Sulla recente nomina di quattro giudici del Tribunal Constitucional tra nuove e vecchie aporie

1.Il Tribunal Constitucioñal de España (TC), a norma dell’art. 159, c. 1 della Constitución Española (CE) si compone di 12 membri di nomina regia vincolata all’esito dell’elezione da parte del Congreso de los Diputados (4), del Senado (4), del Gobierno (2) e del Consejo General del Poder Judicial (2), conducendo inevitabilmente a una spiccata politicizzazione di una istituzione che per sua natura non dovrebbe dipendere da logiche partitiche.
Secondo l’art. 159, c. 2, CE (ma si v. anche l’art. 18 della Ley orgánica del Tribunal Constitucional, LOTC), gli organi cui compete l’elezione non operano in modo del tutto discrezionale, dovendosi comunque rivolgere necessariamente a soggetti di cui si assume l’elevata competenza e professionalità; i membri del TC dovranno, quindi, essere scelti fra giudici e pubblici ministeri, professori universitari, funzionari pubblici e avvocati, tutti giuristi di nota competenza e con più di quindici anni di pratica professionale. È escluso qualunque limite di scelta fra le categorie dei soggetti eleggibili, potendo tutti i poteri scegliere liberamente tra una qualsiasi delle diverse professioni. Anche se la prassi, per come vedremo, ha sempre fatto ricadere la scelta su soggetti appartenenti solo ad alcune di queste categorie e non su tutte.
Inoltre, i membri del TC «saranno nominati per un periodo di nove anni e si rinnoveranno per un terzo ogni tre anni» (ex art. 159, c. 3, CE).
La logica del rinnovo parziale a cadenza triennale di un terzo dei membri (art. 16 LOTC) ha comportato nel corso dei lustri una sorta di contrapposizione tra gli stessi magistrati (valutata tale non solo dall’esterno) ciascuno espressione di forze politiche appartenenti o al blocco progressista o a quello conservatore. Da alcuni anni a questa parte, questo contrasto tra blocchi politici si è acuito – in concomitanza con la pubblicazione di decisioni ‘rilevanti e influenti’ – tanto da determinare la perdita di ‘prestigio’ del TC. La prevedibilità di alcune decisioni del Tribunal dipendeva sovente non tanto dal suo essere un organo giurisdizionale quanto piuttosto dalla composizione politica del momento.
Fra le cause che hanno contribuito a mettere in discussione la legittimazione del TC v’è di certo la pubblicazione della sentenza n. 31/2010 depositata dopo ben cinque anni dall’atto di ricorso e tacciata di intrinseca politicità, anche alla luce della ricusazione del giudice Pablo Pérez Tremps, dell’ampio ricorso ai votos, così come del mancato rinnovo di diversi giudici costituzionali che hanno operato in regime di prorogatio, e alcuni di essi fino a ben tre anni dalla scadenza ordinaria del mandato. Si può richiamare anche la pronuncia (ordinanza n. 81/2008) con la quale il TC ha accolto l’istanza di ricusazione avanzata dal Governo (per la prima volta da tale organo) contro i magistrati costituzionali García-Calvo y Montiel e Rodríguez-Zapata Pérez nel ricorso contro la riforma della LOTC.
È proprio nel voler mantenere l’equilibrio creatosi fra l’anima progressista e quella conservatrice che hanno trovato linfa il ritardo nelle nomine dei nuovi giudici (da imputarsi sempre e solo alle nomine degli otto giudici di spettanza delle Cortes) e le ricusazioni che hanno inteso mettere in discussione il bilanciamento a favore di un blocco e a detrimento dell’altro. Come si vede, quindi, lo stallo nel processo di nomina viene usato dai gruppi parlamentari per incidere sulla composizione del TC, e per giungere a tale risultato il ritardo può prolungarsi anche di anni dalla scadenza ordinaria del mandato.
Il blocco delle nomine del 2010 ‒ che produsse quel grave danno d’immagine di cui si diceva ‒ è alla base della riforma dell’art. 16, c. 5, LOTC introdotto con la LO 8/2010: «[s]e ci fosse ritardo nel rinnovo di un terzo dei magistrati, ai nuovi designati si detrarrà dal mandato il tempo di ritardo nel rinnovo», anche se tale modifica parrebbe (più che) in contrasto con quanto dispone l’articolo 159, c. 3, CE che prescrive la durata novennale del mandato.
2.Lo scorso 18 novembre hanno giurato come giudici costituzionali i nuovi quattro componenti del collegio del TC, tutti e quattro eletti dal Congreso: Juan Ramón Sáez Valcárcel (Magistrado de la Sala de lo Penal de la Audiencia Nacional), Enrique Arnaldo Alcubilla (Catedrático Derecho Constitucional), Concepción Espejel Jorquera (Magistrada de la Sala de lo Penal de la Audiencia Nacional) e Inmaculada Montalbán Huertas (Magistrada Tribunal Superior de Justicia de Andalucía).
La notizia dello sblocco delle trattative tra il Governo e il Partito Popolare per l’elezione dei giudici costituzionali è stata accolta in modo tanto inaspettato quanto critico.
Il Governo di coalizione e il maggiore partito dell’opposizione hanno convenuto, per l’appunto, di siglare un accordo per l’elezione dei quattro nuovi giudici del Tribunal Constitucional e per il rinnovo di tutte le altre istituzioni di garanzia: il Tribunal de Cuentas, la Agencia de Protección de Datos e il Defensor del Pueblo, tranne che del Consejo General del Poder Judicial (CGPJ). In tal modo si è data una risposta partitica a un problema istituzionale: superare il bloqueo, seppur parziale, degli organi costituzionali in Spagna.
3.Con riguardo alle nomine dei giudici costituzionali si può avanzare qualche osservazione critica a valle di alcune questioni: il ritardo accumulato di quattro mesi, tranne che per un magistrato dimessosi nell’ottobre 2020; la scarsa componente di professori fra i magistrati eletti; la preponderante presenza di giudici non appartenenti al Tribunal Supremo e specializzati nella materia penalistica; un accordo giunto in ritardo e realizzato ‘al ribasso’ (accordo vs consenso).
Oltre a rilevare positivamente il pieno rispetto del principio di pari opportunità (2 donne e 2 uomini), si sottolinea come il ritardo accumulato non era comunque tale da determinare il grave pericolo di blocco dell’attività istituzionale ‒ cosa che può accadere ad esempio per la Corte costituzionale italiana per la cessazione automatica del mandato ‒ in quanto in Spagna vige l’istituto della prorogatio (art. 17, c. 2, LOTC). Tale istituto, però, ‒ pur riuscendo a garantire la continuità della funzione dell’organo ‒ sicuramente non stimola l’elezione dei nuovi giudici, incentivandone finanche l’inerzia degli organi eligenti. L’istituto della prorogatio (rectius la sua evidente torsione politica) finisce così per costituire il fondamento per prolungare sine die la permanenza dei membri scaduti, nella misura in cui i giudici che hanno terminato il loro mandato sono prorogati fino alla loro sostituzione. Questa misura, a ben vedere, è finalizzata a garantire il costante e continuativo funzionamento dell’organo costituzionale e non già la risoluzione del problema dei ritardi, che in Spagna come in Italia, del resto, è lontano dal trovare una soluzione.
Anche per questo dicevamo che la notizia del superamento dello sblocco di una situazione di paralisi politico-parlamentare si è presentata inattesa, se non proprio insperata. Allo stesso tempo, però, la notizia – e più precisamente l’accordo nella sua articolazione – è apparsa subito deludente per le modalità del patto-spartitorio (si vota il candidato ‘altrui’ nella misura in cui viene accettato il ‘proprio’ candidato) e per il profilo dei candidati la cui scelta ha messo in discussione una convenzione che durava (al netto di non trascurabili eccezioni) da ben quarant’anni: da quel 1980 ricordato come l’anno in cui si instaurò il primo Plenum che, a parere di tutti, costituì il più autorevole consesso nel quale il TC abbia operato. Le ultime elezioni non si mostrano ossequiose della convenzione in virtù della quale la designazione da parte del Congreso ricade (quasi esclusivamente) su professori ordinari (in particolare di diritto costituzionale) e quasi mai su membri di estrazione giurisdizionale (di solito eletti dal CGPJ) che in ogni caso (con rarissime eccezioni) sono giudici del Tribunal Supremo. Ora, fra gli eletti vi è un solo professore (costituzionalista) e ben tre magistrati.
Qui, rispetto alla scelta che è ricaduta su giudici e non già su professori può proporsi solo qualche rapida osservazione (pur non verificabile) sui motivi che hanno mosso l’organo cui compete l’elezione, senza volerne attribuire alcuna patente di ragionevolezza. Intanto, soprattutto un TC con al suo interno una importante competenza penalistica sarà presto chiamato ad affrontare le difficili questioni poste tanto dal diritto penale internazionale (caso Puigdemont) quanto dal diritto penale sostanziale (aborto ed eutanasia). Inoltre, la maggiore presenza di giudici pare foriera di una persistente valutazione del TC come Tribunal de amparos, quasi si continuasse a guardare al massimo organo di garanzia costituzionale come giudice (di controllo) di quarta istanza. Stanti le recenti nomine, ulteriore tensione potrebbe derivare proprio con il Tribunal Supremo per il fatto che giudici di grado inferiore ‘controllerebbero’ quelli appartenenti ai gradi superiori della giustizia spagnola. Anche se nel TC è presente una componente maggioritaria di giudici non si dovrebbe comunque arrestare quel processo riformatore ormai avviato dalla legge organica n. 6/2007 teso a trasformare il TC da ultima istanza per il controllo del giudiziario (Tribunal de amparos) a organo capace di svolgere tutte le competenze che costituzionalmente gli appartengono, ovverosia quelle relative al controllo della legittimità costituzionale della legge e alla risoluzione dei conflitti di attribuzione. Inoltre, potrebbe persino dirsi ‒ in termini quasi provocatori ‒ che è come se appartenesse al solo giudice il carattere della terzietà e imparzialità che al professore mancherebbe per statuto.
Guardando sempre alle recenti nomine, forse non si è seguita ‘la strada’ più opportuna eleggendo chi (dalla stampa delle ultime settimane) è ricordato per i suoi legami (anche strettissimi) con la politica anziché membri di riconosciuto prestigio: il rischio ‒ più politico che dommatico ‒ è che si possa minare l’autorevolezza di un organo la cui indipendenza e imparzialità non possono mai essere messe in discussione.
Detto questo, le responsabilità personali e professionali degli eletti evidenziate dalla stampa non sono tali da inficiarne l’elezione (visto che la verifica dei requisiti richiesti ha superato il vaglio, effettuato dal Tribunal medesimo in composizione plenaria – ex art. 10, c. 1, lett. i), LOTC –, con nove voti a favore e uno solo contrario); esse pongono però il TC su un percorso ‘in salita’. Quella appena rinnovata è una composizione che potrà godere di un’autorevolezza non già acquisita ma da acquisire e ciò non sarà semplice anche alla luce dell’abbrivio dei lavori del rinnovato consesso che non è fra i più favorevoli. Già si profila la minaccia di un’alluvione di richieste di ricusazione, nel mentre si attende entro un mese la sentenza ‘delicata e divisiva’ sulla legge relativa all’aborto sulla quale ricade un ricorso presentato ben undici anni fa non ancora risolto e su cui (ora) si vorrebbe (continuare ad) attendere in vista del nuovo rinnovo previsto per il prossimo giugno con l’ingresso di 4 nuovi giudici (designati 2 dal Governo e 2 dal CGPJ) che dovrebbero assicurare una maggioranza ‘progressista’ diversa da quella attuale. Tutto questo non può che palesare l’attuale prevalenza, nel TC, dell’anima politica su quella giurisdizionale.
E allora, dal dato costituzionale rileva almeno una prescrizione, quella della elevata maggioranza richiesta per l’elezione (3/5), che deve essere ben presente quando si ipotizzano delle soluzioni in tema di composizione. La ratio che tale disposto sottintende è quella di non consentire alla sola maggioranza governativa la possibilità di ‘disporre’ dell’elezione di un giudice costituzionale: le elevate maggioranze richieste tendono ad escludere derive partigiane, che, d’altronde, sono esplicitamente precluse dalla Costituzione. La trasposizione in Corte dei concreti rapporti di forza parlamentari, infatti, non è prevista a differenza di quanto avviene per altri organi, ai quali non deve essere assicurata indipendenza di giudizio (si pensi alle commissioni permanenti, …).
La funzione di quorum così elevati è quella di spoliticizzare l’elezione ovvero di politicizzarla in modo equilibrato e, quindi, neutralizzato grazie al necessario accordo-consenso tra i gruppi parlamentari (così come del resto richiesto dal procedimento ex art. 204 del regolamento del Congreso de los Diputatos), non essendo, d’altronde, possibile che il Parlamento sia libero di scegliere per sé il proprio giudice (naturale).
Ma si può imputare solo ed esclusivamente alle alte maggioranze richieste la sottoscrizione di un accordo al ribasso e/o il prodursi di un naturale ritardo? Una risposta affermativa rischia di essere tacciata di miopia. Il verificarsi degli accordi spartitori e dei ritardi pare piuttosto derivare dalla torsione politica a cui l’elevata maggioranza richiesta è sottoposta e dietro la quale si nascondono altre ragioni, su tutte quella che spinge i diversi gruppi parlamentari a utilizzare il tempo a proprio vantaggio sine die, per cui maggiore sarà lo scontro più incisiva sarà la forza parlamentare del singolo gruppo nel portare avanti (favorendola) la candidatura da questo caldeggiata. Accrescendo il ritardo aumenta la capacità persuasiva/dissuasiva del gruppo, tanto che il risultato è poi quello della spartizione delle quote e non già quello della ricerca del consenso. Il tutto esacerbato quando nella decisione delle nomine dei giudici del Tribunale Costituzionale entra la spartizione (anch’essa politica) delle nomine di componenti di altre istituzioni e si rischia il bloqueo.
Non si tralascia di considerare che i componenti del TC sono al riparo – al netto (per alcuni) dell’opinione dissenziente – da dipendenze dal mondo politico (alta retribuzione, incompatibilità, immunità, durata del mandato, non immediata rieleggibilità) dal quale ‘staccano il cordone’ lo stesso giorno del giuramento quando diventano giudici alla pari di (rectius uguali a) tutti gli altri. Ciò nonostante, i gruppi parlamentari si prefiggono comunque l’obiettivo di determinare un cambio ovvero un congelamento giurisprudenziale attraverso la designazione (a buon fine o impedita) di magistrati che, condizionando la composizione del TC (e, nell’intenzione, la sua giurisprudenza), possa incidere anche sugli interessi di cui sono, per l’appunto, portatori. Per raggiungere tale risultato essi sono ben disposti a prendersi tutto il tempo loro necessario, finanche procedendo in ritardo con l’elezione.
Ma così non dovrebbe essere: la politica non può piegare il testo (precettivo) costituzionale ai propri fini e alle proprie risultanze, ma piuttosto dovrebbe essere essa stessa rispettosa delle ragioni costituzionali.
Intanto il Boletín Oficial del Estado del 23 novembre 2021 ha pubblicato la nomina di Pedro José González-Trevijano Sánchez come Presidente del Tribunale e di Juan Antonio Xiol Ríos come Vicepresidente. Dalla lettura della stampa spagnola, il primo rappresenterebbe l’anima conservatrice mentre il secondo quella progressista.
Non resta che chiudere questa breve nota riportando le parole del Presidente emerito Juan José González Rivas pronunciate nel suo discorso di cessazione dalle funzioni e che, pronunciate a futura memoria, hanno ricordato il ruolo dell’imparzialità del giudice costituzionale: «estimo que el fuero interno del juez, en el que radica la esencia de su imparcialidad, debe ser debidamente ilustrado con un profundo estudio de los asuntos a considerar y que dicha actitud ética constituye un fuero inviolable, que debe ser respetado por todos: ciudadanos, poderes públicos y medios de comunicación».