Per fare un altro jobs act leggiamo Silvana Sciarra, giudice costituzionale

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L'elezione parlamentare a giudice della Corte Costituzionale della giuslavorista Silvana Sciarra deve essere salutata come un evento rilevante, per il profilo della studiosa e per la congiuntura politico-istituzionale nella quale è avvenuta. Proprio la sensibilità sociale ed europeista della giuslavorista di Trani può essere il segnale culturale, ancora prima che politico, di un nuovo discorso pubblico sui diritti sociali e del lavoro e un'ulteriore spinta garantistica nella futura giurisprudenza costituzionale. Perché l'oramai quarantennale attività scientifica, di ricerca e docenza della Professoressa Silvana Sciarra si inserisce nel solco più progressivo e socialmente consapevole dei mutamenti avvenuti nelle trasformazioni del mondo del lavoro e delle politiche pubbliche, con un'attenzione particolare alla tutela dei diritti sociali fondamentali delle persone nella prospettiva di un diritto sociale e del lavoro dal respiro continentale.

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L'Europa al bivio. Un rompicapo per il costituzionalismo democratico e sociale.*

* Una versione più breve di questo intervento è apparso su il quotidiano il manifesto, del 27 dicembre 2012, p. 10, con il titolo Le teste d'uovo dell'austerità.

Per una nuova prospettiva costituzionale in Europa: così si conclude e avrebbe potuto titolarsi il recente, prezioso libro di Claudio De Fiores, L'Europa al bivio. Diritti e questione democratica nell'Unione al tempo della crisi (Ediesse, pp. 250, 14 euro). È un'esortazione della volontà e della ragione che parla alla condizione precaria di questo Continente e delle sue genti impoverite, impaurite e depresse, dentro una trasformazione capitalistica spietata. Soprattutto è un sguardo desolato e non riconciliato sul tempo perso nell'ultimo ventennio del processo di integrazione europea: sul fallimento e la connessa scomparsa dei partiti a sinistra del socialismo europeo e sulle incapacità di un possibile costituzionalismo democratico-sociale sovrastatale.

 

Contro gli europeisti del mercato.

Per riannodare i fili interrotti di questo lungo ventennio dello scontento europeista Claudio De Fiores, Professore di Diritto Costituzionale alla Seconda Università di Napoli e da anni attento e sensibile studioso delle trasformazioni istituzionali continentali, prende giustamente le mosse dal Trattato di Maastricht e da quel modello di integrazione che lo stesso Jürgen Habermas definirà degli “europeisti del mercato”, in quegli anni Novanta del Novecento in cui la tradizionale impostazione di Jean Monnet e degli “europeisti delle origini”, l'integrazione economica come motore anticipatore di una necessaria unificazione politica, sembra avvitarsi su se stessa. Così l'aspirazione alla diffusione continentale di un benessere sociale promotore dell'integrazione politica sovranazionale – dopo un secolo di guerra civile europea – ripiega nella consacrazione di una visione assolutista della sfera economico-finanziaria. È l'ortodossia monetarista e, immaginando un gioco di parole con lex mercatoria, De Fiores parla di un effetto nefasto della lex monetae continentale, con una “Banca centrale «fuori controllo», una moneta instabile che produce intollerabili costi sociali, l'euro sempre più annichilito dai rapaci impulsi della finanza”.

Si assiste, inerti e impotenti, al definitivo tramonto del modello sociale europeo e all'impossibile affermazione di istituzioni democratiche aldilà dello Stato-nazione: due secoli di lotte e conflitti condotti all'interno di quello che Étienne Balibar definisce “Stato costituzionale nazional-sociale” non trovano uno sbocco progressivo a livello europeo. Eppure il dominio del funzionalismo tecnocratico-finanziario, nel lungo trentennio del neo-liberismo globale, non ha incontrato avversari politico-culturali all'altezza del conflitto richiesto, soprattutto nel vecchio Continente.

 

Dentro la “grande trasformazione” iniziata negli anni Settanta del Novecento le forze politiche e sindacali alla sinistra delle socialdemocrazie europee hanno preferito suonare il disco incantato della difesa nazionale di un patto sociale tra capitale e lavoro che andava inesorabilmente sgretolandosi. In un gioco di specchi riflessi la più nobile tradizione del costituzionalismo democratico e sociale tentava una impossibile resistenza dietro la supremazia delle Costituzioni statuali, con il loro sacrosanto portato di “teorie dei controlimiti”, violazioni della sovranità nazionale, istituzionalizzazione di un deficit democratico. Ipotesi che non ammettevano un terreno di conflitto continentale, non sfidavano il terreno delle trasformazioni capitalistiche ed istituzionali, meno che mai interloquivano con una concreta prospettiva europea proposta da Altiero Spinelli, eretico tra i comunisti, e dalla tradizione socialista, radicale ed europeista: piuttosto preferivano attestarsi sul ritorno all'ordine di uno Stato garante di una pace sociale a costo di corruzione, inefficienza, burocrazia, corporativismo e paternalismo. E questo “peccato originale”, di una malinconica conservazione dell'ordine infranto statualista, è stato troppo a lungo il motore immobile di una sinistra autenticamente europeista e di un costituzionalismo democratico-sociale  continentale.

Per un costituzionalismo europeo.

A parere di chi scrive le note che leggete il culmine di questa sorta di sindrome del torcicollo della sinistra e del costituzionalismo si è manifestato plasticamente con la grande campagna sovranista e nazionalista che ha portato al No referendario francese ed olandese al Trattato-Costituzione nella primavera del 2005. In quell'occasione la già agonizzante sinistra europea, incapace di pensarsi dopo il 1989, è definitivamente morta. Claudio De Fiores non concorda con questa lettura osservando, giustamente, che quel pronunciamento negativo “non era che l'espressione sintomatica più evidente della già matura crisi di legittimità del sistema” continentale e del suo strutturale deficit di democrazia. Eppure converrà che da quei fallimenti degli anni Zero l'Europa, la sinistra e il costituzionalismo democratico-sociale non sembrano riprendersi. Così ora costituzionalizzazioni del pareggio di bilancio e rigorose politiche di austerity impongono l'obbedienza di cittadinanze costrette nella paura del default e della miseria, che sperano nella salvezza della panacea tecnocratica, o nella falsa palingenesi di intollerabili populismi. È il fallimento, anche antropologico, di un processo di civilizzazione giuridica e sociale di un Continente e delle sue cittadinanze, in cui le esperienze costituenti e progressive della metà del secolo scorso non sembrano lasciare eredità nelle innovazioni istituzionali e nei rapporti economici del cinquantennio che è seguito: il funzionalismo ha stravinto sul costituzionalismo!

 

In questo quadro il volume di Claudio De Fiores è anche un ottimo strumento di storia istituzionale critica del processo di integrazione comunitaria, ad uso e consumo di europeisti sensibili alla tradizione del costituzionalismo democratico-sociale e fa definitivamente piazza pulita di qualsiasi sinistro rimpianto sovranista, dichiarandosi senza tentennamenti retrospettivi per l'Europa, “nella sua sperimentata attitudine a regolare le dinamiche del mercato, vincolandole concretamente al perseguimento di politiche redistributive e al «riconoscimento istituzionale dei diritti sociali come diritti fondamentali senza eguali nel mondo»”, per dirla anche con le parole di Étienne Balibar.  Claudio De Fiores evoca l'apertura di movimenti e processi costituenti europei e  nella stessa struttura del libro si percepisce una continua evoluzione progressiva, laddove si passa da una iniziale esaltazione del legame “popolo-sovranità-Stato-nazione”, alla più concreta necessità di non “diffidare più della democrazia, della sovranità e del costituzionalismo” nel ripensamento radicale di un Continente. È il lascito del migliore costituzionalismo: quello della lotta per il diritto e per i diritti, dell'immaginare nuove pratiche democratiche, della creazione istituzionale dal basso, per la trasformazione dei rapporti di forza esistenti, per l'autodeterminazione individuale e collettiva dei soggetti che scelgono di vivere in questo Continente.

 

Quale Europa a venire?

Evidentemente non è una questione di parole o teorie, seppure si vorrebbe farla finita con il giudizio della sovranità (per parafrasare Antonin Artaud, fustigatore di altri, ben più insondabili, giudizi), piuttosto di affermazione di pratiche costituenti e nuovo Welfare per un modello sociale di un'Europa politica capace di misurarsi con le trasformazioni capitalistiche in atto. Ne siamo convinti, seppure il timore è di trovarci tutti in ritardo di almeno vent'anni, a cominciare dalle forze culturali della sinistra sindacale e politica continentale, con l'Europa al bivio pericolosamente sospesa su un precipizio; ma come dice l'Hölderlin tanto caro a Karl Marx e forse non a caso anche a Martin Heidegger: “laddove massimo è il pericolo, lì c'è la salvezza”. Vale purtroppo la pena di aggiungere un punto interrogativo finale, soprattutto perché ancora non si percepisce quale sia il grado massimo del pericolo che stiamo vivendo e, al contempo, l'àncora di salvezza del costituzionalismo sembra tuttora inabissata nei torbidi marosi continentali.

Spetta alle cittadinanze attive di questo Continente e alle forze sociali, culturali ed economiche più sensibili porsi all'altezza dei tempi; e il libro di Claudio De Fiores è un'ulteriore invocazione perché “l'Europa possa ancora avere un avvenire” nella sua aspirazione a un modello sociale garantista e inclusivo, soprattutto in un Paese come il nostro, dove l'Europa sembra possa avere solo le insopportabili sembianze speculari delle tecnocrazie e delle piccole patrie.


Crack istituzionale. Le scommesse perdute dello Stato

di Giuseppe Allegri (da "Il Manifesto" del 24.2.2011)

Due recenti libri sulla crisi della democrazia rappresentativa. Il primo è di Maria Rosaria Ferrarese che affronta, ne La governance tra politica e diritto, le soluzioni che stanno emergendo nei sistemi politici occidentali incapaci di fronteggiare la globalizzazione. Gaetano Azzariti, ne Diritto e conflitti, analizza invece le contraddizioni del costituzionalismo nel registrare la natura dei conflitti sociali, culturali e di classe della contemporaneità.

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La Costituzione negata dalle élite (da Il Manifesto, 16.9.2010)

Un sentiero di lettura sulla stagione che portò alla Costituente

di Giuseppe Allegri

È da accogliere con estremo interesse la pubblicazione di Costituenti ombra. Altri luoghi e altre figure della cultura politica italiana (1943-48), curato da Andrea Buratti e Marco Fioravanti, per Carocci (pp. 505, euro 45), sotto la spinta di una ricerca promossa dalla Fondazione Adriano Olivetti (www.fondazioneadrianolivetti.it), nel cinquantenario della prematura scomparsa di quel grande intellettuale, imprenditore e operatore sociale che aveva scelto Ivrea come territorio di sperimentazione della sua scommessa imprenditoriale ed esistenziale, mentre la ricostruzione italica prendeva altre vie.
Lo studio ha coinvolto una pluralistica comunità (per utilizzare termini cari allo stesso Olivetti) di giovani ricercatori, solo in minoranza incardinati nell'Accademia e per lo più contrattisti, precari e flessibili, negli atenei del nostro strano Paese, che proprio questa generazione di lavoratori della conoscenza ha condannato a una oscura e illimitata insicurezza scientifica ed esistenziale. La maggior parte degli studiosi provengono dal diritto pubblico e costituzionale, ma in tutti gli interventi è presente una particolare predisposizione per la dimensione storico-sociale, che restituisce una sensibilità culturale per nulla scontata negli studi più tradizionali di quei settori scientifico-disciplinari.

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