ad un ruolo guida svolto da tre amministrazioni – il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero delle Finanze e la presidenza del Consiglio -, si accompagna un secondo livello costituito dai ministeri le cui politiche sono fortemente intrecciate con le decisioni europee, ridefinito all’evolversi delle competenze dell’Unione. A tale organizzazione si accompagnano strumenti di coordinamento istituzionalizzati: il Coordinamento interministeriale presieduto dal Ministero degli Affari Esteri e commissioni congiunte tra l’esecutivo e il parlamento. Il contributo sottolinea, quindi, la struttura rigida che contraddistingueva il coordinamento delle politiche europee nel paese prima della crisi e il rafforzamento della stessa nelle fasi seguenti attraverso (i) l’istituzionalizzazione di un Economic Management Council che va ad accompagnare nelle materie fiscali la struttura primaria di gestione del coordinamento europeo, (ii) la divisione del Ministero delle Finanze attraverso il ritaglio tra le sue competenze di un Ministero della Spesa Pubblica e delle Riforme e (iii) un accresciuto ruolo del Primo Ministro nella gestione del coordinamento delle politiche europee nelle strutture di coordinamento.
Il capitolo 4 colloca l’esperienza portoghese come paradigmatica di una gestione centralizzata del coordinamento delle politiche europee. In particolare, gli strumenti di coordinamento si articolano in una Commissione interministeriale e in un Segretariato dedicato agli Affari Europei alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri con ulteriori articolazioni interne, specie attraverso la direzione per gli Affari Europei. Accanto a tale struttura, dal contributo emerge il ruolo forte assunto nell’esperienza lusitana dalla Rappresentanza Permanente presso l’Unione Europea, specie in considerazione dell’alto livello del personale ivi impiegato. La struttura creata negli anni dell’integrazione e transitata nel periodo seguente tramite alcuni aggiustamenti risulta essere rimasta sostanzialmente invariata all’esito del periodo di crisi economica: alcune innovazioni si sono registrate durante la vigenza del Piano di Assistenza, con particolare riguardo alla Missione di Monitoraggio del rispetto dei MoU, ma sembrano aver avuto natura soltanto provvisoria.
Il caso cipriota si segnala per le difficoltà incorse nell’introduzione di una struttura istituzionale permanente di coordinamento delle politiche europee, dovute alla rigidità istituzionale caratteristica del Paese. La gestione della crisi e del Piano di Assistenza erogato in favore dello Stato è stata contraddistinta dallo sviluppo di una relazione forte tra il Governo e le istituzioni creditrici, in cui il Parlamento è intervenuto solo in una fase di seguente approvazione. Parte di tale percorso di collaborazione è stato costituito da un nuovo tentativo di istituzionalizzare un organo di coordinamento delle politiche europee che non è riuscito ad ottenere successo. Dal contributo emerge come l’esito di tali fallimenti, evidenziato particolarmente nel periodo della crisi economica, consista nella creazione di comitati ad hoc nelle fasi di maggiori necessità di coordinamento in cui il Governo svolge un ruolo di primaria rilevanza politica, particolarmente attraverso i Ministri specificamente interessati: una delle cifre primarie della gestione della crisi cipriota risulta, anche in ragione di tale elemento, essere stato il ruolo accresciuto del Ministero delle Finanze all’interno della compagine governativa.
L’analisi del caso italiano emerge come emblematico di un coordinamento incentrato sull’esecutivo con un ruolo assai ridotto del parlamento. In particolare, il sistema si poggia su un Ministro (o, più di recente, sottosegretario) degli Affari Europei senza portafoglio, cui è affiancata una struttura di coordinamento all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tali meccanismi di coordinamento si articolano in tre strutture: un Dipartimento per le Politiche Europee con funzione di supporto al Governo, un Comitato Interministeriale per gli Affari Europei e un Comitato tecnico di valutazione con funzione di supporto a tutti gli attori coinvolti nella fase ascendente. Il contributo sottolinea come la crisi finanziaria non abbia implicato un cambiamento radicale dell’assetto delle politiche di coordinamento: si registrano piuttosto (i) un’inversione della tendenza ad un maggiore coinvolgimento del Parlamento nazionale e delle Regioni avvenuto negli anni antecedenti e (ii) un rafforzamento degli strumenti di coordinamento, con particolare riguardo agli strumenti attinenti alla regolazione economico-finanziaria.
L’analisi comparata dei casi, come sottolineato nelle conclusioni del libro, si presta a sottolineare come agli elementi di avvicinamento delle modalità di coordinamento delle politiche europee, pur rinvenibili, si accompagnino percorsi di sviluppo delle peculiarità statali che segnalano una divaricazione nelle modalità di regolazione. Comune è, in particolare, l’evoluzione registrata negli equilibri interni all’esecutivo, con un rafforzamento del ruolo del Primo Ministro e un indebolimento del Ministro degli Affari Esteri. Divergenti sono invece le concrete modalità di coordinamento e, in particolare tra queste, i ruoli assegnati a Parlamenti ed enti decentrati.
Il volume si presenta, quindi, come un’utile e ampia lettura delle modalità di coordinamento nei Paesi analizzati. La chiave diacronica, scelta per descrivere le evoluzioni dei singoli casi, consente di cogliere le tendenze di lungo corso nello sviluppo degli strumenti da parte di ciascuno di essi. In tale percorso, la crisi economica ha costituito un test di particolare rilievo quanto alla tenuta di tali meccanismi. Alcuni elementi sembrano emergere tra le righe ed offrire dei segnali sugli assetti istituzionali permanenti che sono emersi dopo il periodo emergenziale. Anzitutto, in termini di equilibri nella compagine governativa, il volume sottolinea meritoriamente l’accresciuto ruolo svolto dal Ministero delle Finanze e/o dal Ministero degli Affari Economici. Su opposto versante, l’analisi dei diversi casi mostra come l’indebolimento di alcuni altri attori – segnatamente il Ministero degli Affari Esteri, il Parlamento e le autonomie – pur comune ai casi analizzati, sia avvenuto con intensità e modalità differenti, anche in considerazione degli assetti istituzionali di coordinamento esistenti.
Il libro riesce quindi a rispondere alle domande di ricerca sugli effetti della crisi sulle modalità di coordinamento delle politiche europee attraverso una disamina complessa e articolata. Per un verso, si segnala la sostanziale permanenza degli strumenti pensati antecedentemente e, in alcuni casi, un’accentuata valorizzazione delle loro peculiarità. Per altro verso, dall’analisi dei Paesi emergono alcune tendenze comuni di rafforzamento delle misure di coordinamento e di accentramento verso il vertice del governo e il Ministero delle Finanze del ruolo propulsivo in tali ambiti. Da ultimo, la diversa severità delle crisi attraversate dai Paesi emerge dalle pieghe del volume: specie per l’esigenza di alcuni di essi di dover approntare delle misure straordinarie di coordinamento nel periodo di maggior sorveglianza sovranazionale in relazione all’erogazione delle misure di assistenza. Tali strumenti esterni ai percorsi di sviluppo interno sembrano tuttavia aver esaurito la loro funzione una volta superate tali fasi, in cui – specie in riferimento ai casi portoghese e greco – si è quindi tornati alle modalità di gestione “ordinarie”.