Violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e ricorso per inadempimento: verso un sistema di giustizia costituzionale “composito” nell’Unione? (Prime riflessioni a partire dalla sentenza Commissione c. Francia, C-416/17)

Introduzione

Il 4 ottobre 2018, nell’ambito della causa C-416/17, Commissione europea c. Repubblica francese, la Corte di giustizia europea ha pronunciato una sentenza di grande momento sul rapporto tra l’istituto del rinvio pregiudiziale e il ricorso per inadempimento nell’ambito della fase contenziosa della procedura di infrazione. La sentenza è passata immeritatamente inosservata, con alcune eccezioni (v. D. Sarmiento, Judicial Infringements at the Court of Justice – A brief comment on the phenomenal Commission/France (C-416/17), in Despite our Differences Blog, 9 ottobre 2018), rispetto ad una serie di casi pure assai recenti e significativi decisi dalla Corte che hanno avuto ampia visibilità per il loro immediato impatto sui diritti (Client Earth c. Commissione, C-57/16, sul diritto di accesso ai documenti, e Bauer e altri, C-569/16 e C-570/16, sui diritti sociali e la diretta efficacia della Carta dei diritti fondamentali) e sui principi della rule of law (cfr., da ultimo, l’ordinanza della Vicepresidente della Corte di giustizia Rosario Silva de Lapuerta del 19 ottobre 2018 che ha sospeso gli effetti della riforma del sistema giudiziario polacco nell’ambito del caso C‑619/18 R, Commissione c. Polonia, su cui v. G. Repetto, Incroci (davvero) pericolosi. Il conflitto giurisdizionale sull’indipendenza dei giudici tra Lussemburgo e Varsavia, in Diritticomparati.it, 7 novembre 2018).
La sentenza in commento verte in realtà su una questione assai tecnica, legata al calcolo dei crediti di imposta, e non tra le più appealing politicamente parlando, trattandosi del diritto al rimborso dell’anticipo di imposta pagato sui dividendi trasferiti ad una società controllante da società controllate residenti e non-residenti in Francia. In particolare, la Repubblica francese era accusata di porre in essere un trattamento discriminatorio nei confronti delle società controllate, di primo e di secondo livello, residenti nel territorio di un altro Stato membro, in violazione degli artt. 49 e 63 del TFUE sulla libertà di stabilimento e sui limiti alla circolazione dei capitali.
Nell’ambito del ricorso per inadempimento ex art. 258 TFUE esperito dalla Commissione europea contro la Francia, dei quattro motivi addotti dalla Commissione per contestare la violazione delle norme europee e che saranno brevemente ricostruiti di seguito si prenderà specificamente in esame il quarto, sul mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato francese e dunque sulla presunta violazione dell’art. 267.3 TFUE come fondamento di un ricorso per inadempimento. Tale motivo di ricorso, accolto dalla Corte di giustizia, infatti, è quello che sembra poter produrre significative implicazioni costituzionali per i rapporti tra le Corti nazionali di ultima istanza e la Corte di giustizia nonchè per i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali nell’Unione.
Due sono le novità più significative relative a questo caso che occorre subito segnalare. 1) Non era mai accaduto prima che la Commissione europea avviasse una procedura di infrazione, nella fase del ricorso per inadempimento, sulla base della mancata esecuzione di sentenze della Corte di giustizia da parte di Corti nazionali (v. Conclusioni dell’Avvocato Generale Wathelet, punto 87). 2) Mai prima d’ora la Corte di Lussemburgo aveva condannato uno Stato per inadempimento nell’ambito di una procedura di infrazione a causa dell’inerzia di una sua Corte di ultima istanza ad operare il rinvio pregiudiziale quale strumento di garanzia dell’uniforme applicazione del diritto dell’Unione. In casi precedenti in cui la Corte di giustizia pure sarebbe potuta pervenire a simili conclusioni (C-129/00, Commissione c. Italia, e C-154/08, Commissione c. Spagna), non si era mai spinta a tanto. Gli scenari che ora si aprono sono tutti da esplorare, ma paiono alquanto “rivoluzionari” anche per il tipo di giurisdizione “costituzionale” che la Corte di giustizia intende ritagliarsi.

 

Motivi del ricorso e decisione della Corte

Venendo ora a richiamare per sommi capi i motivi del ricorso, innanzitutto, 1) la Commissione contestava alla Repubblica francese il mantenimento di restrizioni al diritto al rimborso dell’anticipo di imposta sui dividendi versati a società nazionali da società controllate di secondo livello residenti in altro Stato membro dell’Unione al quale non erano soggette, invece, società analoghe residenti in territorio francese. Così facendo, le autorità francesi non tenevano conto dell’imposizione fiscale subita in un Paese membro diverso dalla Francia dalle controllate di secondo livello non residenti, assoggettandole di fatto ad una doppia imposizione fiscale. Dunque, a parere della Corte, la Francia manteneva una condotta discriminatoria nei confronti di queste ultime, in violazione degli artt. 49 e 63 TFUE nonchè di quanto già stabilito dalla stessa Corte nella sentenza Accor (C-310/09, del 15 settembre 2011, EU: C:2011:581), con cui la Repubblica francese era stata condannata – seppure il caso Accor riguardasse società controllate di primo livello – e nelle sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, del 12 dicembre 2006, EU:C:2006:774) e Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, del 13 novembre 2012, EU:C:2012:707).
Non vengono accolti, invece, il secondo e il terzo motivo del ricorso addotti dalla Commissione. Riguardano, rispettivamente, 2) il carattere sproporzionato dei requisiti stabiliti per provare la sussistenza del diritto al rimborso, da parte delle società controllanti francesi che percepiscono dividendi da controllate straniere, dell’anticipo d’imposta illegittimamente percepito dall’amministrazione tributaria francese; 3) il limite massimo dell’importo ad esse rimborsabile pari ad un terzo dell’ammontare dei dividendi distribuiti (anzichè metà di tali dividendi, limite fissato per le controllanti francesi che percepiscono dividendi da controllate nazionali).
Infine, come anticipato, 4) l’ultimo motivo del ricorso, relativo alla presunta violazione dell’obbligo di operare un rinvio pregiudiziale ex art. 267.3 TFUE, è considerato fondato dalla Corte e, di gran lunga, presenta i profili di maggior interesse per il diritto costituzionale “composito” dell’Unione. La Commissione obiettava, infatti, che il Consiglio di Stato francese avrebbe dovuto rinviare alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale sugli artt. 49 e 63 TFUE per come erano stati interpretati nelle sentenze Accor e Test Claimants I e II prima di definire le modalità di rimborso dell’anticipo di imposta illegittimo, trattandosi di “giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno” (Art. 267.3 TFUE): dunque potenzialmente suscettibile di consolidare nell’ordinamento francese una giurisprudenza in contrasto con il diritto dell’Unione, se la Corte di giustizia non fosse potuta intervenire “a correzione” (v., ad esempio, il caso Aquino, C‑3/16, sentenza del 15 marzo 2017, EU:C:2017:209, punto 33).
Dopo le sentenze dalla Corte di Giustizia appena richiamate, infatti, il Consiglio di Stato era ritornato sulla questione del rimborso nelle sentenze Rhodia (FR:CESSR:2012:317074.20121210) e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210), entrambe del 10 dicembre 2012, discostandosi dalle prime e senza adire la Corte di giustizia, sebbene sussistesse un ragionevole dubbio interpretativo sul regime fiscale. La Repubblica francese ribatteva, però, con argomenti respinti dalla Corte di giustizia europea, che la sentenza Accor della Corte di Lussemburgo non riguardava le controllate di secondo livello e che le sentenze Test Claimants I e II non erano vincolanti per la Francia vista la diversità di regimi fiscali quanto alla disciplina dell’anticipo e del credito d’imposta tra il Paese e il Regno Unito, che in quel caso era stato condannato.
Nel caso di specie non ricorrono infatti gli estremi indicati nel caso Cilfit (283/81 del 6 novembre 1982, EU:C:1982:335) affinchè una corte di ultima istanza possa considerarsi esentata dall’obbligo di rinvio pregiudiziale. Tra queste condizioni rientrano la non rilevanza della questione, il fatto che la medesima disposizione di diritto europeo sia già stata interpretata dalla Corte o che la sua interpretazione non lasci adito a ragionevoli dubbi interpretativi: circostanza, quest’ultima, smentita dalle decisioni del Consiglio di stato francese che si discostano visibilmente dalla sentenza Test Claimants II e che, pertanto, evidenziano una divergenza interpretativa con la Corte di giustizia (nonché tra le società ricorrenti e il rapporteur publique presso il Consiglio di Stato, come rilevato dall’Avvocato generale).
La Corte richiama anche il caso Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, del 9 settembre 2015, EU:C:2015:565) in cui per la prima i giudici di Lussemburgo avevano rilevato una violazione, da parte di una corte nazionale, il Supremo Tribunal de Justiça (la Corte suprema portoghese) dell’obbligo di operare un rinvio pregiudiziale. Del resto, che vi siano notevoli resistenze, specie da parte delle Corti di ultima istanza, a sollevare questioni pregiudiziali è questione ben nota (sia consentito rinviare a M. Dicosola, C. Fasone e I. Spigno, Foreword: Constitutional Courts in the European Legal System after the Treaty of Lisbon and the Euro-Crisis, in German Law Journal, 16(6), 2015, pp. 1317-1329 e alla special issue su The Preliminary Reference to the Court of Justice of the European Union by Constitutional Courts lì pubblicata; tra i molti, cfr. anche T. Pavone, Revisiting Judicial Empowerment in the European Union: Limits of Empowerment, Logics of Resistance, in Journal of Law & Courts 6 (2), 2018, pp. 303-331). Ugualmente riconosciuto è che questa resistenza delle corti sia assai problematica tanto per la tenuta del diritto dell’Unione che per i diritti fondamentali. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta in proposito riscontrando una violazione dell’art. 6.1 CEDU – diritto ad un equo processo, per il diniego immotivato di una corte nazionale ad effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (Dhahbi c. Italia, n. 17120/09, sentenza dell’8 aprile 2014; Schipani c. Italia, n. 38369/09, sentenza del 21 luglio 2015). In dottrina si è paventata, altresì, la possibilità che la stessa Corte di giustizia possa intervenire più incisivamente in merito utilizzando l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, sul diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale (C. Lacchi, Multilevel judicial protection in the EU and preliminary references, in Common Market Law Review, 53 (3), 2016, p. 681 ss.).

 

I possibili effetti della sentenza nel medio-lungo periodo

La sentenza in commento è dunque suscettibile di produrre effetti assai rilevanti, almeno a tre livelli. Il primo è quello del sistema di protezione dei diritti fondamentali nell’Unione. A fronte della difficile praticabilità della strada del ricorso per annullamento da parte degli individui per far valere la violazione dei propri diritti – viste la soglia fissata dalla Corte di giustizia per dichiarare ammissibile il ricorso – e della diffidenza finora mostrata dalle Corti, specie quelle di ultima istanza, verso il rinvio pregiudiziale anche quando è in gioco la garanzia di diritti, nella sentenza Commissione c. Francia i giudici di Lussemburgo prefigurano come percorribile una nuova via, tutta da esplorare: il ricorso per inadempimento da parte della Commissione (o da parte di altri Stati membri) come una modalità di “appello pseudo-diretto contro le decisioni di corti nazionali” dinanzi alla Corte di giustizia (cfr. D. Sarmiento, Judicial Infringements at the Court of Justice, cit.). Se le Corti nazionali di ultima istanza, rifiutandosi di effettuare un rinvio pregiudiziale e contravvenendo all’obbligo posto dall’art. 267.3 TFUE, violano anche dei diritti garantiti dalle norme europee, vi sarà comunque un giudice a Lussemburgo.
Da quanto detto, si chiarisce anche il secondo livello di incidenza della sentenza, sulle corti di ultima istanza e soprattutto su quelle costituzionali. Se davvero uno Stato membro può essere condannato per inadempimento qualora la sua Corte costituzionale o suprema si rifiuti di sollevare una questione pregiudiziale, come invece è tenuta a fare sempre nei limiti della dottrina Cilfit, la sentenza Commissione c. Francia è un precedente in grado di esercitare una forte pressione su tali giudici ed è possibile immaginare nel prossimo futuro un aumento della frequenza dei rinvii operati da queste corti o, laddove non siano stati ancora effettuati, il ricorso, finalmente, all’istituto da parte delle Corti costituzionali più reticenti (ad es. le Corte costituzionali portoghese, bulgara, ceca, croata, lettone, rumena, slovacca e ungherese). Anche perché, se tali Corti violano l’obbligo previsto dall’art. 267.3 TFUE, è poi lo Stato a risponderne nell’ambito di una procedura di infrazione che può anche concludersi con una sanzione.
Il terzo livello di influenza della sentenza riguarda le implicazioni sul “sistema” delle Corti europee, quella di giustizia e quelle nazionali. Nell’ultimo anno la Corte di giustizia è stata molto attenta nel promuovere l’idea di un “sistema” di Corti nell’Unione in cui non secondario è il ruolo delle Corti nazionali. Nel caso Associação Sindical dos Juízes Portugueses (causa C-64/16 del 28 febbraio 2018) la Corte ha enfatizzato l’importanza che gli Stati membri stabiliscano “i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione (art. 19 TUE)” e, successivamente, a proposito delle vicende polacche, si è evidenziata la centralità dell’indipendenza della corti degli Stati membri per il buon funzionamento del sistema delle Corti dell’Unione. Sebbene nella sentenza in commento l’art. 19 TUE non sia evocato – e difficilmente avrebbe potuto esserlo – la Corte di giustizia pare disegnare un sistema di giustizia costituzionale “composito” (cfr. la special issue dell’Italian Journal of Public Law, Constitutional Adjudication in Europe Between Unity and Pluralism, a cura di P. Faraguna, C. Fasone e G. Piccirilli), naturalmente per quanto concerne il diritto europeo, in cui tenderebbe ad accreditarsi come “corte di ultima istanza”: in caso di inerzia e di interpretazione non corretta del diritto europeo da parte delle corti nazionali, mediante ricorso per inadempimento, la Corte di giustizia può in qualche misura controllare e sanzionare le decisioni di giudici nazionali che risultino in chiaro contrasto con norme dell’Unione.