Il Consiglio costituzionale francese e la riforma delle pensioni, o dell’occasione mancata di comportarsi da “cour constitutionnelle de référence”

Non succede spesso che il Consiglio costituzionale francese si trovi a pronunciare decisioni tanto attese quanto quella resa il 14 aprile scorso sulla legge recante la riforma delle pensioni, in un contesto sociale e politico quanto mai delicato.
Senza grandi sorprese, la decisione avvera il pronostico formulato dalla maggior parte degli esperti. Il Consiglio ha infatti dichiarato conforme alla Costituzione l’essenziale della riforma, a cominciare dalla disposizione che prevede l’aumento dell’età legale di accesso alla pensione da 62 a 64 anni, e ha censurato soltanto alcuni articoli considerati come “cavalieri sociali”, ovvero disposizioni prive di tenore finanziario indebitamente inserite in una legge di finanziamento della previdenza sociale.
Pur prevedendo quasi unanimemente una risposta marcata dal self-restraint tipico del giudice costituzionale francese, tuttavia, un gran numero di costituzionalisti si è speso in editoriali e commenti, nelle settimane precedenti la decisione, per immaginare, suggerire o auspicare come questi avrebbe potuto rispondere alle censure invocate, alcune delle quali appaiono, ci sembra, particolarmente fondate. Ed è proprio questa considerazione a guidare le considerazioni che seguono. In questo breve commento, infatti, dopo aver brevemente riassunto il dispositivo della decisione, non si intende analizzarne in dettaglio la motivazione, ma piuttosto cimentarsi in un esercizio in qualche modo opposto, per illustrare non tanto cosa il Conseil ha detto, bensì cosa avrebbe potuto dire.

1. La decisione del Conseil, o l’arte del “come ne usciamo?”
Per commentare l’approccio della Corte corte costituzionale italiana nella stagione caratterizzata dal più spiccato self restraint, Tania Groppi osservava che la preoccupazione che accompagnava i giudici costituzionali in camera di consiglio in quegli anni sembrava essere “come ne usciamo senza decidere? Come ne usciamo senza esporci?”. Ebbene, si direbbe che tale interrogativo non abbia mai davvero abbandonato il Consiglio costituzionale francese che, salvo rare eccezioni, ha fatto del “non decidere” e del “non esporsi” la cifra della sua giurisprudenza, in particolare in sede di controllo preventivo (al punto che alcuni costituzionalisti sono arrivati a domandarsi se tale meccanismo meriti ancora di essere mantenuto in vita).
Anche in questo caso il Consiglio ha essenzialmente validato l’operato della maggioranza – e in particolare dell’esecutivo, che si è servito di tutti gli strumenti offertigli dal parlamentarismo razionalizzato della Quinta Repubblica per forzare l’approvazione della legge – riducendo al minimo il proprio controllo sulla costituzionalità della procedura e limitandosi ad un’interpretazione letterale delle disposizioni costituzionali.
I ricorsi delle minoranze parlamentari, presentati rispettivamente dai deputati del Rassemblement national e dai deputati e dai senatori dell’opposizione di sinistra, contestavano sia il contenuto della riforma, per motivi essenzialemente di equità sociale e di valutazione economica, sia soprattutto le procedure utilizzate per l’adozione della legge.
Non ci attarderemo sui primi che, per quanto fondati sulle disposizioni del bloc de constitutionnalité in materia di uguaglianza e diritti sociali, possono ritenersi di natura più spiccatamante politica e dunque difficilmente idonei a fondare una dichiarazione di incostituzionalità : non ci si poteva aspettare, insomma, che il Conseil dichiarasse contrario alla Costituzione l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni.
Più interessanti dal punto di vista dell’interpretazione giuridica sono invece le censure legate a motivi procedurali. Riassumendo, venivano contestati: l’utilizzo abusivo della procedura speciale prevista dall’art. 47-1 della Costituzione per le leggi di finanziamento della previdenza sociale, la violazione del principio costituzionale di “chiarezza e sincerità del dibattito parlamentare” in ragione del cumulo di procedure limitative della deliberazione parlamentare nonché della trasmissione di informazioni erronee al Parlamento e, infine, la presenza di disposizioni di contenuto non budgetario e dunque, per natura, non conformi al contenuto di una legge di finanziamento della previdenza sociale.
Il Consiglio ha accolto unicamente quest’ultima censura e ha dichiarato incostituzionali sei “cavalieri sociali”, tra i quali le disposizioni in materia di agevolazione dell’impiego dei lavoratori senior. I Sages hanno invece rigettato tutti gli altri profili con delle motivazioni alquanto laconiche che si limitano ad affermare che, sebbene si riconosca il fondamento dei motivi di censura (come il fatto che la riforma delle pensioni “avrebbe potuto figurare in una legge ordinaria”, par. 11; “la circostanza che alcuni ministri abbiano fornito […] delle estimazioni inizialmente erronee sull’ammontare delle pensioni”, par. 65; “il carattere inabituale” del cumulo di procedure coercitive, par. 70), nessuna disposizione costituzionale risulta espressamente violata.

2. L’occasione mancata per comportarsi da “cour constitutionnelle de référence” e rafforzare la fiducia nella giustizia costituzionale
Giuridicamente mal motivata, pericolosa per la democrazia parlamentare o per il destino della giustizia costituzionale, marcata da un eccesso di zelo nei confronti dell’esecutivo: sono solo alcune delle critiche alla decisione apparse in un elevato numero di editoriali a firma di autorevoli costituzionalisti. Di certo non lusinghiere per l’istituzione che, sotto l’egida del suo Presidente Laurent Fabius, vorrebbe diventare una “corte costituzionale di riferimento”. Ora, la critica alle decisioni di un organo di giustizia costituzionale è consustanziale ad uno Stato di diritto e l’espressione di critiche, siano esse da parte della dottrina, dell’opinione pubblica o di altre istituzioni, non mina di per sé la legittimità dell’organo. Tuttavia, questa decisione rappresenta indubbiamente per il Conseil un’occasione mancata per affermarsi come corte costituzionale capace di elevarsi a garante di una lettura sistemica e sostanziale della Costituzione, assolvendo una funzione contromaggioritaria in un sistema fortemente squilibrato in favore dell’esecutivo a causa della coesistenza di dispositivi di forte razionalizzazione del parlamentarismo, di un sistema elettorale che – seppur con l’indebolimento del “fatto maggioritario” nell’attuale legislatura – assicura all’esecutivo il sostegno di una maggioranza parlamentare coesa e della presidenzializzazione del regime.
Com’è noto, infatti, al fine di rafforzare l’esecutivo e di scongiurare le derive del parlamentarismo conosciute sotto la Terza e la Quarta Repubblica, la Costituzione del 1958 ha dotato il governo di un ricco arsenale di strumenti di pressione sul Parlamento nel corso del procedimento legislativo: ruolo predominante nella determinazione dell’ordine del giorno delle camere, poteri di controllo sull’esercizio del diritto di emendamento dei parlamentari, voto bloccato, procedure speciali per le leggi finanziarie, procedure accelerate per mettere fine alla navette, possibilità di dare l’ultima parola alla camera bassa, questione di fiducia su un progetto di legge.
L’affermazione del fatto maggioritario e la progressiva presidenzializzazione del regime hanno invero reso parzialmente superflui alcuni di questi dispositivi, che hanno invece ritrovato tutta la loro utilità in un momento di crisi di quell’elemento strutturale della Quinta Repubblica che è il fatto maggioritario, con l’apparizione di una maggioranza soltanto relativa a sostegno del governo guidato dalla Prima ministra Borne. Così, per l’approvazione della riforma delle pensioni, la Prima ministra ha fatto uso di tutti questi dispositivi, a cominciare dalla scelta dello strumento legislativo finanziario, che apriva la strada a procedure particolarmente favorevoli al governo. Ora, se ognuna di queste procedure è di per sé perfettamente legittima in quanto prevista dalla Costituzione, l’utilizzo contestuale e cumulativo di tutte le procedure può destare qualche dubbio.

3. L’utilizzo cumulativo di procedure parlamentari facenti ostacolo allo svolgimento delle prerogative parlamentari essenziali
Era questo il motivo per cui i ricorrenti contestavano la violazione del “principio di chiarezza e di sincerità del dibattito parlamentare”, in quanto il cumulo delle diverse procedure utilizzate sarebbe stato di ostacolo “al corretto svolgimento del dibattito democratico” e al pieno esercizio del diritto di emendamento (par. 66-67).
Sono chiamati in causa: l’utilizzo della procedura dell’articolo 47-1, che ha imposto all’Assemblea nazionale di interrompere la lettura del testo dopo soli venti giorni quando aveva proceduto all’esame di due soli articoli; la limitazione del tempo di parola al Senato, combinata al rigetto di un gran numero di subemendamenti e soprattutto all’attivazione del “voto bloccato” per far deliberare la camera alta su tutto il testo in un solo voto, impedendo qualunque emendamento; l’utilizzo, infine, della preziosa quanto famigerata procedura della fiducia su un progetto di legge prevista dall’art. 49 co. 3 della Costituzione, che permette di interrompere ogni discussione sul testo e di farlo considerare come approvato senza voto da parte dei deputati, a meno che una mozione di censura non sia approvata alla maggioranza assoluta… L’utilizzo combinato di tutti questi dispositivi ha fatto sì che una riforma cruciale nel dibattito sociale e politico sia stata promulgata senza una vera deliberazione parlamentare e senza che la camera bassa ne abbia esaminato più di due articoli (respingendo peraltro il secondo).
Con un argomento prettamente formale e letterale, il Consiglio ha però respinto queste censure, limitandosi a constatare che nessuna disposizione costituzionale impedisce espressamente l’impiego cumulativo di tutte queste procedure e che pertanto “sebbene l’utilizzo combinato delle procedure adottate abbia un carattere inabituale […], esso non ha reso la procedura legislativa contraria alla Costituzione” (par. 70). Si potrebbe invece obiettare che, sebbene niente lo vieti espressamente nella lettera della Costituzione, un’interpretazione sistematica e sostanziale porta a riconoscere che la razionalizzazione del parlamentarismo prevista dalla Costituzione ha inteso conciliare la governabilità con un altro principio fondamentale dello Stato di diritto, che è la possibilità per il Parlamento di esercitare la propria funzione e che, pertanto, un cumulo di procedure che arrivi a impedire alle assemblee il minimo esercizio delle loro prerogative fondamentali potrebbe considerarsi come un abuso non conforme alla Costituzione.
Stupisce, inoltre, che la trasmissione di informazioni scorrette da parte dei ministri alle assemblee non sia stata considerata elemento idoneo a nuocere alla “chiarezza e sincerità del dibattito parlamentare”: se non è questa un’ipotesi di applicazione di tale principio, ci si può davvero chiedere quale sia la vocazione di questo vago principio di enucleazione giurisprudenziale che il Consiglio ha formulato come garanzia dell’espressione della volontà generale, salvo poi utilizzarlo quasi esclusivamente in favore dell’esecutivo per giustificare le limitazioni al diritto di emendamento di fronte ai fenomeni di ostruzionismo.

4. L’utilizzo indebito della procedura riservata alle leggi di finanziamento della previdenza sociale
Soprattutto, ci sembra fosse fondata l’altra censura: quella sull’utilizzo abusivo di una procedura inadatta alla legge in questione. La riforma delle pensioni è stata infatti proposta dalla Prima ministra nella forma di una legge rettificativa di finanziamento della previdenza sociale (“loi de financement rectificative de la sécurité sociale” di seguito LFRSS), legge alla quale la Costituzione riserva una procedura particolare caratterizzata da indubbi vantaggi per il governo. Questa scelta è stata contestata in quanto si tratterebbe di un utilizzo abusivo e improprio, mediante il quale il governo avrebbe scelto non la procedura adatta in funzione dell’oggetto della legge, ma piuttosto la procedura più conveniente per raggiungere l’obiettivo dell’approvazione di una riforma (ritenuta urgente) in tempi stretti. Alla procedura per l’adozione di una LFRSS, la Costituzione riserva infatti un esame accelerato, di una durata massima di cinquanta giorni, al termine dei quali il governo è abilitato ipso iure ad adottare le misure contenute nel progetto di legge mediante ordonnance (un atto del governo che normalmente richiede una legge di abilitazione). Inoltre, mentre la questione di fiducia prevista all’articolo 49 co.3 può essere di regola utilizzata per un unico disegno di legge per sessione parlamentare, essa può invece essere utilizzata illimitatamente nella procedura di adozione di una LFRSS o di una legge finanziaria.
La ricerca dell’efficienza nella scelta dello strumento normativo non costituisce di per sé un’irregolarità. Parlare di utilizzo improprio e abusivo implica pertanto che detta procedura sia utilizzata non in ragione del contenuto del testo proposto, ma unicamente in ragione dei vantaggi procedurali che essa comporta. Il Consiglio ha però rigettato questi argomenti sulla base di un’interpretazione strettamente letterale dei contenuti imposti dalla legge organica sulle leggi di finanziamento della previdenza sociale. Si è cosi accontentato di verificare che la legge in questione contiene anche disposizioni che portano su spese e entrate della previdenza sociale per l’anno 2023, ignorando completamente il fatto che, per il resto, la legge contiene una riforma di ben più ampio respiro, le cui conseguenze sociali e economiche superano di gran lunga l’ambito di applicazione di una legge rettificativa per l’anno in corso. Anzi, il Consiglio non lo ignora, ma avalla la scelta governativa, limitandosi a sottolinere, secondo la sua massima abituale, che “se è vero che le disposizioni relative alla riforma delle pensioni avrebbero potuto figurare in una legge ordinaria […] non compete al Consiglio costituzionale sostituire la propria discrezionalità a quella del legislatore a questo proposito”. Perché in effetti, e qui veniamo all’altra nota dolente, è stato il legislatore, e quindi in definitiva il Parlamento, a validare questa scelta governativa. Ma nella situazione di forte squilibrio tra i poteri che è stata presentata, con l’ascendente del governo sul Parlamento dato dalla combinazione tra fatto maggioritario e razionalizzazione del parlamentarismo e con l’utilizzo combinato delle procedure soprarichiamate, il giudice costituzionale può davvero lasciare alla maggioranza parlamentare la garanzia delle esigenze costituzionali del dibattito democratico?
Avallando questo utilizzo indebito della procedura della LFRSS, il Consiglio ha creato un precedente preoccupante che potrà essere invocato da questo o dai governi successivi per far approvare qualunque riforma di contenuto anche lontanamente finanziario e sociale (ma non lo sono poi quasi tutte?) attraverso un procedimento fortemente limitativo delle esigenze democratiche del dibattito parlamentare. La questione che si pone è quindi: ma il Consiglio avrebbe potuto fare diversamente, senza addentrarsi in delicate valutazioni di natura più politica che giuridica? Ebbene, seppure si possono comprendere le ragioni dell’eccesso di prudenza del Conseil, in linea con la sua storia e la sua collocazione all’interno delle istituzioni francesi, ritengo che da un giudice costituzionale ci si possa attendere di più, in particolare in un momento in cui la giustizia costituzionale e la sua capacità di difendere lo Stato di diritto sono rimesse in discussione.
Davanti ad un banco di prova così importante, ciò che è legittimo attendersi da una corte costituzionale è che sia in grado di erigersi a garante delle esigenze democratiche alla base del sistema costituzionale anche in un momento polico e sociale delicato, facendo atrazione di ogni valutazione di opportunità politica. Ciò che è legittimo attendersi è che sappia affermare che la legge di finanziamento della previdenza sociale non può essere un bazar nel quale infilare qualunque articolo si desideri trattare. Ciò che è legittimo attendersi è che sappia indicare al governo, e dunque al Presidente che indirettamente dirige o conferma la scelta del ricorso alle procedure richiamate, che le disposizioni costituzionali in materia di produzione normativa non possono essere utilizzate come una cassetta degli attrezzi dalla quale estrarre l’arnese che più conviene, per raggiungere l’obiettivo con il minore sforzo possibile davanti a questa vecchia e farraginosa istituzione che è la democrazia, tanto più in un sistema come quello della Quinta Repubblica che manca gravemente di contropoteri effettivi. Le dichiarazioni di inammissibilità dei referendum proposti contro la riforma dimostrano d’altronde come neanche questo strumento sia idoneo ad assolvere una funzione contromaggioritaria.